Giovanni De sio Cesari
(http://www.giovannidesio.it/)
Indice
Introduzione
- Concetto
di guerra - Rivoluzioni
- Reciprocità
Leggi
vigenti - Convenzioni
di Ginevra - Diritto
umanitario - Guerra
aerea
Guerriglia - Guerra di liberazione - Terrorismo - Guerre etniche - Conclusione
Si sente molo spesso parlare di crimini di guerra, di violazioni delle leggi internazionali ma quelli che sono incolpati regolarmente rovesciano l’accusa sui loro avversari. Sembra a volte, che in effetti ad essere perseguitati siano solo gli sconfitti e che ai vincitori invece tutto possa essere permesso.
Si discute se sono da condannare gli attentati palestinesi o le esecuzioni mirate degli israeliani, la violenze contro gli albanesi dal Cossovo o i bombardamenti sulla Serbia della NATO, gli attentati in Iraq o i bombardamenti su Falluja: i pareri sono discordanti, e in realtà ciascuno condanna o assolve secondo il proprio personale giudizio su da quale parte sia la ragione o la giustizia. Ma in realtà questo procedimento è logicamente errato: altro è considerare una guerra come “giusta” (ammesso che ne esistano) altro è considerare i mezzi usati come leciti: si può combattere una guerra giusta in modo illecito e una guerra ingiusta con mezzi leciti.
Il problema fondamentale è che le leggi di guerra formalmente vigenti sono quelle delle Convenzioni di Ginevrae altre simili : ma esse furono concepite per una guerra che si combattesse fra stati sovrani, in campo aperto, con bandiere al vento e squilli di trombe. In realtà, invece, nel XX secolo i conflitti armati hanno preso andamenti molto diversificati sia in ragione della grande importanza dell’arma aerea sia per la grande rilevanza assunte dalle guerre “asimmetriche” in cui eserciti regolari affrontano movimenti partigiani o di liberazione che si confondono con la popolazione civile.
Chiaramente se si riconoscesse solo la guerra prevista da Ginevra, i paesi poveri non potrebbero nulla contro le Potenze e d’altra parte se queste si attenessero a quelle convenzioni sarebbero impotenti di fronte ai movimenti irregolari.
In pratica quindi è avvenuto che in tutte le guerre asimmetriche nessuno rispetta le convenzioni di Ginevra salvo poi ad accusare la parte opposta di non rispettarla.
In questo lavoro ci ripromettiamo di indicare le regole “effettive” che nel XX secolo sono state applicate nelle azioni belliche distinguendo le diverse situazioni.
La prima domanda da porsi è cosa intendiamo precisamente con il termine “guerra” perché la risposta a questa domanda condiziona tutto il discorso che si può fare sulle leggi che la governano. La guerra è un atto di forza, di violenza che ha la caratteristica di essere voluta dallo stato. La rapina, l’omicidio sono atti violenti che sono proibiti dalle leggi dello stato ( o comunità o altra entità equivalente ). La guerra invece è una violenza che lo stato non solo ammette ma ordina. L’omicida viene punito, il guerriero che uccide in guerra viene premiato dal quale fatto nasce l’amara considerazione che chi uccide un uomo è un assassino ma chi ne uccide mille è un eroe.
Anche le comunità più primitive distinguono bene i due casi in cui la violenza è fatta contro la legge (in genere nell’ambito del gruppo di appartenenza) e quella che invece viene esercitata contro i gruppi (tribù, clan) rivali. Nelle società primitive dove la organizzazione statale è solo embrionale tuttavia, in genere, gli scontri fra i gruppi sono continui, incessanti e tutti gli uomini sono guerrieri : non vi è quindi una chiara distinzione fra guerra e pace e fra civili e militari. Da questo fatto è nato spesso il fraintendimento che la guerra è nata con la civiltà. In effetti la lotta armata ha purtroppo sempre accompagnata la storia dell’uomo anche se vi sono periodi e civiltà più bellicose e altre più pacifiche: diciamo più esattamente con lo sviluppo della civiltà anche la pratica della guerra si è andata perfezionando e sono nate categorie particolari di uomini che esercitano questa attività ( militari), in modo specifico, come sono nati gli artigiani, i musicisti, i mercanti.
Il grado di violenza e di crudeltà della guerra è mutato continuamente secondo circostanze e situazioni particolari. Non si può dire però, purtroppo, che con lo sviluppo della civiltà essa diventi meno cruenta (ma nemmeno il suo contrario). Abbiamo presso culture primitive guerre altamente ritualizzate : presso alcune tribù indiane d’america bastava colpire l’avversario con un bastone, nelle Filippine addirittura si trasformano in semplici gare oratorie mentre abbiamo nella civiltà contemporanea attacchi terroristici indiscriminati e bombardamenti a tappeto devastanti. Fasi con diverse caratteristiche si succedono e si sovrappongono senza ordine di tempo. Abbiamo nel medio evo guerre fra cavalieri con pochissimi caduti e massacri feroci, nel mondo moderno guerre religiose che coinvolgono intere popolazioni e guerre di "equilibrio" di cui i popoli appena si accorgono. Nell’800 le guerre ebbero costi umani contenuti, non coinvolsero le popolazioni mentre nel 900 abbiamo avuto le più grandi tragedie belliche della storia.
In ogni caso la violenza privata sfugge alla legge, è contro la legge ma la violenza bellica per sua natura di manifestazione dello stato tende a una certa regolamentazione e nascono cosi le “leggi di guerra”
Accanto alle guerre internazionali rivolte cioè verso un altro stato (gruppo, clan, tribù , nazione) abbiamo però anche le guerre civili, le lotte di liberazione, le rivoluzione, le rivolte, tutti fenomeni che spesso si intrecciano con le guerre esterne. Questi fenomeni non possono essere considerati come violenza privata: il rivoluzionario agisce contro le leggi della propria nazione ma perchè intende cambiarle, dare allo stato un nuovo assetto mentre il delinquente comune infrange le leggi per interesse personale, agisce contro le regole, non cerca di cambiarle. Vero è che talvolta la differenza fra criminalità comune e rivoluzione pare sottile, tuttavia i due casi, in linea generale, sono assolutamente diversi.
La rivoluzione quindi ha pure essa, almeno come progetto, un proprio ordine statuale che contrappone a quello esistente. Anche le rivoluzioni sono quindi delle “guerre”: tuttavia in genere non vi sono leggi che la regolano: infatti i poteri costituiti hanno tutto l’interesse a non considerare i rivoluzionari come legittimi combattenti e a confonderli con i criminali comuni, con i banditi. D’altra parte in genere le rivoluzioni non hanno ancora poteri legittimi costituiti e quindi delle proprie leggi. Inoltre e soprattutto le rivoluzioni si pongono come guerre civili in cui i combattenti non sono chiaramente individuabili in formazioni regolari. Nella rivoluzione francese ad assalire la Bastiglia fu il “popolo” cioè una massa composita, non chiaramente definibile, i nemici della rivoluzione erano i nobili in generale, talvolta anche i preti, categorie cioè molto vaghe e incerte donde la difficoltà di individuare regole di comportamento.
Pertanto le guerre civili hanno una caratteristiche difficilmente riconducibili a regole vere e proprie. e tendono ad essere più sanguinose di quelle esterne.
Elemento essenziale delle leggi di guerre è la reciprocità. In effetti ogni contendente si attiene a certe regole nella fondata aspettativa che il nemico faccia altrettanto con reciproco vantaggio. Se io mi astengo all’uccidere donne e bambini mi aspetto che anche il nemico faccia altrettanto, se uso un certo trattamento per i prigionieri pretendo che anche il nemico faccia altrettanto. Questo principio è fondamentale in ogni regola di guerra che può considerasi quindi come un accordo più o meno esplicito fra le parti e la violazione di una regola da una parte comporta la sanzione che anche l’altra parte non la rispetti più.
Si tratta di leggi diverse da quelle dello stato che stabilisce d’imperio le regole e punisce colui che le infrange e non è nemmeno permesso a chi avesse un danno ingiusto dalla violazione delle leggi che si faccia giustizia per conto suo (interdizione della vendetta privata): è lo Stato cioè che garantisce il rispetto delle regole.
Ma nella guerra evidentemente non vi è un autorità che possa garantirle (altrimenti non ci sarebbe nemmeno la guerra) e pertanto la reciprocità è l’elemento essenziale della sanzione. Da questa considerazione nasce una osservazioni importantissima: le leggi di guerre valgono all’interno di una cultura, di una civiltà che le riconosce ma non al di fuori di essa e pertanto quando entità appartenenti a due diverse civiltà vengono in guerra si tende a non osservare alcuna regola: non le proprie perchè i nemici non le osservano e non quelle dei nemici che non si riconoscono.In questo modo ad esempio i Conquistadores spagnoli non applicarono in America affatto quelle regole cavalleresche che invece osservavano nelle guerre in Europa. Anzi all’epoca delle scoperte geografiche non si riconosceva nemmeno la legittimità degli stati non cristiani e le loro terre erano considerate alla stregua di “res nullius” di cui ogni stato cristiano poteva legittimamente impadronirsi. Il papa con il trattato di Tordesillas nel 1495 divise il mondo in due parti con una linea su una carta assegnando l’una al Portogallo all’altra alla Spagna perchè i cristiani avevano tutto il diritto, anzi il dovere di impadronirsi dei regni non cristiani.
Lo stesso principio corretto con sostituire “civile” a “ cristiano” è stato d’altronde la base ideologica del colonialismo dell’ 800 secondo la quale le potenze europee erano in diritto o meglio in dovere di portare la civiltà agli altri popoli attraverso la conquista territoriale.
Sono state variamente elaborate fra l’800 e il ‘900 e formalizzate poi da una serie di accordi fra gli stati (Convenzione di Ginevra, dell'Aja)).
Il concetto fondamentale è che l’azione bellica deve avere il solo e unico scopo di mettere fuori combattimento il combattente nemico. Pertanto è cruciale la figura giuridica del legittimo combattente: esso è quel cittadino che indossa una uniforme riconoscibile e che agisce per conto dello stato a cui appartiene. Le sue azioni non sono quindi imputabili a lui personalmente ma allo stato per cui combatte. Da questo punto di vista quindi se si da prigioniero ha diritto a un trattamento praticamente simile a quello riservato ai soldati : ha anche il diritto di fuggire purchè non uccida altri soldati. Coloro che non sono legittimi combattenti ( i civili) non debbono essere coinvolti: anzi vi è una serie di regole per tutelare non solo la loro incolumità ma anche le libertà fondamentali e i beni. Coloro che invece compiono azioni senza indossare in modo visibile le insegne dello stato ( la divisa) non godono di alcuna tutela ed è legittimo passarli immediatamente per le armi (caso tipico delle spie).
Per quanto abbiamo prima notato tali leggi si applicano solo alle guerre fra stati e in pratica solo fra quegli stati che le accettano. Infatti non si applicano alle guerre civili: nel 1870 i prussiani sconfissero rapidamente i Francesi e si attennero alle regole di guerre: tuttavia quando in seguito alla guerra scoppiò la rivolta di Parigi (la Comune ) il massacro fu generale e indiscriminato ; non si applicarono regole di guerra e i rivoltosi trovati con le armi in mano furono fucilati in massa (muro dei fucilati).
Non si applicarono nemmeno nelle colonie e nelle terre di oltremare: come ad esempio nella lotta ai Dervisci del Sudan, nella spedizione contro i Boxer in Cina, nella lotta contro i pellerossa d’America.
L’attuale diritto internazionale fa quindi riferimento alle Convenzioni di Ginevra . Esse presero avvio per opera della singolare figura di Henry Dunant un pò filantropo e un pò visionario: egli fu particolarmente impressionato dalla battaglia di Solferino per il gran numero di soldati feriti che morivano per la mancanza di adeguate cure e soccorsi. Intraprese pertanto una campagna di sensibilizzazione che nel 1864 si concretizzò nella prima delle Convenzioni di Ginevra.
Attualmente si contano quattro convenzioni di Ginevra e inoltre due protocolli aggiuntivi del 1977
Le prime due convenzione (del 1864 e del 1906) riguardano propriamente la protezione dei feriti e dei malati nelle forze armate combattenti; la terza convenzione contiene (1929) norme relative alla tutela dei prigionieri di guerra. Ad esse si aggiunse una quarta per la protezione delle persone civili in tempo di guerra nel 1949 quando poi tutte le convenzioni furono riviste e riordinate. Nel 1977 si ebbero due Protocolli Aggiuntivi (alla convenzione del 49) che però non furono approvate da tutti gli stati e soprattutto sono rimasti inoperanti per i motivi che vedremo in seguito (vedi: diritto umanitario).
Il punto di vista delle Convenzioni è che non si pretende di giudicare se una guerra sia "giusta" o "ingiusta", sia "lecita" o "illecita ma semplicemente ci si limita a constatare che la guerra esiste e va regolamentata nel modo più umano stabilendo quali siano le azioni permesse e quali quelle proibite.
Il concetto fondatale è la netta distinzione fra LEGITTIMI COMBATTENTI e CIVILI :
I civili non devono prendere parte alle ostilità, devono essere protetti dagli effetti della guerra;
I "legittimi combattenti", invece partecipano alle ostilità e possono appartenere oltre che agli eserciti regolari, anche a milizie e corpi volontari ma l’importante è che debbono essere chiaramente riconoscibili (devono portare divise, insegne, simboli, le armi in vista) e debbono essere disciplinati in modo che siano individuabili i comandanti responsabili. Occorre poi che conducano le azioni attenendosi anche essi alle norme stabilite.Lo "stato di guerra" ( da cui deriva la qualifica di legittimo combattente ) può essere dichiarato da uno stato sovrano internazionalmente riconosciuto: pertanto le convenzioni riguardano le guerre fra stati e non le insurrezioni, le guerre civili, i disordini.
Le convenzioni vietano alcuni tipi di armi, uccidere o ferire l'avversario che abbia deposto le armi, darsi al saccheggio; attaccare o colpire, in caso di assedi o bombardamenti, edifici dedicati alla religione, all'arte, alla scienza o a fini caritatevoli, monumenti storici, ospedali, località dove vengono raccolti feriti e malati.
I combattenti nemici colpevoli di violazioni gravi del diritto bellico sono passibili di processo "per crimini di guerra".
I danni illecitamente arrecati devono essere oggetto di riparazione al termine della guerra.
I prigionieri di guerra devono essere trattati sempre con umanità, essere protetti in ogni tempo specialmente contro gli atti di violenza e d’intimidazione, contro gli insulti e la pubblica curiosità, possono conservare gli oggetti di personale proprietà ( tranne armi ed equipaggiamenti bellici ) e in particolare le insegne del grado e della nazionalità, le decorazioni e gli oggetti aventi valore personale o sentimentale.
Vengono inoltre regolati i trasferimenti, gli alloggi, le cure mediche. Sono garantiti la libertà religiose, la partecipazione a funzioni di culto. sono consentite attività intellettuali, educative, ricreative e sportive. Devono essere inoltre liberati e rimpatriati immediatamente dopo la fine delle ostilità attive.Per quanto riguarda le popolazioni civili che, viene specificato, NON partecipino direttamente alle operazioni belliche, sono previste una serie di garanzie. In generale essi non possono essere oggetto di attacchi e nemmeno essere minacciati di essi. Vanno salvaguardato le risorse indispensabili di cibo e acqua e quindi protetti anche la possibilità di semina e raccolto dei terreni. Non si possono attaccare inoltre impianti di sostanze pericolose ( chimiche, nucleari) né i luoghi di culto, di interesse storico e artistico. Non è consentito inoltre la deportazione delle popolazioni civili.
Le convezioni di Ginevra furono sostanzialmente applicate nella Prima Guerra Mondiale che, anche se fu un massacro spaventoso, tuttavia non coinvolse che marginalmente i civili.
Esse sono state anche sostanzialmente rispettate nelle poche guerre convenzionali dell’ultimo cinquantennio: le guerre arabo-israeliane, la guerre indo pakistane, la guerra delle Falkland. La dichiarazione formale di guerra è caduta in disuso (solo usata nel 1965 fra India e Pakistan) ma si tratta di un aspetto non fondamentale.
Di fronte al dilagare delle guerre “non tradizionali” dopo la conclusione della II Guerra Mondiale è stato promosso un “diritto umanitario” che ha cercato di estendere ai conflitti irregolari le regole delle guerre classiche fra stati . Si è giunti nel 1977 alla firma del I Protocollo Aggiuntivo nel quale vengono prese in considerazioni la nuove realtà belliche.
Ma in verità il tentativo non ha avuto successo nella realtà e il Protocollo è rimasto confinato nelle buone intenzioni senza effettivo impatto nella realtà delle guerre asimmetriche.
Vediamo brevemente i motivi dell’insuccesso.
Innanzitutto si parla di “conflitti armati nei quali i popoli lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell’esercizio del diritto dei popoli di disporre di sé stessi, consacrato nella Carta delle Nazioni Unite” .
Si nota come vi è una valutazione etica e politica estranea invece allo spirito della Convenzione di Ginevra: è chiaro che qualificare una azione come lotta di liberazione o sovversione violenta ( o terrorismo) è un valutazione che certamente le parti in lotta non potranno certo condividere : questo significa che in effetti esse non riconosceranno mai entrambe l’esistenza della situazioni in cui si applicherebbe.
Certamente gli USA non considereranno mai i combattenti islamici in Iraq come espressione del popolo iracheno a un invasione straniera ma li dichiareranno terroristi internazionali , sovversivi che lottano contro la instaurazione della democrazia e cose simili . Anche in Italia le BR affermavano di voler intraprendere una guerra contro la oppressione delle multinazionale, del capitalismo internazionale ma certo lo stato italiano non poteva loro riconoscere questa qualifica.
Non importa dove sia la ragione o il torto: perchè una legge di guerra possa essere effettivamente operante deve essere accettata dalle parti interessate. Una norma come quella che abbiamo citata propria per la sua natura non ha nessuna possibilità di essere accolta da tutte le parti in conflitto perchè la sua accettazione sarebbe esplicito riconoscimento dell’ insostenibilità delle proprie ragioni. .
Altro elemento di inapplicabilità è la figura del “ legittimo combattente“ prevista: per essere considerati tali le formazioni ribelli devono essere inquadrate militarmente e essere riconoscibili prima e durante l’azione militare: se la prima caratteristica può anche essere soddisfatta la seconda evidentemente contraddirebbe alla caratteristica dell’azione: si applicherebbe cioè alla guerriglia più che alla lotta partigiana (secondo le definizioni che ne diamo in seguito)
L’arma aerea può essere usata come appoggio all’esercito o alla marina nel qual caso possono valere le regole della guerra comune ma anche assumere caratteristiche proprie nelle quali difficilmente è possibile osservare quelle regole che valgono negli scontri terrestri o marittimi
Nel primo caso abbiamo una specie di “nuova artiglieria” Ad esempio nella campagna di Polonia gli stukas tedeschi in combinazione con i panzer in pochi giorni travolsero le forze polacche, nel Pacifico la guerra si risolse in scontro fra portaerei, nelle guerra dei Sei Giorni determinarono la vittoria israeliana appoggiando l’avanzata di terra dopo aver distrutto a terra l’aviazione egiziana.
Presto però fu chiaro che oltre all’azione di colpire i soldati nemici, gli aerei potevano svolgere anche compiti più ampi. Potevano colpire gli impianti industriali, le linee di comunicazioni e tutte le altre infrastrutture che rendevano poi in effetti possibili agli eserciti di combattere. In questo caso era impossibile non colpire anche i civili che invece avrebbero dovuto essere risparmiati. Soprattutto però insieme al fine dichiarato della distruzione del potenziale bellico si affiancava il proposito di terrorizzare le popolazioni civili fiaccando cosi la volontà di combattere delle nazioni nel loro complesso.
Già nella guerra di Spagna l’aviazione tedesca aveva proceduto con questo intento. Esempio famoso perchè immortalato da Picasso fu quello di Guernica. In seguito nella “battaglia di Inghilterra” i tedeschi cercarono di creare il panico a Londra per indurre gli inglesi a uscire dalla guerra. Distrussero completamento la cittadina di Coventry (da cui il termine “coventrizzare”) e poi quando la guerra era ormai agli sgoccioli lanciarono i primi missili della storia su Londra . Tuttavia non ebbero mai la forza dei bombardamenti alleati soprattutto americani. Man mano che Giappone e Germania perdevano le capacità di reazione antiarea i bombardamenti si fecero massicci, tremendi. Basta ricordare il bombardamento di Dresda (che non aveva nessuno valore militare) con circa 200.000 vittime, i bombardamenti di Tokio e infine la bomba atomica su Hiroshima.
Ricordiamo anche che i bombardamenti sull’Italia settentrionale continuarono implacabili anche se l'Italia era cobelligerante e c’erano i partigiani a combattere contro i Tedeschi: i caduti per i bombardamenti furono numerosi quasi quanto quelli caduti per la guerra partigiana. Si stenta veramente a comprendere il senso e lo scopo di tanto accanimento. Nel caso quindi della guerra aerea sulle città evidentemente veniva a cadere il principio fondamentale della distinzione fra civile e militare e anzi i primi erano quelli intenzionalmente colpiti.
I bombardamenti quindi furono uno strappo fondamentale alla regole di guerra, dando ad esse qualcosa che non avevano mai avuto: una ferocia implacabile ma anche asettica, impersonale: i piloti non vedevano i corpi straziati, i sepolti vivi , donne, bambini anziani del tutto innocenti e inoffensivi. Non era mai avvenuto nella storia pur terribile delle guerre: sempre l’uccisore e l’ucciso si erano almeno guardati negli occhi.
Dopo il 1945 però l’aviazione non ha più colpito in modo tanto indiscriminato. E’ stata usata ancora in modo massiccio come nella guerra del Viet-nam: tuttavia non si è colpito in modo indiscriminato città popolose ma installazione del nord e la giungla nel famoso sentiero di Ho ci min (le vittime sono state nel complesso contenute ).
Il fatto è che con il progresso tecnologico i bombardamenti a tappeto della II Guerra Mondiale sarebbero troppo devastanti. Si parla di armi atomiche ma in realtà anche con armi tradizionali si potrebbero distruggere intere città e fare milioni di morti. Tecnicamente gli USA avrebbero potuto, ad esempio, nella Guerra del Golfo distruggere Bagdad uccidendo milioni di abitanti. Hanno preferito per motivi politici umani e di altro genere colpire le infrastrutture, gli impianti industriali, le vie di comunicazioni. Si sono fatte molte ironie sulle "bombe intelligenti" e sui danni collaterali: ma in effetti bisogna tener conto che questa tattica è alternativa a quella dei bombardamenti a tappeto. Le regole all’aviazione adottate unilateralmente dalle maggiori Potenze impediscono realmente una tragedia di proporzioni inimmaginabili.
A volte poi l’aviazione viene usata per azioni di rappresaglia contro quei centri che si ritiene abbiano appoggiato azioni di guerriglia e terrorismo ( in Palestina, a Falluja) . Ma ciò rientra nella guerra per bande di cui trattiamo a parte.
Il concetto è spesso confuso con quello di lotta partigiana e terrorismo. I tre concetti sono di difficile distinzione e definizione, a volte vengono usati come sinonimi, a volta invece vengono nettamente e polemicamente contrapposti. Cerchiamo di chiarirne il significato generale.
Propriamente per “guerriglia” si intende una tattica seconda la quale invece di affrontare il nemico in grandi battaglie e frontalmente si preferisce assalirlo improvvisamente e quindi fuggire (mordi e fuggi). Si tratta però di eserciti regolari con chiari segni di riconoscimenti. E’ praticabile in casi particolari nei quali è possibile fuggire e nascondersi dopo l’attacco. Può essere per esempio una tattica sul mare ( gli antichi pirati o i moderni sommergibili) o in luoghi desertici ( i beduini che assalivano i forti della Legione Straniera ) o comunque in grandi spazi spopolati ( le imboscate dei pellerossa). Di per se questa tecnica è ammessa dalle Convenzioni di Ginevra, non implica necessariamente il coinvolgimento dei civili. Tuttavia è piuttosto difficile trovare nell’affollato mondo moderno grandi spazi vuoti in cui adottare questa tattica anche perchè ormai la ricognizioni e aerea e satellitare è in grado di localizzare facilmente i combattenti.
GUERRA PARTIGIANA O DI LIBERAZIONE
La tattica è simile quella della guerriglia ma a differenza di essa dopo l’attacco i combattenti non si rifugiano in grandi spazi spopolati ma si confondono con i comuni cittadini. L’ambiente ideale quindi non sono le montagne ma i grandi centri urbani dove è più facile nascondersi nell’anonimato. Propriamente si parla di partigiani quando nel corso del conflitto il nemico ha occupato in parte o in tutto il territorio nazionale (caso tipico della occupazione tedesca nel corso delle II Guerra Mondiale) . La guerra di liberazione invece concerne propriamente la lotta contro una situazione politica in cui uno stato ne controlli un altro da prima che iniziasse il conflitto e che ne sia internazionalmente riconosciuto ( caso tipico delle colonie).
Si parla anche di guerra per bande ( secondo il termine del Che Guevara) riferendosi a movimenti rivoluzionari: si differenzia propriamente dalla rivoluzione in quanto questa è una sollevazione generale e immediata di tutta la popolazione che riesce ad avere poi anche l’appoggio delle forze armate (rivoluzione francese o russa o iraniana). Dalla rivoluzione non riuscite immediatamente possono nascere poi la guerra per bande o la guerra civile.
Un esercito regolare in uniforme praticamente non è in grado di contrastare la tattica usata in tali casi, può essere colpito in ogni momento e in qualunque modo. Per adottare questa tattica gli insorgenti devono avere il favore generale della popolazione che li appoggia e non collabora con l’esercito nemico e quindi permette loro di nascondersi, di “muoversi come un pesce nel mare “ come si espresse Mao.
Per contrastare una tale tattica quindi l’esercito antiguerriglia deve “prosciugare il mare”: deve cioè colpire quegli ambienti e quei gruppi che danno complicità al partigiano. Il modo più semplice è quello delle rappresaglie indiscriminate come fecero i tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale: le rappresaglie veramente fanno crescere ancora l’odio contro chi le compie ma se portate con decisione alle estreme conseguenze frenano le azioni partigiane. (dopo le Fosse Ardeatine non si ebbero a Roma altri attentati).
Ma il caso più comune è che si tratti di azioni appoggiate non dalla popolazione in generale ma da una parte di essa: in questo caso si colpiscono tutti quelle persone e quegli ambienti che in qualche modo sono sospettati di avere simpatia, di essere potenziali sostenitori dei partigiani. In realtà solo una piccola parte di essa è coinvolta effettivamente e quindi vengono colpite persone che non c’entrano per niente. Inoltre molto spesso, in effetti, la maggioranza della popolazione farebbe molto volentieri a meno di partecipare, non sostiene nè l’uno né l’altro ma è presa in mezzo fra il terrore che incutono gli uni e gli altri.
Altro fenomeno doloroso è che si pratica ampiamente la tortura per costringere le persone a rivelare le informazioni di cui sono in possesso. In realtà è doloroso ammetterlo: tuttavia la tortura è un elemento sempre presente in una guerra asimmetrica fra un esercito regolare e gli insorgenti. Ciò è avvenuto in tutti i casi : per i Tedeschi nella secondo guerra mondiale , per i francesi in Algeria, e poi per Il Fis nella stessa Algeria, per gli americani in Vietnam, per i Russi in Afganistan, per i Curdi in Iraq e Turchia, per tutti i movimenti di sinistra nell’America Latina. E avviene ora in Iraq .Possiamo chiedere quanto si vuole il rispetto delle convenzioni di Ginevra ma questo tipo di guerra ha altre regole, non possiamo fingere di ignorarlo.
Le prospettive di vittoria di un tale tipo di lotta sono varie: In realtà tutto dipende da quanto duramente l’esercito nemico è disposto o è in grado di reagire. Tecnicamente parlando non ci sarebbe problema: l’esercito regolare avendo la padronanza del campo può giungere a qualunque eccesso, fino al genocidio. Tuttavia ragioni politiche e umanitarie possono porre dei freni alla sua azione. Se si tratta di una guerra interna evidentemente l’esercito a un certo punto limite può fermarsi e passare al campo opposto. Se si tratta invece di eserciti stranieri, comunque bisogna tener conto della opinione pubblica del proprio paese, dei propri principi umanitari e civili della necessità di aver anche l’appoggio di una parte almeno del paese.
La vittoria e la sconfitta quindi non è tanto un fatto militare quanto un fatto politico e ideologico.
Durante il colonialismo nell’800 le rivolte coloniali sono sempre state soffocate nel sangue ma negli anni 60 gli europei nel complesso concessero l’indipendenza senza nemmeno tentare di combattere i movimenti nazionalisti. In Algeria invece i francesi resistettero a lungo ma alla fine con De Gaulle preferirono ritirarsi ansiosi di rivestire un ruolo politico sulla scena mondiale. Nell’America Latina invece tutti i movimenti insurrezionali ( per bande) sono stati sconfitti perché il potere è riuscito a distruggere gli ambienti relativamente poco numerosi che potevano dare ad essi supporto. In Viet-nam e in Afganistan invece gli eserciti regolari si sono dovuti ritirare ma non perchè sconfitti ma perchè ormai l’opinione pubblica disapprovava fortemente quelle guerre. Nessun effetto invece ha avuto sugli Israeliani un tale tipo di lotta poichè essi sono assolutamente determinati a non cedere
A differenza della guerriglia il terrorismo porta attacchi indiscriminati colpendo civili e militari con una netta prevalenza per i primi per la maggiore facilità . Si parla di terrorismo degli uomini bomba palestinesi, dell’attacco alle Torri Gemelle, dell’assalto alla scuola di Beslan, negli attentati dei separatisti Baschi o dell’IRA irlandese. In verità gli autori ritengono “non sostanziale” la differenza fra civili e militari e considerano gli attentati come l’aviazione dei poveri.
Di per se il terrorismo non è in grado di abbattere un potere costituito né tanto meno sbaragliare un esercito. Raramente può creare delle condizioni per cui la controparte è maggiormente disposta a trattare: può essere avvenuto in qualche caso nelle colonie ma in realtà le potenze europee erano gia intenzionate a abbandonarle. In generale invece esso provoca un irrigidimento della situazione permette di convogliare l’avversione della opinione pubblica nazionale e internazionale. In nessun caso nella storia recente il terrorismo è riuscito a conseguire risultati risolutivi ed è uscito sempre sconfitto. Può avere un certo valore solo come un momento iniziale immediatamente seguito da una rivolta generale o da un guerra civile.
Se il terrorismo difficilmente consegue risultati apprezzabili tuttavia è anche difficile combatterlo. Esso infatti è opera in genere di piccoli gruppi difficilmente individuabili. Non è possibile procedere ad azione di rappresaglia generale che spingerebbero magari ad allargare l’azione terroristica fino a una guerra per bande. Per questo motivo spesso i movimenti terroristici possono durare indefinitivamente, per periodi lunghissimi (Baschi in Spagna, “moros” nelle Filippine, Ira in Irlanda). Si teme che anche il cosi detto” terrorismo islamico” possa durare ancora a lungo.
In questo caso lottano non due poteri o aspiranti poteri statali ma propriamente due gruppi su base etnica e/o religiosa: il numero dei caduti e la ferocia della lotta raggiungono i massimi livelli. Non si tratta infatti di combattere contro un esercito nemico ma tutti i componenti del gruppo rivale sono parimenti dei nemici solo per il fatto di appartenere a quel gruppo. Arriviamo cosi all’estremo alla pulizia etnica, al genocidio.
All’inizio della Prima Guerra Mondiale fu perpetrato il genocidio degli Armeni: i Turchi temendo a ragione o a torto che gli Armeni cristiani parteggiassero per la Russia cristiana disposero la deportazione di quel popolo dalle antichissime sedi dell’Anatolia alla Siria ma l’operazione si concluse con la morte della grande maggioranza dei deportati.
La II Guerra Mondiale fu il conflitto non solo fra stati e fra ideologie ma anche su basi etniche : all’est infatti esso determinò scontri furiosi fra gruppi etnici diversi con massacri terribili fra Croati e Serbi, fra Russi e etnie non russe residenti nella Russia stessa, e soprattutto fra Tedeschi e slavi in generale: la maggior parte delle vittime della guerra infatti si ebbe all’est proprio perché in conseguenza della scontro etnico.
Non può invece considerarsi effetto di una guerra etnica lo sterminio degli ebrei: non si è infatti trattato affatto di una guerra fra popoli: non vi era alcuno scontro fra ebrei e tedeschi ma, caso unico nella storia, un intero popolo e stato sterminato senza che esso partecipasse in qualunque modo a una guerra, che anzi non opponesse nemmeno resistenza.
Anche ai confini con la Jugoslavia fra Italiani e slavi vi fu uno scontro etnico culminato con gli atroci episodi delle foibe.
Con la fine del colonialismo negli ultimi 50 anni lo scontro etnico è divampato nelle regioni nelle quali più che una coscienza nazionale esiste una realtà tribale. Abbiamo guerre etniche religiose fra India e Pakistan, la guerriglia dei Tamil, i moros nelle Filippine ma soprattutto in Africa lo scontro etnico ha provocato la maggior parte di guerre e i caduti degli ultimi anni. Particolare impressione e raccapriccio ha destato il massacro dei Tutsi: ma in un pò in tutto il continente divampano guerre spesso dimenticate: il Congo, il Sudan, la Liberia il Mozambico, l’Angola sono tra i paesi più disastrati
Comune è l’impressione che alla fine della secondo millennio la guerra sia un fenomeno in espansione. Ma, in realtà, si tratta di una impressione errata dovuta alla grande risonanza che hanno avuto nei mass media alcuni conflitti, e, da osservare, nemmeno quelli più sanguinosi. In realtà la guerra è stata la prospettiva comune di tutta l’umanità e fino alla metà del 900 era considerata un normale mezzo di fare politica, la "continuazione della politica con altri mezzi" come si esprimeva von Clausewitz.
Il disastro della II Guerra Mondiale però ha indotto però tutti a un profondo ripensamento. Per la prima volta nella storia Francesi e Tedeschi non pensavano più a chi avrebbe vinto la prossima guerra. E con essi nessuna nazione dell’Occidente pensò a regolare i contenziosi con i vicini attraverso le guerre come era sempre accaduto. Restò ancora la guerra fredda che in realtà fece anche milioni di morti: ma la fine del comunismo ha quindi allargata l’area della pace a tutto il mondo ex comunista relegando inoltre nel passato l’idea di rivoluzione violenta (guerra civile).
La guerra si è ristretta sostanzialmente all’ambito del mondo mussulmano e in quello dell’africa nera: in queste solo due aeree si combatte ancora e dolorosamente ma questo significa pure che per la prima volta nel corso della storia la maggioranza del mondo non solo è in pace ma nemmeno prende in considerazione l’idea di nuove guerre.
Anche nel passato vi sono stati periodi abbastanza ampi di pace: ma si trattava propriamente di mancanza di guerra e le nazioni si preparavano ad essa come a un fatto ordinario.
La prima storica testimonianza di una guerra è del 2975 a.C. (Faraone Udimo). Da allora ne sono state combattute 27.500, con una media (escluse quelle locali - civili e comunali) 5,5 guerre ogni anno. Un breve calcolo ricavando i dati dal Compendio Storico Universale di Cambridge, le vittime in tutte le guerre combattute sono state circa 350.000.000. Una media annua fino all'inizio del '900 di circa 65.000 vittime.
Ma dall'inizio del '900 fino alla fine del secolo, cioè negli ultimi 100 anni, le vittime sono state in media circa 1.000.000 ogni anno.