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Pubblicato  IN DIES il 19/12/2024

Chi sono gli alawiti

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Giovanni De sio Cesari

www.giovannidesio.it  

 

Gli ultimi inattesi avvenimenti in Siria hanno portato alla ribalta internazionale gli alawiti, prima pressoché sconosciuti. Si riferisce che da tutte le principali città della Siria un gran numero di alawiti si diriga verso le loro terre di origine, cioè i monti della Siria che si affacciano sul Mediterraneo, alle spalle della città principale di  Latakia (antica Laodicea).
Ma chi sono gli alawiti?
A somiglianza di quanto avviene anche nel cristianesimo, il mondo islamico non solo è diviso fra le due confessioni principali,  sunniti e sciiti, ma presenta anche molti gruppi religiosi, che possiamo definire "sette" (cioè divisi), minoritari e con caratteri particolari: i drusi, gli ismaeliti, gli zaiditi (houti dello Yemen), gli yazidi e tanti altri. Fra questi gruppi troviamo gli alawiti, che, per motivi politici, sono stati a volte assimilati agli sciiti (con cui hanno in realtà poco in comune) oppure considerati “buoni musulmani” di carattere sunnita. In realtà, essi costituiscono un gruppo dalle credenze ben distinte: il loro rapporto con gli altri musulmani potrebbe forse essere paragonato a quello fra i Testimoni di Geova e il cristianesimo in generale: i primi si dichiarano veri cristiani, ma in realtà rigettano la maggior parte delle credenze del resto della cristianità.

Stranamente, non si sa molto della fede alawita – anche all'interno della stessa comunità alawita – perché le sue credenze e pratiche sono accessibili solo a pochi iniziati. È noto, però, che hanno alcune dottrine lontane dall’Islam: la credenza nella trasmigrazione dell’anima, la reincarnazione, la divinità di Ali ibn Abi Talib (il quarto califfo e cugino del Profeta Muhammad) e una santa trinità che comprende Ali, Maometto e uno dei compagni del profeta, Salman al-Farsi. Siamo quindi ben lontani dalla fede islamica, motivo per cui gli alawiti sono stati spesso vittime di persecuzioni e discriminazioni da parte delle autorità, trovando rifugio fra i monti.

Un tema comune dell’identità alawita è la paura delle persecuzioni sunnite, cessate solo con la fine dell’Impero ottomano. Con il mandato francese, che ha sostituito l’Impero ottomano nel 1918, gli alawiti – come altre minoranze, ad esempio i maroniti del vicino Libano – hanno superato la marginalità tradizionale e iniziato un percorso verso l’emancipazione politica. Questo processo è stato favorito dal fatto che, per forza di cose, gli alawiti sono diventati sostenitori del laicismo, che coincideva con la loro emancipazione.

Gli alawiti sono stati infatti tra i maggiori sostenitori del partito Baath (socialista e laico) e della sua ideologia panaraba, che rappresentava un modo per trascendere la stretta identità settaria. Inoltre, l’occupazione degli uffici statali e, soprattutto, dell’esercito era un’opportunità per la promozione sociale e per sfuggire alla povertà. Così, nel 1955, la maggior parte degli ufficiali che portarono il Baath al potere erano alawiti. Nel 1970 il potere fu preso da Hafez al-Assad, un alawita, padre del rais recentemente deposto e fuggito in Russia. Assad si circondò di persone del suo gruppo, di cui poteva fidarsi maggiormente, e la setta fu sovrarappresentata nelle istituzioni statali.

Dal 1970, il regime siriano ha incoraggiato gli alawiti a emigrare dalle regioni di montagna verso le pianure, assegnando loro proprietà che erano appartenute a un’élite sunnita e offrendo loro posizioni di rilievo nelle grandi città siriane, sia nell’amministrazione statale sia in ambito militare. Tuttavia, l’identità degli alawiti è stata gradualmente spostata dall’ambito religioso a quello politico: la comunità non si identificava più nel proprio credo religioso, ma semplicemente nel sostegno alla famiglia Assad, mentre lo stesso Baath ha perso ogni ideale iniziale.

Gli alawiti, storicamente respinti dall’Islam, hanno dovuto sostenere la narrativa secondo cui erano “buoni musulmani” per legittimare la leadership di Assad. Con il regime Assad, però, gli alawiti non hanno ricevuto alcuna istruzione sulla loro stessa religione. I libri di testo siriani non contengono alcuna menzione della parola “alawita”, e il regime ha negato qualsiasi spazio pubblico agli alawiti per praticare la loro religione.

Gli alawiti hanno forse ottenuto vantaggi economico-politici, ma al prezzo della loro identità religiosa. Non sono più una comunità coesa, né possono impegnarsi in un dialogo con le altre comunità siriane, il che ha rafforzato sospetti e timori settari.

Fra le confessioni siriane, gli alawiti sono i più laici, vantano il maggior numero di matrimoni interconfessionali e sono ben integrati con altre sette, sia nei rapporti personali che in ambito lavorativo. Si percepiscono come i più liberali e laici dei musulmani, evidenziando il loro consumo di vino, l’interazione libera tra uomini e donne, e uno stile di vita più vicino ai modelli occidentali.

È difficile dire oggi che cosa renda qualcuno alawita, se non la nascita in una famiglia alawita. La maggioranza sunnita, nel frattempo, ricorda la brutalità con cui fu repressa l’insurrezione armata dei Fratelli Musulmani, con circa 30.000 vittime.

Gli alawiti negano di controllare lo stato, affermando di essere addirittura sottorappresentati nelle cariche pubbliche e di battersi solo per la Siria intera. Lo slogan “Assad per sempre” riflette la loro incapacità di separarsi dal regime, considerato un tradimento vergognoso non sostenerlo fino alla fine.

Tuttavia, il nuovo leader della rivolta, Al-Jolani, ha assicurato che rispetterà l’identità degli alawiti allo stesso modo di tutte le altre comunità etniche e religiose. Non resta che attendere per vedere se il nuovo regime riuscirà a costruire una Siria libera dalle tensioni etniche e religiose, che negli ultimi 15 anni l’hanno ridotta in macerie.

In realtà, già da quando il partito Baath  prese il potere, il settarismo è diventato un tabù: ogni riferimento alle identità religiose è stato duramente represso. Tuttavia, l’appartenenza religiosa è rimasta nascosta, ma non superata. L’identità etnico-religiosa persiste in tutte le società e, nei momenti di crisi, ritorna con forza.

Cosi è avvenuta anche in Europa nella ex Yugoslavia nella quale il regime di Tito sembrava avesse superato ogni divisione etnica che invece riesplosero improvvisamente e drammaticamente  quando si indebolì e cadde il regime comunista