Pubblicato   da     www.cronologia.it e  www.americacallsitaly.org febbraio    2008    HOME   

I DUE MITI DEL TIBET

 

Giovanni De Sio Cesari

 ( http://www.americacallsitaly.org/ )

 

Indice: premessa - la teocrazia - i cinesi

 

PREMESSA

 

Sul  Tibet sono fioriti due miti, uno in Occidente e uno in Cina.

Quello occidentale tutto lo conosciamo ovviamente; il  Tibet è il luogo della meditazione, dello spirito, della interiorità contrapposto  alla vita  frenetica, al business, al consumismo  caratteristici dell’Occidente, una alternativa insomma spirituale ed ideale al quotidiano e prosaico  mondo della produzione e dei beni materiali:  potremmo dire, con Fromm, dell’”essere” rispetto all’”avere”.

 

 In Cina è fiorito invece un mito opposto: il Tibet rappresenta la superstizione, il feudalesimo, l’arretratezza: in sintesi: quello che la Cina era un tempo e che ora non vuole più essere.  

Gli avvenimenti in Tibet sono conseguentemente per gli Occidentali la repressione sanguinosa della liberta dei diritti umani, la oppressione  di un popolo piccolo,  illustre e pacifico di cui il Dalai Lama è il legittimo e massimo rappresentante.

 

Per i Cinesi invece si tratta di manovre di una  cricca di feudatari spodestati, che, presumibilmente appoggiati dai nemici della Cina, creano violenze e spargono terrore  con  falsi pretesti religiosi. Il sentimento dei cinesi è unanime, non è  condizionato dalle diverse tendenze politiche: conservatori e innovatori possono discordare su tutto ma non sulla questione del Tibet.
Anche lo stesso Deng Xiaoping. che pure ha aperto la Cina alla modernità  e al liberismo, si distinse nella sua carriera politica proprio nel governo  in Tibet.

 

Per i Cinesi il leader legittimo del Tibetani  è il "Panchen Lama", autorità religiosa   che fa parte della classe dirigente cinese in rappresentanza del suo popolo: il Dalai Lama è solo un traditore che complotta con tutti i nemici  della Cina

 Soprattutto ogni cinese è oltremodo sensibile all’unità nazionale: per il cinese medio non c’è cosa  che gli abbia dato  più  soddisfazione del rientro nella  madre patria di Hong Kong,  nè cosa che più lo fa infuriare che Taiwan resti ancora staccata: non potrebbe mai  ammettere che il Tibet  avesse una sua indipendenza: il Tibet fa parte della Cina, i tibetani sono una delle 55 minoranze etniche della Cina , non è un altro paese, non è un altro popolo: il Tibet è un affare interno della Cina.

 

 Mettere in dubbio questo principio non è nemmeno concepibile per un cinese.

 

 

LA TEOCRAZIA

 

Ma al di la dei miti contrapposti quale la realtà del Tibet?

Innanzi tutto non si deve identificare semplicisticamente il Buddismo con la religione praticata in Tibet. Si tratta infatti  di una versione di buddismo poco diffusa (non più  di 2 o 3 milioni di aderenti)  e soprattutto non ci pare poi che sia la forma più elevata ma quella che forse più di ogni altra contiene  pratiche superstiziose. 

 

Il buddismo  fu introdotta nel Tibet nel VII secolo ma solo dopo molti secoli e alterne vicende, la gerarchia ecclesiastica buddista vi raggiunse una potenza come in nessun altro paese. Dapprima  prevalse la setta dei cosiddetti Berretti Rossi, che praticava una mescolanza fra la preesistente  religione “bon”, centrato sul culto degli spiriti della natura  e alcuni indirizzi del buddismo. I grandi sacerdoti di questa  antica setta si sposavano ed erano potenti proprietari terrieri.
Contro la mondanizzazione del clero insorse Tsong-k'a-pa (1356-1418) che, con la setta da lui fondata dei Berretti Gialli  portò a termine numerose riforme e impose la stretta osservanza del celibato. Da allora nel  Tibet domina la "Chiesa Gialla" (lamaismo) che quindi non è affatto molto antica come spesso si crede. L'isolamento quasi totale di questo paese permise  la formazione di un sistema religioso e statale unico al mondo: una teocrazia nella quale  tutti gli incarichi politici e amministrativi vengono affidati a dei  monaci.

 

Il termine "lama" significa "superiore"  e indica appunto i "superiori" dei conventi. Sono considerati  reincarnazioni di santi buddisti, di Bodhisattva e di divinità. Il  Dalai Lama  (il lama pari all'Oceano (di sapienza)) ebbe  anche potere politico. Alla morte di un lama si cerca la sua reincarnazione in un bambino secondo le indicazioni  degli “churchun” (indovini): si presentano a lui oggetti che sono appartenuti al lama morto, gli si domanda di riconoscerli e questa  sarebbe la prova che egli si ricorda la sua vita precedente. Nessuna testimonianza di tali fatti prodigiosi esterna all'ambiente è stata mai ammessa.

 

Nei grandi conventi, dove vivono migliaia di monaci, gran parte di essi è impegnata nelle attività economiche della comunità, altri si occupano del culto e dello studio degli scritti sacri (analogamente ai Benedettini medioevali). Quando si tiene presente che una gigantesca letteratura  è stata creata dalla piccola classe colta di un paese con cosi pochi abitanti non si può  fare a meno di ammirare altamente questa straordinaria, impresa unica nella storia.

 

Il rituale è  assai ricco e sfarzoso. Di solito cinque volte al giorno si svolgono pratiche di culto per i numerosi Buddha e  Bodhisattva, spiriti  protettori  e demoni; segue poi una serie di solenni cerimonie e il compimento di riti per scopi particolari, come la cacciata dei demoni maligni.  Particolare interesse rivestono  i "mulini di preghiera": parole sacre scritte su strisce di carta, vengono introdotte nei cosiddetti "mulini " girati a mano o fatti ruotare meccanicamente dall'acqua, in base al concetto che mettere in movimento queste formule rende lo stesso servizio religioso che la loro pronuncia.
Le sillabe sacre suonano "Om Mani Padme Hum" e sono di difficile interpretazioni: forse significano :"la gemma (il Budda o la sua dottrina) è nel Loto ( nel mondo.)" ma forse sono solo parole magiche senza alcun senso. A queste parole è attribuita una potenza benefica; per questo motivo vengono continuamente ripetute e dipinte sulle pareti e sulle bandiere.

 

Come si può  agevolmente constatare  si tratta pur sempre di pratiche più magiche che religiose (nel senso moderno, occidentale del termine): siamo ben lontani quindi  dal mito occidentale di una sapienza superiore, di una filosofia  elevata: lo stesso pensiero del Budda viene ampiamente  snaturato.

 

Il paese è poverissimo, arretrato: al di la dei monaci in meditazione vi  erano servi-contadini e servi-pastori che vivevano in una situazione simili ai nostri servi della gleba del medioevo.

 

ARRIVO DEI CINESI

 

Alla meta del 1700 i Cinesi presero il controllo dello sconfinato e quasi spopolato altopiano del Tibet. I valori religiosi furono ampiamente valorizzati dai Cinesi del tempo: in Pechino sorge tuttora uno dei più grandi templi della Cina dedicato  proprio alla religiosità tibetana. il “Yonghegong (letteralmente : Palazzo dell'Eterna Armonia conosciuto anche comunemente come ” tempio dei lama “).
Le autorità cinesi ebbero sempre molto cura di integrare i seguaci dei lama (non solo tibetani ma anche di  altre regioni dell’Asia centrale come i Mongoli ) nella compagine culturale e religiosa dell’Impero.

 Tuttavia le immense distanze,  le difficoltà di comunicazione lasciarono sempre al Tibet una ampia autonomia, una sostanziale autosufficienza. Quando nel 1911 cadde l’impero, la Cina si frantumo in una serie infinita di realtà locali governata dai “jūn fá” (i signori della guerra).

 

Ovviamente  il Tibet restò praticamente abbandonato a se stesso e si resse indipendentemente con le sue strutture tradizionali facenti capo al Dalai Lama. Intanto la Cina cadde in una crisi e in una guerra civile durata oltre quaranta anni. Si proclamò la repubblica con la presidenza di Sun Yat-sen, si formò quindi il Guomindang  (il partito nazionalista),  iniziò una lunghissima lotta per la riunificazione  nazionale. Si aggiunse poi la guerra civile fra i comunisti guidati da Mao Zedong e i nazionalisti guidati da  Jiang Jieshi, (Chiang Kai-shek secondo la vecchia grafia) e quindi la invasione giapponese.

 

 Il remoto Tibet restava  lontano dai più impellenti e drammatici avvenimenti ma non per questo nessun cinese intendeva   rinunciare a quella provincia. Finalmente nel 1949  si giunse all’unificazione e alla indipendenza con la vittoria del  Partito Comunista e Mao potè proclamare a Pechino la Repubblica Popolare:  l’anno dopo naturalmente furono inviati  alcuni  reparti cinesi a riprendere il controllo  della lontana provincia del Tibet. I Tibetani tentarono qualche debole resistenza  ovviamente del tutto inutile. I rapporti fra tibetani e cinesi furono ben più  difficili che ai tempi dell’Impero quando le dottrine tibetane erano state  apprezzate anche in Cina. La Cina comunista era tutta protesa a combattere le antiche tradizione e la religione, oppio dei popoli: il Tibet era la roccaforte dell’uno e dell'altro.

 

I rapporti fra il Dalai Lama e i comunisti cinesi non potevano certo essere dei più sereni. Nel 59 infatti  il Dalai Lama con la sua corte fuggì in India e quindi ha sempre vissuto all’estero circondato dal rispetto e dal prestigio internazionale,  considerato  in Occidente il legittimo rappresentante del popolo tibetano.  

I Cinesi invece riconobbero come leader  del Tibet  il Panchem Lama, altro dignitario tibetano che tradizionalmente era vicino alle autorità cinesi anche in epoca imperiale.

 

 Le vicende del Tibet hanno quindi seguito quelle  cinesi in generale: i cinesi ritengono di aver liberato (non conquistato) il Tibet, di  avervi scacciati i proprietari e feudatari, di avere affrancato il popolo dalla servitù, come nel resto della Cina, d’altronde.
Con la guida di Deng Xiaoping  la Cina ha imboccato la via del liberismo economico ha iniziato uno spettacolare progresso economico i cui effetti sono arrivati anche nel Tibet. Sono state costruite strade e ferrovie, i mezzi di comunicazione moderni hanno  rotto il millenario isolamento di quella regione, la  più remota dal mondo.

 

Laddove la volontà politica comunista non è arrivata, è arrivato il progresso economico: la tradizionale cultura tibetana è ormai sull’orlo della sparizione: sta per diventare una curiosità turistica per ricchi e annoiati  Occidentali che vogliono trovare “se stessi” nella meditazione orientale.

Una antica, mitica cultura sta per sparire, come tante altre in ogni parte del mondo. Comunque se vogliamo interpretare  gli avvenimenti tibetani dobbiamo tener conto che si tratta  degli ultimi disperati tentativi di quella cultura di sopravvivere.

D’altra parte è sempre avvenuto nella storia che quando una civiltà  viene in contatto con una più forte (o  progredita,  fate voi) essa soccombe; ogni cosa cambia, nulla permane per sempre, nulla è originario.

 

I “berretti gialli” (i lama) si sono affermato nel 1600: ma dopo 400 anni la loro civiltà è giunta al tramonto: ci può fare piacere o arrecarci dolore ma questo non cambia in niente le cose .

 


Giovanni De Sio Cesari

 ( http://www.americacallsitaly.org/ )

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"Tibet indipendente? Figlio del colonialismo" dice Pechino

(link esterno: "La Stampa" vedi > >

 

 

 

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