Siamo fra due guerre ormai da tempo,
quasi un anno in Medio Oriente e quasi due anni e mezzo in Ucraina: tutti
tentano in tutti i modi di arrivare a una pace, ma i due conflitti
continuano e si intensificano e la fine sembra sempre più lontana. Ma,
sebbene sia chiaro che diventano sempre più inconcludenti, perché continuano
ancora? Perché una pace, che a tutti pare la cosa più desiderabile, non
arriva? Perché continuano implacabili stragi e distruzioni?
Ci sono ragioni generali e altre specifiche, diverse per i due conflitti,
che sono ben distinti: cerchiamo di indicarle sommariamente.
In linea generale, tutte le guerre si sa come cominciano ma non si sa quando
e come finiranno: chi le promuove parte con l’idea che saranno brevi e
vittoriose (altrimenti non le inizierebbe), ma poi molto spesso diventano
lunghe, incerte, sanguinose e rovinose per entrambe le parti.
Per fare qualche esempio, la Prima Guerra Mondiale cominciò tra l’entusiasmo
dei popoli e degli eserciti, sicuri, da entrambe le parti, che a Natale di
quel 1914 gli eserciti sarebbero tornati vittoriosi. La guerra, la “inutile
strage”, come la definì il Papa, durò invece quattro infiniti anni, con
milioni di morti. Senza tener conto della tragica esperienza della Prima,
scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, nella convinzione che i mezzi moderni
avrebbero reso il conflitto veloce e relativamente poco sanguinoso. In
realtà, all’inizio sembrò proprio così: i tedeschi in 17 giorni vinsero in
Polonia, in qualche settimana occuparono la Norvegia, sconfissero la Francia
in appena 40 giorni. Poi la guerra si infiammò per altri lunghi quattro anni
e divenne una carneficina e una distruzione mai vista prima nella storia.
Tuttavia, finirono in pochi anni perché le forze in campo si affrontavano in
una lotta totale e aperta. Altri conflitti, invece, si sono trascinati per
decenni: si pensi al Vietnam, che fu in guerra dal 1942 al 1972, per quasi
30 anni ininterrottamente, perché nessuna delle due parti riusciva a
distruggere l’altra, e ciascuna veniva massicciamente appoggiata
dall’esterno.
La maggiore difficoltà per arrivare alla pace è l’odio che aumenta con il
numero delle vittime. Ciascuna delle parti non vuole perdere, ciascuna
afferma che non vincere significherebbe che i tanti morti sono caduti
inutilmente. Tutto si avvita in una spirale difficile da interrompere.
UCRAINA
Il
conflitto ha origini piuttosto lontane, risalenti all’800, con il risorgere
dei nazionalismi e la riscoperta da parte ucraina di una propria identità
nazionale. Recentemente, con la dissoluzione dell’URSS, è nato in Ucraina il
mito, infondato storicamente ma comunque vivo, di un “dominio” russo
sull’Ucraina. Soprattutto, però, la forte emigrazione ucraina verso
l’Occidente ha mostrato il benessere dell’Occidente, al quale l’Ucraina
desidererebbe assimilarsi. Nel 2004 abbiamo avuto la Rivoluzione Arancione e
soprattutto i fatti di Maidan del 2014, che da una parte spingono l’Ucraina
verso l’Occidente, ma dall’altra creano una frattura con una parte non
trascurabile della popolazione di lingua russa.
Esplode la rivolta del Donbass, fomentata e sostenuta dalla Russia, che si
annette la Crimea, che in effetti non aveva mai storicamente fatto parte
dell’Ucraina. Il conflitto del Donbass si trascina a lungo in una guerra di
bassa intensità. Nel 2019 viene eletto Zelenskyj, un attore e non un
politico di professione, e allora Putin pensa che una “operazione speciale”
breve e poco sanguinosa possa rimettere in Ucraina la fazione filorussa.
L’operazione però, clamorosamente e, diciamo pure, con sorpresa generale,
fallisce miseramente. Gli ucraini resistono e arrivano armi dall’Occidente.
La guerra avrebbe dovuto finire in quel momento, ma Putin e i russi, fallito
il primo intento, non vogliono apparire sconfitti e allora invadono le
regioni periferiche abitate da russofoni già in rivolta, annettendole
La guerra avrebbe potuto finire allora, anche perché perdere province
ribelli non sarebbe stato poi un male così grave per la stessa Ucraina. Ma
gli ucraini, ritenendosi ormai vittoriosi, ritengono che i tanti caduti
sarebbero morti inutilmente, e allora lanciano un’offensiva che avrebbe
dovuto sfondare le linee russe, sconfiggerle rovinosamente e perfino
riconquistare la Crimea. L’offensiva non riesce, la situazione si impantana
sempre di più. L’Ucraina ha avuto forse 500.000 tra caduti e feriti, il
territorio è devastato, le infrastrutture, specie quelle energetiche, in
rovina, forse dieci milioni (un numero enorme) di abitanti sono profughi
all’estero e forse non torneranno mai.
L’Ucraina è esausta, tuttavia Zelenskyj, in questi giorni, presenta un piano
di pace che consiste nello sconfiggere la Russia: in pratica, la
continuazione della guerra. Potrebbe mai ammettere che tutto ciò che è
accaduto negli ultimi due anni è stato inutile? E discorsi simili farà
Putin, che certo non può uscirne sconfitto e umiliato.
La guerra continua…
Gli unici che potrebbero farla terminare sarebbero gli Occidentali, negando
le armi all’Ucraina: ma questo non significherebbe rinnegare la politica
fino ad ora perseguita?
La GUERRA DI GAZA
Il
punto centrale del conflitto è che la maggioranza dei palestinesi pensa che
sarebbe possibile e anzi doveroso distruggere, con l’aiuto di Dio, Israele
lo stato creato dagli invasori ebrei, e liberare la Palestina dal Giordano
al mare, come si dice. Più passa il tempo, però, più la posizione di Israele
si rafforza, diciamo si stabilizza: anzi, è apparso chiaro negli ultimi anni
che anche le nazioni arabe, seguendo l’esempio dell’Egitto di 40 anni fa,
siano disposte realisticamente al suo riconoscimento.
Ecco allora che Hamas, il 7 ottobre, scatena un’azione imprevista e cruenta,
con l’uccisione di 1.300 israeliani e la presa di 250 ostaggi
che aveva l’obiettivo di scatenare una crisi che rendesse impossibile il
temuto riconoscimento di Israele e quindi la fine del sogno di una Palestina
libera. Il colpo, in realtà, ottiene il risultato previsto, ma la guerra non
mette in forse l’esistenza di Israele, bensì una tragedia immane per il
popolo palestinese. A Gaza, i morti hanno superato i 40.000, e tutto il
territorio è devastato, tutti i suoi abitanti, da un anno, vivono in un
orrendo incubo.
Gli israeliani vorrebbero in questo modo convincere i palestinesi che il
tentativo di distruggere Israele porta solo e sempre a grandi catastrofi per
gli arabi, come in effetti è sempre accaduto e si rinnova oggi. Tuttavia, in
pratica, questo risultato sembra non riuscire: nulla fa pensare che Hamas
sia ripudiato dai gazawi. Fermare l’offensiva significherebbe accettare che
Hamas rimanga al potere della Striscia, e quindi tutte le operazioni di
quest’anno sarebbero state inutili. D’altra parte, se Hamas accettasse di
ritirarsi da Gaza, tutta la lotta condotta da tre generazioni sarebbe stata
vana.
Un discorso analogo possiamo fare per gli Hezbollah del Libano.
Coloro che da tre generazioni
continuano a dire che Israele sarà distrutta non possono ammettere che
questo non è possibile, e che tre generazioni sono trascorse da tragedia in
tragedia inutilmente: non resta che combattere, e se Dio vorrà, si vincerà.
Similmente, per gli israeliani: fino a quando gli arabi non accetteranno
Israele, non resta che colpire, colpire e colpire sempre più duramente.
Anche in questo caso, forse, la soluzione sarebbe nelle mani dell’Occidente.
Israele, come l’Ucraina, dipende dai rifornimenti di armi dell’Occidente,
che potrebbero essere condizionati alla fine della guerra o, diciamo meglio,
a un armistizio, nella speranza che emergano fazioni arabe più realistiche,
che puntino ai due stati, e non alla liberazione della Palestina.
Ma anche questo appare difficile: come non rifornire Israele, che si trova
pur sempre di fronte alla minaccia di distruzione e a una nuova Shoah?
In questo modo, le due guerre, come un po’ tutte le guerre, si avvitano su se stesse in un circolo vizioso che è difficile spezzare.