Pubblicato   da     www.cronologia.it e Enciclopedia ENCARTA  agosto  2007.                        HOME          

 
SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
PALMIRO TOGLIATTI

Nota: L'articolo è la sintesi del saggio integrale (120 pagine): Palmiro Togliatti ( qui in rete )

TOGLIATTI E LA RIVOLUZIONE

Giovanni De Sio Cesari
www.giovannidesio.it

Indice: Introduzione - Formazione giovanile - Formazione politica- Interpretazione del fascismo - A livello internazionale - Svolta di Salerno - Attentato di Pallante - Nascita della repubblica - Togliatti all’opposizione - La destalinizzazione - Manifestazioni del 1960 - Memoriale di Yalta- Conclusione: il paradosso di Togliatti

INTRODUZIONE

Un mondo diverso
Sono passati ormai oltre quaranta anni dal giorno in cui Palmiro Togliatti si spense a Yalta, quasi emblematicamente in quella nazione che nel bene e nel male si diceva protesa a quel comunismo di cui è stata sempre la patria ideale, la meta a cui Togliatti guardava.

In questi quaranta anni altre generazioni si sono succedute, molti giovani e non più tanto giovani ormai non ne conoscono che vagamente il nome. Il mondo è cambiato, molto cambiato: diversi sono i problemi, diversi le situazioni internazionali, diverso il linguaggio. La classe operaia non è più l’asse portante della società, perchè la grande industria ormai non è più il volano della produzione e del progresso economico. Oramai le masse dei poveri e degli sfruttati non si trovano più tanto nelle aeree industriali avanzate quanto nei paesi dell’est europeo, dell’Africa, dell’ Asia e del Sud America e formano pertanto una specie di riserva di mano d’opera a buon mercato, Lo stesso concetto di “proletariato”, concetto chiave del comunismo, trova difficoltà di applicazione in una società moderna nella quale la classe media si è sviluppata a dismisura, inglobando in sè la stessa classe operaia. Perfino il concetto di lavoro dipendente, per altro, scricchiola poichè la moderna organizzazione economica erode sempre più indefinibile la differenza fra il lavoratore dipendente e quello autonomo con la flessibilità del lavoro, degli orari,delle retribuzioni.

Il comunismo
Se i regimi comunisti dei paesi del cosi detto socialismo reale sono entrati in crisi e poi si sono dissolti pur tuttavia , noi crediamo che il “comunismo” , come ideale etico politico, come concezione globale dell’uomo rimane sempre vivo nella nostra società in cui le ingiustizie sociali e le disuguaglianze sono sempre presenti. Cosa fu infatti il comunismo per le masse e gli intellettuali che solo alcuni decenni fa lo sognarono e lo attesero con così tanta fede?
Risposta non facile: storici, filosofi, politologi, economisti hanno dato tante risposte diverse, a volte contrastanti e inconciliabili.

Ci sia consentito invece citare non uno studioso ma un artista che proprio per sensibilità può considerarsi più vicino alla gente comune: Giorgio Gaber. Nel recitato “Qualcuno era comunista” elenca tutti i motivi, anche i più contrastanti per cui la gente credeva nel comunismo: per conformismo e per antinconformismo, per dispetto o per convenienza, per i motivi più vari e talvolta puerili ma il vero motivo era che
“Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa.
Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno.
Era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita”.

Ci pare che il vero senso del comunismo sia proprio questo: una aspirazione al bene, alla giustizia, che il comunismo non sia solo una utopia ma abbia un valore utopico che è stato e sarà sempre presente nell’uomo.

Comprendere come questa aspirazione sia stata presente, e con così tanta forza nel mondo di cui Togliatti sembrava l’incarnazione suprema, ci è sembrata una ricerca vitale e interessante anche nel nostro mondo pur tanto diverso da quello dei nostri padri.

Ma comprendere Togliatti significa soprattutto inquadrarlo nel suo contesto culturale, percorso dalla ferma convinzione di esser sulla via di costruire un mondo in cui “marxianamente” cessa lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, vi è uguaglianza, dignità, libertà e giustizia per tutti; la “Rivoluzione ” era allora più vicina di quanto non lo fosse mai stata, o per lo meno lo era nelle idee di chi la aspettava. E per questa aspirazione si era pronti a sacrificare tutto: non solo se stessi, ma anche gli altri e talvolta anche,purtroppo, la giustizia e la verità.

Abbiamo cercato di vedere Palmiro Togliatti con gli occhi e le strutture mentali della sua epoca perché ogni momento culturale e storico ha una sua autocentralità e una sua autoreferenzialità; non si può comprendere i crociati medioevali con una sensibilità religiosa moderna.
Togliatti non fu semplicemente il maggior dirigente comunista italiano, ma un protagonista della sua epoca e uno dei padri fondatori della nostra repubblica: la folla oceanica che intervenne ai suoi funerali fu la visibile prova di quanto la sua personalità e la sua opera avessero inciso profondamente nella realtà del suo tempo.

LA FORMAZIONE GIOVANILE

Nella personalità ricca e complessa di Palmiro Togliatti l’aspetto politico predomina su quello privato ed è indubbio infatti che gli elementi biografici e psicologici non debbano essere assunti come le cause reali dei suoi comportamenti politici. Sarebbe estremamente riduttivo, non conforme ai criteri storici: occorre certamente rintracciare le cause del suo agire politico in valutazioni politiche e non in altro; tuttavia bisogna anche tener conto che nella guida del Partito Comunista Italiano tenuta da Togliatti per tanti anni, la sua personalità ha pure avuto un rilievo non trascurabile. Pertanto ci pare opportuno premettere all’analisi della sua azione politica un breve riferimento alla sua formazione umana e culturale cronologicamente anteriore alla sua attività.

La famiglia
L’ambiente di provenienza di Palmiro Togliatti non è la classe operaia, ne il proletariato, come magari tanti dei suoi ammiratori avrebbero preferito. In realtà bisogna tener presente che la guida del movimento del proletariato può essere assunta da persone che abbiano una adeguata preparazione culturale e ben difficilmente in un ambiente proletario della fine dell’800 era possibile accedere al mondo della cultura.

Togliatti proveniva da un ambiente che, anche se non definibile proletario, era comunque molto povero. Egli nacque infatti nel 1883 a Genova da genitori ambedue insegnanti, in quella piccolissima borghesia della fine dell’800, che se da una parte ambiva distinguersi dal ceto operaio, tuttavia viveva, o forse sarebbe meglio dire “sopravviveva” in condizioni economiche estremamente misurate. Era un mondo in cui ogni spesa superflua era bandita rigorosamente, in cui il maggior merito delle madri di famiglia era quello di far durare una striminzita “mesata” per un intero mese, impresa che appariva davvero ardua.

Fin dalla fanciullezza Togliatti conobbe quindi la difficoltà della vita, l’impegno serio nello studio visto come dovere sociale e come mezzo per un avvenire migliore: non è quindi un intellettuale,che fra gli agi della propria facile vita volge con leggerezza il pensiero a quelli che non hanno vita altrettanto facile.
Fondamentalmente la sua era una famiglia religiosa. di una religiosità salesiana, aperta, non incentrata sul senso della colpa, del male ma sulla gioia dello operosità. Segno della religiosità familiare fu anche il nome stesso di Palmiro che era derivato dal giorno della sua nascita che era appunto una Domenica delle Palme.

Togliatti, a differenza di tanti altri esponenti della sinistra, non fu mosso da risentimenti religiosi personali dovuti a personali esperienze negative: lucidamente analizzò le funzioni politiche della religione e direi soprattutto del clero e della Chiesa, ma guardò ad essi sempre con chiarezza, distacco e anche rispetto.


Gli studi
La sua formazione culturale è anteriore a quella politica. fu sempre un uomo di cultura: anche in mezzo alle incessanti cure politiche si appassionava a problemi squisitamente culturali: erano celebri le sue dissertazioni sul Dolce stilnovo
Ebbe sempre l’aria di professore che spiegava, insegnava, qualche volta si spazientiva: si sentiva in lui non solo l’uomo di parte ma anche l’uomo dotto, con una visione culturale superiore che conosceva e valutava le cose con un metro più ampio E questo fu un motivo non trascurabile del suo successo.

FORMAZIONE POLITICA

La Torino del 900
L’ambiente culturale in cui si formò politicamente Togliatti fu sostanzialmente la Torino dei primi decenni del ‘900.
Infatti nel 1911 muore il padre e Togliatti rimane senza mezzi economici per frequentare la università ma vinse una borsa di studio.
Non si può pensare che il suo pensiero, come d’altronde la formazione del partito comunista, nasca per un moto proprio, senza tener conto delle condizioni socio economiche del tempo
La Torino della seconda decade del ‘900 è una città in piena espansione.
Vi si erano installate le officine Fiat, il cui valore andava molto al di la del puro dato economico ed occupazionale, creavano nell’operaio una coscienza ancora oscura della sua centralità economica che reclamava anche una centralità politica.

Togliatti entra quindi in contatto con gli ambienti culturali e politici di questa Torino nella quale Incontrò e conobbe anche Antonio Gramsci. con il quale rimase a lungo in contatto ma non pare però che fra i due vi fosse una grande simpatia personale
Togliatti conosce inoltre gli uomini di cultura che allora facevano di Torino un centro di cultura e fra essi inoltre i futuri dirigenti del partito come Tasca e Terracini.

L'ordine nuovo
Da questi incontri nacque “ L’ORDINE NUOVO” un periodico socialista fondato a Torino il 1° maggio 1919 di cui fu uno dei condirettori . La rivista ebbe notevole importanza non solo nella formazione politica ma anche nelle sue azioni concrete.
Verso la fine dell'estate del 1920 la lotta nelle fabbriche si esaspera e gli operai metallurgici proclamano lo sciopero generale e occupano le fabbriche. Il gruppo degli ordinovisti sospende la pubblicazione del giornale per partecipare alla lotta nelle fabbriche, alle assemblee. Vi è la tensione fra gli operai impegnati in uno sforzo rivoluzionario e il partito più prudente, si arriva quasi al punto di rottura.

Togliatti partecipa attivamente, fa parte di delegazioni degli operai.
L 'occupazione finisce poi il 26 settembre si ottengono miglioramenti salariali e normativi ma non la sperata "Rivoluzione": Togliatti realisticamente sull'«Avanti!» esorta gli operai a respingere l'illusorio controllo operaio delle fabbriche, a la cogestione proposta da Giovanni Agnelli.
Le pubblicazioni furono poi soppresse all'avvento del fascismo anche se furono riprese saltuariamente fino al 1924.

Adesione al socialismo
Si è molto discusso sulla effettiva data di adesione di Togliatti al Partito Socialista ma certamente la sua maturazione politica fu lunga e meditata. Togliatti stesso afferma che si iscrisse al Partito socialista nel 1914 ma vi sono alcuni dubbi in proposito. Tuttavia non ci pare che poi la questione sia molto rilevante: in realtà la adesione piena, completa e consapevole di Togliatti al socialismo è qualcosa di maturato razionalmente e lentamente e non con semplice slancio della giovinezza,come d’altra parte è da aspettarsi dallo stile psicologico del personaggio.

La guerra
Molto interessante è considerare l’atteggiamento che aveva assunto nei riguardi della guerra. Seguendo quello che fu poi un generale movimento della sua età, fu interventista alla vigilia della Prima Guerra Mondiale: ma il suo interventismo va inquadrato, non nell’esaltazione nazionalista (come per Mussolini), ma nella prospettiva democratica di Salvemini.
Togliatti quindi chiese l’arruolamento volontario ma, giudicato non adatto al sevizio militare per miopia, fu poi arruolato nella Croce Rossa: tuttavia per motivi di salute, essendo sopravvenuta un lunga malattia, non prestò praticamente servizio
In questo modo in realtà egli fu lontano da quell’insieme di esperienze, di pericolo, di abitudine alla violenza, di frustrazione che fu bagaglio psicologico che tanti “ufficiali di complemento” riportarono nella vita civile e nella politica.


L’INTERPRETAZIONE DEL FASCISMO

Fenomeno di massa
Notevole è che Togliatti si rese perfettamente conto della natura del fascismo nella della realtà del momento storico, mostrò di non lasciarsi prendere dall’entusiasmo, non lesse la realtà alla luce delle aspirazioni, scambiando realtà e desiderio.
Egli fu tra i primi, fra i pochi, che compresero che il fascismo e i movimenti affini di destra non erano semplicemente una vuota apparenza una "nebbia che si scioglie al primo sole del mattino come diceva Croce, ma avevano un loro base sociale ed economica, e non facilmente sarebbero stati sconfitti. Non era qualcosa di inspiegabile, tutto nella storia ha delle motivazioni.
Fra quelli che hanno richiamato l'attenzione sul Togliatti “studioso e teorico” fu proprio De Felice che coglieva negli scritti del dirigente comunista la capacità di mettere a fuoco la costruzione del regime di Mussolini e la sua base di massa.

Va tenuto in debito conto l’analisi di Togliatti sul fascismo che ebbe come uno dei momenti culminanti le lezioni tenute a Mosca nel ’35 davanti a comunisti italiani esuli.
Togliatti rilevava, quaranta anni prima di De Felice, che, a differenza dei vecchi movimenti reazionari che facevano riferimento alle poche cerchie di privilegiati, in realtà essi si rivolgono alle masse e che pertanto può essere definito un “movimento reazionario che ha una base di massa”.

I fascismi
Togliatti critica pure il fatto di impiegare il termine 'fascismo' in una accezione così generale da servire a designare le forme più diverse dei movimenti reazionari borghesi, e insiste sulla necessità di far precedere a qualsiasi tentativo di generalizzazione l'individuazione delle particolarità dei singoli movimenti che si possono avvicinare al fascismo.
Ritiene pure che il fascismo possa affermarsi solo in presenza di una struttura economica debole, che obblighi la borghesia ad esercitare una pressione più intensa per mantenere il controllo completo sulla vita economica e politica del paese, e di uno spostamento e di un movimento di masse di piccola e media borghesia urbana e rurale. Individua come tratti che caratterizzano il "fascismo tipo", cioè il fascismo italiano, la soppressione del regime parlamentare e la distruzione fino alle estreme conseguenze "delle libertà democratiche formali", che comporta il rifiuto di ogni compromesso con la socialdemocrazia.

Tuttavia quando poi dal centro del comunismo vennero le parole d’ordine secondo le quali comunismo e nazismo vennero identificate e si negò il carattere popolare diffuso di tali movimenti Togliatti, come al solito, disciplinatamente si adeguò

A LIVELLO INTERNAZIONALE

La figura di Togliatti non può essere vista solo dal punto di vista della vita politica e sociale italiana, che è pure fondamentale: egli riveste infatti un posto di primo piano nella scena politica internazionale. Egli deve essere inserito decisamente al centro del comunismo internazionale, sia prima che dopo la guerra. Anche la diversità e la peculiarità del comunismo italiano non devono mettere in ombra il profilo “internazionale” di Palmiro Togliatti.

Stalin
Questo fatto mette in primo piano il rapporto con Stalin: dal momento però che la memoria del dittatore sovietico, dal rapporto Krusciov in poi, è associato a una immagine di crimini e repressioni, nasce l’accusa a Togliatti di essere comunque corresponsabili delle azioni di Stalin stesso e si accomunano ambedue i personaggi nella stessa “damnatio memoriae”.

Effettivamente Togliatti fu stretto collaboratore di Stalin, approvò sempre e incondizionatamente tutto il suo operato, ne ebbe anzi spesso parte attiva: bisogna quindi considerarlo corresponsabile nel bene e nel male dell’azione di Stalin
Non si può, come avvenuto nell’ambito del Partito dopo il '56, condannare Stalin e assolvere Togliatti.

Quadro storico
Chiarito inequivocabilmente questo punto però bisogna deve essere comunque riconosciuta la peculiarità storica del momento in cui le vicende avvengono: non si può giudicare la condotta di un leader politico secondo una metro di giudizio che non appartiene alla sua epoca e nemmeno soprattutto con il senno di poi.
Nella nostra età pare che spesso il senso storico si sia alquanto smarrito e che si viva in un eterno presente, con il metro del quale si giudica con incredibile leggerezza e superficialità anche il passato. Bisogna rendesi conto dell’orizzonte storico del tempo di Togliatti in cui si affrontavano con tutti i mezzi possibili, materiali e spirituali, pacifici e violenti, concezioni come il comunismo, il fascismo, il liberismo, che non erano solo sistemi politici, ma concezioni pervasive di ogni aspetto della vita, ciascuna delle quali a suo modo, riteneva di poter portare una specie di ”paradiso in terra”.

Seguendo la definizione di Hobswawm possiamo parlare di “guerre di religione”. I conflitti assumevano quindi caratteristiche diverse da tutti quelli che li avevano preceduti; i codici cavallereschi che vigevano nelle guerre tradizionali fra eserciti schierati cedevano il posto ad uno scontro diretto fra masse con tutti i ritorni alla barbarie che una cosa del genere comportava.

Imminenza del comunismo
In questa quadro generale va inserito la convinzione profonda maturata da tanti che il comunismo fosse la soluzione finale di ogni problema e soprattutto che esso fosse qualcosa di vicino, di immediato che bastasse un segnale La Russia era vista semplicemente come il trampolino di lancio della rivoluzione ma essa doveva espandersi a tutto il mondo industrializzato e la Germania, uscita sconfitta e umiliata dalla guerra, con una crisi economica gravissima sembrava essere naturalmente il punto di forza del comunismo internazionale. Ed infatti la lingua ufficiale della internazionale era il tedesco e non il russo.
Si credette pure per un breve periodo di tempo che la rivoluzione fosse imminente, questione di giorni o di mesi o al massimo di qualche anno, non certo di decenni.
S i aspettava semplicemente il segnale della Rivoluzione generale:
«Viilker hiirt die Signale» «Udite, o popoli il segnale» era il primo verso dell'inno dell'Internazionale in tedesco.

Una lunga lotta
L’affermazione del nazismo dette il colpo di grazia a tali speranza: l’instaurazione del comunismo non era cosa che si sarebbe avverata in tempi brevi, bisognava prepararsi a tempi lunghi, non comunque quantificabili.
Il Movimento Internazionalista dovette riformulare la propria strategia occorreva una organizzazione in grado di combattere una lunga e difficile lotta per la affermazione del comunismo in un tempo non definibile ma certamente non vicinissimo come ci si aspettava all’inizio degli anni venti.

In Russia si era affermata una rivoluzione, si era formato, pur con tutti i suoi limiti, uno stato socialista. Non si poteva certamente ignorarlo e nasceva del tutto spontaneo e innegabile la convinzione che bisognava far riferimento ad essa, perchè essa aveva il compito storico di portare il comunismo in tutto il mondo.
Si riteneva infatti che il movimento comunista mondiale poteva vincere solo se avesse avuto una solida unità. L’esperienza aveva mostrato come la storia del movimento proletario fosse costellata da continue incessanti divisioni e scissioni. Ovviamente la divisione faceva il gioco dei nemici di classe che potevano quindi metter una contro l’altra le varie fazioni e paralizzarne l’azione. Da tutto ciò nasceva l’esigenza che il movimento avesse una unita operativa a livello mondiale. Poichè il comunismo si era affermato solo nell’Unione Sovietica, ne derivava necessariamente che il centro doveva essere Mosca. In quella città vi erano rappresentanti di tutti i partiti comunisti del mondo. Le strategie venivano quindi elaborate a livello mondiale e l’internazionalismo proletario permetteva di superare i limiti nazionali per vedere i problemi a livello mondiale.

Esigenza di unità
In questo contesto avveniva però che la preoccupazione della unità di movimento prevalesse anche sulla denuncia di errori e di veri e propri crimini che si andavano compiendo in Russia ad opera di Stalin e del suo gruppo. Tutti i comunisti senza eccezione, vedevano in Stalin il comandante del disciplinato esercito del comunismo mondiale nella guerra globale, lo considerarono come leader e personificazione della Causa. Anche Togliatti non poteva non essere tra questi: egli pose sempre l’accento sull’URSS solo in quanto epicentro della lotta di classe su scala mondiale e principale nemico del capitalismo globale.
Bisognava lottare ma lottare uniti, la lotta politica non doveva uscire dal campo del comunismo .
E questo comportava d’altra parte un gruppo rivoluzionario formato da persone decise, votate alla causa dei veri professionisti della rivoluzione.

La scelta drammatica
In conclusione, posto il problema in questi termini, non possiamo porre semplicisticamente, la vicenda di Togliatti come se si fosse di fronte a un astratto tribunale dei “diritti umani” giungendo a una criminalizzazione di Togliatti, dell’intero sistema del comunismo fra le due guerre. Gli uomini che allora costruivano il mondo si trovarono di fronte a un tragico dilemma, a una scelta di campo: Togliatti per le sue idee, per la sua personalità, per il suo progetto di vita non poteva che fare la scelta del comunismo . E quella infatti fece con tutte le conseguenze che in quel momento storico, in quei tragici avvenimenti questo comportava .


LA SVOLTA DI SALERNO

Viene generalmente denominata “ svolta di Salerno “ la decisione imposta da Togliatti di collaborare con i partiti borghesi antifascisti rovesciando la precedente tendenza che negava ogni collaborazione e intendeva completare la lotta anti fascista con la rivoluzione proletaria

Il contesto
La caduta del Fascismo del 25 luglio e l’armistizio del 8 settembre avevano creato per un momento la illusione che il Fascismo fosse definitivamente uscito di scena e che la guerra fosse finita. In realtà però la guerra durò ancora quasi altri due lunghi, anzi lunghissimi anni e il Fascismo in qualche modo si riorganizzò, sia pure solo sotto il controllo più o meno diretto della Germania nazista (Repubblica di Salò).
In questa situazione i partiti della sinistra in effetti non ebbero immediatamente una linea di azione sicura e chiara in quanto, mentre non si metteva in dubbio la lotta antifascista, si oscillava fra una posizione di collaborazione con le altre forze (fra cui soprattutto la monarchia) e il rifiuto di ogni collusione nella aspettativa di completare la lotta antifascista come una rivoluzione comunista. Negli ambienti della sinistra era comunque molto diffusa la aspettativa che la caduta del fascismo avrebbe comportato anche la caduta del potere della borghesia e la instaurazione di uno stato socialista o per lo meno fortemente orientato verso il socialismo.

L’arrivo di Togliatti (aprile 1944) che aveva ben chiari i termini della questione e del rapporto di forze non solo a livello nazionale ma anche e soprattutto a livello internazionale, risolse chiaramente il dilemma nel senso della collaborazione con le altre forze antifasciste, ponendo così anche le basi della partecipazione piena dei comunisti e della sinistra in generale nel processo della formazione della stato democratico e nella elaborazione della Costituzione nella quale poi tutti gli italiani hanno finito con il riconoscersi.

Svolta e continuità
In realtà non si trattò propriamente di una svolta ma della realizzazione di una linea politica già elaborata La decisione di Togliatti era stata chiaramente anticipata proprio all’indomani del 8 settembre dai radiodiscorsi di Togliatti nei quali si richiamano motivi patriottici nazionale più che politici di classe e viene inequivocabilmente messo in risalto che PRIMA viene la guerra al nazismo e al fascismo e che solo DOPO si penserà all’assetto politico e istituzionale.
Quindi in realtà non ci sembra che si possa parlare di una vera svolta se non nel senso che ha messo di fronte alla realtà i molti che la realtà non l’avevano ancora percepita chiaramente. La svolta di Salerno è un avvenimento comunque, che ha un posto centrale nella storia del nostro paese e del movimento comunista nazionale e internazionale in quanto condizionò profondamente tutto il seguito degli avvenimenti.

Una certa pubblicistica ha interpretato spesso la svolta come una semplice sudditanza di Togliatti al dittatore sovietico, ma la scelta di collaborare con i partiti borghesi, era in realtà una linea elaborata in modo comune anche perchè in effetti non vi era storicamente e concretamente altra possibilità data la situazione mondiale e il rapporto di forza che gli eserciti vittoriosi andavano instaurando nel mondo e in Europa. Non era certo possibile pensare di mettere in forse l’unità della coalizione antinazista in una guerra che seppure cominciava a delinearsi come vittoriosa tuttavia era ben lungi dall’essere conclusa.

Togliatti arriva a Napoli
Non fu semplice per Togliatti, anche materialmente tornare in Italia. Dovette avere naturalmente il benestare del governo Badoglio (che fu alquanto riluttante) e degli alleati. Solo il 18 febbraio del 44 Togliatti riuscì a partire da Mosca e solo il 28 marzo riuscì ad arrivare a Napoli via mare da Algeri dove era giunto con vari scali aerei passando da Baku, Teheran e Il Cairo.
Va notato che Togliatti formalmente non era il segretario del partito comunista italiano anche se tale era considerato da tutti i compagni: infatti Il “compagno Ercoli”, come era maggiormente conosciuto, fu ricevuto con grande calore anche se con non poca sorpresa dai compagni.

Svolta politica
Togliatti si rende conto già a primo colpo d’occhio che la condotta politica è inadeguata, non all’altezza della situazione.
Ad esempio a Napoli le tessere del partito erano date con grande attenzione e difficoltà dopo una specie di esame personale. Il risultato era che vi erano solo 12.000 iscritti : Togliatti dispose allora che le tessere fossero distribuite in tutte le sezioni e senza particolari difficoltà: il consenso popolare e un partito di massa non si può costruire respingendo chi vuole partecipare.
Togliatti elabora e chiarisce la linea politica: esiste in Italia un potere senza autorità ( il governo del re) e d’altra parte una autorità senza potere ( i partiti popolari e antifascisti). Logicamente non resta che unire le due parti. Per il momento occorre quindi la collaborazione di tutti, a guerra finita poi si penserà all’assetto istituzionale e politico.
Si prendono quindi contatti con i leader delle altre forze, ed i comunisti con Togliatti entrano nel governo Badoglio.

Ragioni di una scelta
Una questione ampiamente dibattuta all’interno del movimento comunista in tutti questi anni e se Togliatti con la “svolta di Salerno” ci si è mossi verso gli interessi reali del proletariato nazionale e internazionale o è stata esso un errore, o peggio ancora un tradimento della sua politica. Alcuni pensano che la svolta di Salerno abbia colpito a morte la rivoluzione comunista molto più di quanto abbiano fatto i governi borghesi o magari lo stesso fascismo.
Ma c’erano realmente le condizioni reali ed effettive di una presa del potere del comunismo in Italia? Storicamente non si può che rispondere negativamente al di la di ogni ragionevole dubbio. In pratica il mondo fu diviso in sfere di influenze e l’italia si trovò in quella di influenza del mondo ”borghese e capitalistico” guidato dagli USA.

Ma a parte il contesto internazionale, in realtà in Italia il comunismo non era poi affatto radicato se non in piccoli gruppi attivi, intellettuali e operai. La maggior parte della popolazione risentiva dell’influenza della lunga dittatura fascista che aveva dipinto il comunismo come il male radicale. Vi era una Chiesa cattolica potentissima, specialmente nel ceto agricolo, attivamente e decisamente avversa al comunismo. Vi era un apparato dello stato pur esso per tradizione fortemente anticomunista. Pensare che i partigiani (quelli comunisti, non tutti lo erano) avrebbero potuto cacciare via i potenti eserciti alleati vincitori della Germani nazista può essere un atto di fede nel comunismo ma certamente è ben lontano da ogni senso di realtà.

Certamente non vi era altra soluzione che quella prospettata da Togliatti. Possiamo dire che questo è uno dei rari punti su cui gli storici di ogni tendenza concordano pienamente. Ma vogliamo anche fare notare che questa soluzione non mancava di appoggi nella stessa storia del comunismo italiano
Già Gramsci aveva ampiamente mostrato, nelle sue riflessioni, come la rivoluzione in Italia e nell’Occidente in generale, non potesse percorrere le identiche strade della Rivoluzione di Ottobre in Russia. Non vi era nel nostro paese un ”Palazzo di inverno” da assaltare perché, diversamente che in Russia, non vi era un centro unico del potere. L’instaurazione di una società comunista passava invece attraverso la “ egemonia culturale”, l’ alleanza dei contadini e degli operai, riallacciandosi cosi alle esigenze democratiche del Risorgimento nazionale.

Conseguenze
La scelta quindi di non precipitare l’Italia nella rivoluzione violenta risponde quindi soprattutto a una scelta strategica e politica di largo respiro che vedeva la instaurazione del comunismo come il risultato di una ampio e profondo processo civile e culturale. Tutto ciò a prescindere dal fatto che in realtà in Italia non vi erano rapporti di forza tali che potessero far prevedere un esito felice della rivoluzione
Seguendo la politica di Togliatti, invece, nello spazio di qualche anno il Partito, da una esiguo gruppo di poche migliaia di iscritti militanti, passava a un grande partito di massa di milioni di iscritti che poi divenne la forza fondamentale della sinistra italiana.

L'idea comunista di un partito di massa e di quadri appare, negli anni 1945-48, assolutamente originale tanto che si parlò di “partito nuovo” : unifica la milizia attiva dei rivoluzionari di professione con la partecipazione alle lotte di massa, la creazione di una struttura disciplinata ed efficiente con la presenza capillare in ogni segmento della società, che mira alla conquista del consenso e dell'appoggio di tuta la nazione.

LA NASCITA DELLA REPUBBLICA

Il partito nuovo
L’opera di Togliatti nella formazione della Repubblica italiana e della sua Costituzione, va vista non tanto sotto l’aspetto dell’apporto che ad essa diede il Partito Comunista Italiano ma soprattutto nella capacità di frenare le aspirazioni alla rivoluzione violenta di larga parte del proletariato.
Si tratta quindi di costruire un partito che aggreghi le masse, che si diffonda in tutti gli ambienti possibili, di un modello quindi nuovo, molto lontano da quello del piccolo gruppo chiuso in sè stesso per affrontare le persecuzioni politiche, l’esilio e i mille pericoli della clandestinità.
Era certamente un abbandono del rigore rivoluzionario e un primo passo sulla via della rinuncia alla Rivoluzione. Ma indubbiamente il “partito nuovo” corrispondeva alle esigenze del momento storico, in qualche modo anche potremmo dire che fu imposto, a una base alquanto recalcitrante perchè non cosciente della nuova situazione internazionale che si andava maturando.

Al governo
Dopo la svolta di Salerno il Partito Comunista Italiano entrò nell’ area di governo nell’aprile del '44, e vi restò fino al 1947, quando con una improvvisa svolta di De Gasperi, l’allora presidente del consiglio, fu estromesso. La stagione politica si chiuse con l’affermazione della DC nelle elezione del 1948: da allora in poi il partito comunista si pose sulla strada di una lunghissima opposizione democratica e costituzionale democratica, che è durata fino agli inizi degli anni 90.

Il primo ingresso formale del Partito Comunista Italiano nel governo avvenne il 21 aprile 1944, nel gabinetto presieduto da Badoglio. Il giuramento si tenne in una locale di fortuna a Ravello, fra la diffidenza di persone fedeli al re, che fino a qualche mese prima aveva considerato il comunismo come il maggiore dei mali, ma che ora dovevano pur accettarne, almeno momentaneamente, la alleanza
Dopo qualche mese, avvenuta la liberazione di Roma, le forze di sinistra, soprattutto i socialisti, chiesero una nuova guida del governo che non fosse un semplice fiduciario del re e compromesso con il vecchio regime come era Badoglio: la scelta cadde su Bonomi che formò quindi un nuovo governo nel quale entrarono ancora i comunisti (giugno 1944).

Si forma quindi nel giugno del '45 il governo presieduto da Parri, esponente del partito d’azione che aveva presieduto il comitato che aveva guidato la Resistenza: si tratta di una affermazione di quello che fu detto il “vento del nord”. Nel nuovo governo Togliatti assume il ministero della giustizia, funzione particolarmente importante in vista delle epurazioni e dei processi per i crimini commessi durante la guerra.
Tuttavia il governo Parri ebbe vita breve, dal giugno al novembre 1945 perchè sembrò da una parte troppo legato agli ambienti partigiani e dall’altra non sufficientemente sostenuto dalla Sinistra perchè il leader era un liberale. Si aprì quindi la strada a un governo guidato da un cattolico e la scelta ricadde su Alcide De Gasperi. (dicembre 1945)

Il referendum
Si arriva quindi al referendum istituzionale (giugno ’46): la monarchia, viene battuta anche se i risultati, seppure chiari, non sono poi tanto eclatanti. Da più parti si sollevano dubbi di brogli elettorali, ma la contestazione rimane lettera morta e il 13 giugno Umberto di Savoia lascia l'Italia per l'esilio di Cascais in Portogallo. Unitamente al referendum si vota anche per l’assemblea costituente con i seguenti risultati : 

Democrazia Cristiana

207

Mov. Indip. Sicilia

4

Partito Socialista

115

Concentr. Dem Repub.

2

Partito Comunista

104

Partito Sardo d'Azione

2

Unione Dem. Naz,

41

Movim. Unionista It.

1

Uomo Qualunque

30

Part. Cristiano Sociale

1

Partito Repubblicano

23

Part. Democr. Lavoro

1

Blocco Naz. Libertà

16

Part. Contadini Italiani

1

Partito d'Azione

7

Fr. Dem. Progres. Rep.

1

 

Il P.C.I. , come si vede, risulta solo il terzo partito: una chiara delusione alle tante speranze dei militanti: ma il comunismo era una forza nuova e che per tanti anni era stato demonizzato in ogni modo, non solo dal Fascismo, ma da tutta la classe dirigente e soprattutto doveva combattere con la posizione intransigente contraria della Chiesa
Occorre quindi muoversi sulla direttrice di una grande intesa generale; d’altra parte va pure notato che per il momento il clima della guerra fredda è ancora lontano.

Con De Gasperi egli trova anche una intesa abbastanza agevole. La nuova Democrazia cristiana è infatti molto più aperta del vecchio Partito Popolare: quest’ultimo era infatti più rivolto a ricostituire una società integralmente cattolica mentre la DC accetta sinceramente le istanze democratiche e progressiste. D’altra parte lo stesso De Gasperi in qualche modo ha bisogna dell’appoggio di Togliatti per fare accettare come una necessità quelle riforme in senso democratiche che molta parte del mondo cattolico avversa.

Comunque la Costituente non aveva i poteri di una assemblea legislativa ma solo di redigere la Costituzione che fu opera comune di tutte le forze antifasciste e con tutti i limiti e le contraddizioni insite in un mondo cosi variegato, resta comunque a tutto oggi la base incontestata della democrazia nel nostro paese.

Subito dopo il voto referendario si forma un secondo governo De Gasperi che slitta alquanto più a destra del precedente. Comunque a Togliatti viene confermato il ministero della giustizia Come guardasigilli Togliatti svolge una opera molto discussa dagli ambienti della sinistra. La sua azione è tutta intesa a ripristinare la legalità. Si rivolge ai giudici invitandoli alla obbiettività anche se sa bene che la classe dei magistrati era chiaramente orientata verso la destra per estrazione culturale.

Epurazione e amnistia
Anche per quanto riguarda l’epurazione si procede con molta cautela, limitandosi a esonerare solo un limitato gruppo di alti dirigenti. D’altra parte va pure considerato che il regime fascista aveva preteso per tutti gli impiegati dello stato la fedeltà al regime, oltre alla formale iscrizione al Partito Fascista. Non era facile distinguere fra coloro che vi avevano aderito spontaneamente da quanti lo avevano fatto per semplice motivi economici e di lavoro, a prescindere dal fatto che gli avvenimenti avevano profondamente modificato le convinzioni della gente. D’altra parte non si poteva licenziare un numero ingente di funzionari senza che lo Stato ne restasse paralizzato nella sua azione, anche senza correre il rischio di vedere tutta una categoria di cittadini e lavoratori spinta in una disperata situazione. Il progetto di Togliatti era invece quello di allargare il consenso e non di creare una diffusa ostilità alle forze democratiche.

Sulla stessa linea Togliatti propose una amnistia poi approvata che riguardava i reati commessi in guerra e punibili con pene non superiori ai 5 anni e a esclusione dei reati di “sevizie particolarmente efferate”. Si trattava anche in questo caso di una necessaria opera di pacificazione anche se la magistratura la applicò in modo molto estensivo verso i repubblichini.

Patti lateranensi
Togliatti si trovò quindi ad affrontare il problema del rapporto con la Chiesa e con il mondo cattolico in generale. E’ ben consapevole che la Chiesa è la base catalizzatrice delle forze anticomuniste e tuttavia ritiene che il mondo cattolico sia molto composito e agitato da forze contrastanti, alcune delle quali possono essere utili alla causa della sinistra. In ogni caso gli sembra errato e controproducente uno scontro generalizzato con il cattolicesimo nel suo complesso poichè comunque il sentimento religioso è ben radicato nelle masse agrarie e anche in quelle operaie.

Da notare in particolare l’art 7 che fa entrare nella Costituzione i Patti Lateranensi negoziati nel 1929 da Mussolini. Come è noto, esso fu approvato con l’appoggio comunista, mentre altre forze laiche e di sinistra (liberali, socialisti e azionisti) furono contrari.

Togliatti decise in tal senso per evitare uno scontro frontale con il mondo cattolico dal quale il comunismo aveva tutto da perdere.

La guerra fredda
Intanto però la situazione mondiale era in rapida evoluzione. La alleanza che aveva permesso la sconfitta del nazi-fascismo andava rapidamente dissolvendosi e al suo posto nasceva quella che fu definita la “guerra fredda” fra la società liberista , guidata dagli USA e il comunismo, guidato dall’Unione Sovietica.

Gli USA cominciano quindi una campagna politica generale contro il comunismo internazionale, non disdegnando, il contributo di elementi ex fascisti e ex nazisti
Dall’altra parte nell’Europa Orientale occupata dagli eserciti russi, l’alleanza con i partiti non marxisti viene rapidamente liquidata e la direzione dello Stato passa rapidamente in mani del tutto fedeli a Stalin.

Nel nuovo contesto occorreva schierarsi con il modello capitalistico o con quello comunista: non era possibile restare in una terza posizione.

Il problema si riflette rapidamente anche nella politica interna italiana: De Gasperi infatti agli inizi del 48 andò in visita in USA dove ebbe la promessa di ingenti aiuti economici conseguenti al piano Marshall, ma alla condizione sostanziale di estromettere i comunisti dall’area del potere. E fu ciò che avvenne alla fine dei maggio del 47 con il terzo governo De Gasperi.

Contemporaneamente anche il partito socialista, posto davanti alla scelta, subiva una scissione fra la maggioranza diretta da Nenni che restava nell’alleanza con i comunisti e una minoranza che sotto la guida di Saragat usciva per creare un proprio partito alleato alla DC e avversario del comunismo.

La radicalizzazione della lotta quindi costrinse il partito comunista ed abbandonare la politica precedente di buoni rapporti con le altre forze politiche democratiche.

Si arrivò alle elezione del 18 aprile 1948 con una campagna elettorale aspra e accanita che assumeva la forma di una drammatica irrevocabile scelta fra comunismo e democrazia parlamentare .

l risultato mostrò una vittoria chiara delle forze anticomuniste incentrate intorno alla DC e il PCI come la principale forza di opposizione: praticamente la DC al potere, il PCI all’opposizione fu lo schema che durò per oltre quaranta anni e si trascinerà sostanzialmente immutato, sia pure tra molte vicissitudini, fino agli inizi degli anni ’90.
(qui tutte le elezioni nelle città italiane dal 1946 al 1953)
"DAL REFERENDUN ALLA LEGGE TRUFFA"
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TABELLE E RISULTATI DI TUTTE LE CITTA' ITALIANE

L’ATTENTATO DI PALLANTE

Il PCI aveva perso con le elezioni del 48 la possibilità di raggiungere il potere attraverso le vie della democrazia costituzionale parlamentare.

Era possibile allora raggiungere lo stesso risultato con altri mezzi, quella della rivoluzione violenta?
L’occasione si presentò qualche mese dopo quando avvenne l’attentato di Pallante contro Togliatti: fu l’occasione nella quale apparve e non a pochi, che il comunismo potesse affermarsi secondo la linea della rivoluzione violenta in Italia. Ma tale possibilità nella realtà non ci fu in quell’occasione, cosi come non ci fu mai realisticamente, né prima né dopo.

Gli avvenimenti che si susseguono all’attentato di Pallante a Togliatti sono un momento cruciale nella storia sia del movimento comunista che di tutto il Paese. Con essi tramonta ogni “velleitarismo” rivoluzionario e prende corpo definitivamente un lungo processo che, in mezzo a molte contraddizioni e arretramenti, tuttavia porta alla fine alla il PCI a accettare compiutamente la democrazia borghese parlamentare

L'attentato
Esaminiamo sinteticamente i fatti.
Il 14 luglio 1948, alle 10.30 mentre Togliatti era insieme alla compagna Tilde Iotti, un giovane, Antonio Pallante, gli sparò a bruciapelo tre colpi di pistola: Togliatti venne colpito ma fortunosamente i proiettili non ebbero a ledere organi vitali e Togliatti potette essere salvato.

Molto si è detto sulla matrice dell’’attentato: alcuni hanno pensato a un complotto, ma attualmente si è convinti che non si trattò solo del gesto di un estremista, pare non molto equilibrato. Tuttavia l’opinione pubblica non poteva sapere con certezza che si trattasse semplicemente di un gesto isolato e si pensò da parte di molti al complotto, alla preparazione di un colpo di stato autoritario. Soprattutto si accusarono i partiti borghesi di aver creato un clima di violenta demonizzazione dei comunisti, presentati come il male, come “quelli che mangiano i bambini” come si disse poi ironicamente.

I disordini
Appena la notizia si diffuse in tutta Italia esplose uno sciopero generale con molte occupazioni delle fabbriche, repressioni e scontri sanguinosi che portarono complessivamente a 16 vittime fra manifestanti e forze dell’ordine.

La manifestazioni furono spontanee, non vi fu nessuna preparazione (che non poteva naturalmente esserci per l’imprevedibilità dell’avvenimento), ne tanto meno un piano insurrezionale. Ciò non toglie però che in molta parte dei manifestanti fosse diffusa la convinzione che fosse venuto il “gran momento” della Rivoluzione, dello sciopero generale come momento iniziale dell’insurrezione definitiva.

La lotta partigiana era terminata da poco, ed era ancora diffusa l’idea che doveva essere seguita da una seconda fase nella quale il proletariato avrebbe preso il potere sottraendolo ai moderati che del fascismo erano considerati una continuazione.

Se la insurrezione tuttavia non si ebbe e in tre giorni l’ordine pubblico tornò alla normalità o quasi, il merito (o la colpa, dipende dal punto di vista ) fu essenzialmente della dirigenza comunista stretta intorno a Togliatti.

Togliatti stesso, infatti, appena fu in grado di farlo, pronunciò parole rassicuranti e invitò tutti alla calma e alla moderazione. Alla testa dei più decisi all’insurrezione appaiono personaggi che erano stati gli emarginati dal partito, proprio per il loro estremismo. I dirigenti del Partito invece sostengono vigorosamente la protesta, si chiedono anche le dimissioni del governo De Gasperi ma sostanzialmente impediscono che lo sciopero generale degeneri in vera e propria insurrezione.

Accuse a Togliatti
Per questo non sono mancate le accuse secondo le quali, agendo in questo modo, la dirigenza comunista di Togliatti ha in effetti impedito la Rivoluzione, ha spezzato lo slancio rivoluzionario delle masse, non ha avuto fiducia in esso e ha, di fatto, allontanato definitivamente l’Italia dal comunismo marxista, consegnandolo quindi ai partiti borghesi.

Si è spesso sostenuto che non era del tutto impossibile che una rivoluzione comunista in Italia avrebbe avuto successo, che gli americani non erano in grado di intervenire veramente, che la rivoluzione magari si sarebbe estesa a tutta Europa.

In realtà ad un esame obbiettivo non si può non concordare che in quelle condizioni, in quel contesto storico, la rivoluzione sarebbe stata una catastrofe per il movimento comunista.

Dal punto di vista internazionale di fatto alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’Italia era ricaduta nell’ambito della sfera di influenza degli americani che certamente non avrebbero permesso l’instaurarsi di un regime comunista in Italia. Realisticamente i rappresentanti dell’Unione Sovietica fecero presente che non avrebbero potuto intervenire per sostenere la rivoluzione.

Le forze in Italia
Ma anche se vediamo al contesto nazionale dobbiamo notare che solo una parte minoritaria della nazione avrebbe seguito la spinta rivoluzionaria.

Gli scioperi e le manifestazioni infatti si diffusero, ma a macchia di leopardo, più nella città e meno nelle campagne, più a nord e meno a sud dove mancava la tradizione della lotta partigiana di cui la spinta rivoluzionaria appariva come un prosieguo.

Oltre all’Italia che manifesta non vi era solo un altra Italia che restava in disparte o perchè sostenitrice dei partiti borghesi e più semplicemente perchè scarsamente interessata alla politica, o timorosa di una ripresa dei conflitti armati dopo anni di disastri e di guerra. Vi era poi una terza Italia composta all’apparato burocratico dello stato, dalle forze di polizia, dall’esercito, che restava nel complesso ostile alla rivoluzione in modo attivo e convinta.

In queste condizione evidentemente la rivoluzione sarebbe andata incontro al fallimento e per effetto di esso i comunisti sarebbero state esclusi dalla vita politica per un periodo lunghissimo, non precisabile ma, diciamo, almeno per una generazione.

L’opera di Togliatti e del suo gruppo scongiurò un disastro e permise quindi al movimento comunista di essere partecipe, sia pure nella posizione dell’opposizione, alla formazione della democrazia italiana .

TOGLIATTI ALL’OPPOSIZIONE

Dopo le elezioni del 48, il PCI guidato da Togliatti non ebbe più la possibilità di entrare nell’area del potere centrale. Le alleanze della lotta contro il nazismo andavano esaurendosi in tutto il mondo e quindi necessariamente anche in Italia la solidarietà nazionale dello lotta antifascista volgeva inevitabilmente al termine. Oramai il mondo intero era chiamato a schierarsi da una parte o dall’altra. La divisione in due del mondo era intesa come una situazione di lunga durata, comunque necessaria per evitare l’olocausto nucleare. Iniziava così la “guerra fredda”.

La scelta di campo
Inevitabilmente anche in Italia le forze politiche erano necessariamente chiamate a fare la loro “scelta di campo”. Il Partito comunista naturalmente non poteva non scegliere il campo socialista, senza rinnegare la propria ispirazione fondamentale, la propria ragione d’essere, potremmo dire. Ma l’Italia, per la spartizione del mondo che si era consumata a Yalta e che comunque, bisogna riconoscerlo, scongiurò una guerra grande e generale che avrebbe forse distrutto l’umanità, ricadeva nel campo di influenza degli U.S.A. e quindi nel campo di influenza capitalistica: conseguentemente i comunisti si trovarono pur sempre all’opposizione. Soltanto con l’attenuarsi della guerra fredda negli anni 80 si potè ipotizzare un inserimento nel governo con il cosidetto “compromesso storico”, ideato ai tempi di Berlinguer, ma in realtà solo con la fine della guerra fredda conseguente alla caduta dei regimi del socialismo reale (inizi degli anni ’90), gli eredi del partito comunista effettivamente hanno avuto la concreta possibilità di tornare nell’area di governo.

La doppiezza di Togliatti
Spesso si è rimproverato Togliatti per la sua incapacità di scegliere veramente fra la via rivoluzionaria e quella legalitaria: e lo si è accusato di doppiezza: da una parte sosteneva la democrazia parlamentare e dall’altra si schierava con il comunismo internazionale che quel metodo ripudiava e che si andava affermando nell’Est europeo con colpi di stato violenti e illiberali.

Da destra lo si rimprovera di non avere veramente accettato di entrare nel gioco della democrazia occidentale, di non essere schierato chiaramente contro il comunismo: ma evidentemente un partito che si definisse comunista non poteva certo schierarsi nel campo del capitalismo, mentre in tutto il mondo capitalismo e comunismo erano impegnati in una sfida mortale.
Da sinistra invece si rimprovera Togliatti di esser stato troppo prudente, di avere nei fatti fermato la rivoluzione invece di promuoverla. Ma va notato che, come tutti gli storici riconoscono, la divisione del mondo conseguente alla guerra fredda non permetteva una rivoluzione in Italia, e il tentarla avrebbe inevitabilmente portato l’Italia a una dittatura di destra appoggiata dagli americani come ce ne furono tante nel lungo periodo della guerra fredda soprattutto nell’America Latina.
La linea del partito comunista era in effetti segnata dalla situazione internazionale;

Togliatti in realtà non aveva scelta: o abbandonare il comunismo come in realtà fecero molti: ma se questa soluzione non si voleva prendere e allora la sua linea era l’unica possibile. Egli impose la sua soluzione fin dai tempi della svolta di Salerno e la mantenne inalterata fino a che fu alla guida del Partito Comunista. D’altra parte Togliatti aveva della problematica della lotta al capitalismo una visione globale, mondiale che aveva acquisito nei lunghi anni in cui in Russia aveva avuto la possibilità di vedere i meccanismi, i caratteri della lotta rivoluzionaria su scala mondiale. Bisogna pure tener conto che la lotta fra Capitalismo e Comunismo che ha caratterizzato il mondo intero per oltre cinquanta anni, non è un fatto che si possa risolvere in un solo paese, ma riguarda appunto il mondo intero e si vince o si perde su scala mondiale come poi la storia ha dimostrato.

Effetti della scelta legalitaria
Ma la linea della opposizione legalitaria di Togliatti non fu solo l’unica possibile, ma bisogna anche evidenziare che essa non fu affatto sterile di risultati. Anche se in Italia non si instaurò il comunismo, pur tuttavia il PCI incise fortemente sulla vita italiana, sulla organizzazione del lavoro, sulla vita economica, sulla cultura del nostro paese. Anche se la Democrazia Cristiana e le forze centriste o di centro destra ebbero di fatto il monopolio del potere (come, ripetiamo, non poteva non essere in quella situazione internazionale) tuttavia il partito comunista italiano ebbe direzione della opposizione e un grandissimo peso nelle amministrazioni locali. Intere regioni italiane, come quelle del centro nord, sono state amministrate quasi esclusivamente con l’apporto del PCI e sono risultate anche quelle meglio amministrate, come tutti riconoscono.

Ma anche a livello nazionale, in effetti la politica governativa fu sempre condizionata fortemente dalla opposizione comunista: le leggi in favore dei lavoratori, delle previdenze sociali, delle donne, delle uguaglianze civili, diciamo, in generale lo stato sociale che pure in quegli anni fu costruito, fu essenzialmente un effetto della pressione dell’opposizione guidata dai comunisti e quindi da Togliatti per lungo tempo.

La Rivoluzione, quella ”grande e generale” che avrebbe cancellato per sempre la divisione fra sfruttati e sfruttatori, che avrebbe portato pace, benessere e libertà a tutti era il sogno di ogni comunista: ma pur tuttavia la razionalità di Togliatti mostrava che non era possibile, almeno per il momento, e quindi bisognava concentrarsi sulle conquiste sociali ed economiche effettivamente possibili. Poi la Storia avrebbe deciso....
In questo ambito critico non bisogna dimenticare, come spesso si fa, che la valutazione dell’operato politico non si può fare con il “senno di poi”: lo svolgimento della storia consta di tanti imponderabili fattori che nessuno può prevedere la strada che la storia stessa percorrerà.

In particolare va tenuto presente che nel 1948 nessuno prevedeva o poteva prevedere a destra né a sinistra, che di lì a pochi anni il volto dell’Italia sarebbe cambiato profondamente, che un’ Italia povera e contadina stava per sparire per dar posto al cosi detto “miracolo italiano”.

Il caso Secchia
Questo però non significa che Togliatti non avesse nell’interno del PCI difficoltà da affrontare, in modo particolare verso quella parte del partito e dell’Italia stessa che era insofferente e avrebbe voluto un ruolo attivo nel promuovere la rivoluzione. In realtà non si trattò mai di una vera e propria strategia alternativa alla linea di Togliatti quanto di uno stato d’animo, di una tendenza pratica. Il personaggio che maggiormente incarno un tale aspetto fu Secchia, uno dei dirigenti più prestigiosi del PCI, gia commissario generale delle brigate Garibaldi. La concezione di Secchia del partito si richiamava, secondo la tradizione della III Internazionale, alla politica delle alleanze, nella quale avrebbe voluto portare tutto il peso della classe operaia e dell'intransigenza classista, con un maggiore e più intenso sviluppo delle lotte di massa in direzione delle istanze di “democrazia progressiva”. La sua concezione del l'internazionalismo trovò difficoltà a tradursi dopo il secondo dopoguerra, soprattutto dagli anni 50 nella fase della distensione succeduta alla guerra fredda, in cui la scelta di campo aveva di necessità imposto la disciplina di blocco a favore dell'Unione Sovietica e degli Stati socialisti dell'Europa orientale.

L’occasione che segnò il declino politico di Secchia fu il caso Seniga. Questi era una persona considerato di fiducia di Secchia, che nel 1954 fuggì in Svizzera con documenti segreti del partito: alla fine tornerà, tratterà con il partito dal quale poi uscirà per aderire a varie formazioni di sinistra.

L’episodio si riflette molto negativamente su Secchia stesso anche se egli in verità non aveva nessuna responsabilità diretta. Poco dopo infatti egli lasciò ogni carica di direzione effettiva. Tuttavia Secchia non ruppe con il partito comunista, restò nel suo ambito senza però svolgere più compiti direzionali: si dedicò agli studi e scritti sulla storia del PCI e della Resistenza e compì un gran numero di viaggi in tutto il mondo come rappresentante del PCI fino al 1973, anno della sua morte.

LA DESTALINIZZAZIONE

Il rapporto Krusciov
La maggiore crisi però che Togliatti dovette fronteggiare negli anni 50, fu senza dubbio quella connessa alla destalinizzazione e ai movimenti insurrezionali del 56. Tali avvenimenti ebbero un enorme impatto su tutto il movimento comunista internazionale e quindi anche sul Partito comunista italiano.

Nel 1956 Krusciov, allora segretario del PCUS, stilò il “famoso rapporto segreto” che fu quasi subito ampiamente divulgato in tutto il mondo. In esso veniva denunciato quello che era definito “il culto della personalità” di Stalin di cui venivano denunziati ed evidenziati gli errori e gli orrori. Poichè da oltre trenta anni Stalin era considerato in tutto l’universo comunista come il capo infallibile, un punto di riferimento assoluto e irrinunciabile, l’impatto fu enorme.

Nel seguito degli stessi anni si ebbero movimenti insurrezionali contro i regimi comunisti nell’est europeo: in Polonia essi si composero con l’arrivo al potere di Gomulka, esponente comunista, ma messo in carcere nel periodo staliniano. In Ungheria invece le vicende furono più tragiche e si risolsero in una insurrezione sanguinosa domata soltanto con l’intervento delle forze corazzate sovietiche: non rientra nel nostro assunto esaminare questo importanti avvenimenti: diamo soltanto un cenno sull’azione di Togliatti in questa difficile occasione.

La situazione fu estremamente pericolosa per tutto il movimento comunista in quanto si era sempre identificato il comunismo con Stalin e l’Unione Sovietica come il paese in cui il socialismo si era concretamente incarnato. La posizione di Togliatti fu molto cauta: si accettava e non si poteva fare altrimenti, la destalinizzazione ma tuttavia sempre con molta prudenza. Tale atteggiamento di Togliatti gli fu rimproverato sempre sia da destra che da sinistra. Tuttavia va considerato che egli temette sempre, e a ragione, che la condanna dei metodi staliniani finisse con l’abbandono delle stesse mete e ideologia del comunismo internazionali: in realtà egli non contestò mai la condanna degli errori di Stalin, ma si sforzò di storicizzarli, di metterli nella cornice di una storia tragica e spietata che era stata quella dei tempo delle rivoluzione. Se il mito di Stalin e dell’Unione Sovietica doveva essere ridimensionato e anche abbattuto, tuttavia non si doveva per questo abbandonare quello slancio rivoluzionario, quell’anelito al comunismo inteso come società senza sfruttati e sfruttatori.

Ma questo atteggiamento confinò pur sempre il partito comunista in quell’ambito di “zona grigia”: ma uscire da esso poteva solo significare abbandonare la causa del comunismo: molti lo fecero in quegli anni.

La reazione in Italia
La linea politica di Togliatti alla fine ridusse il danno: è vero che un certo numero di aderenti lasciò il partito e fra questi soprattutto alto fu il numero degli intellettuali: tuttavia bisogna pur riconoscere che la base operaia e proletaria restò sostanzialmente con il partito stesso, che passò quindi quasi indenne la grave crisi della destalinizzazione e della fine del mito dell’Unione Sovietica: comunque il comunismo restò la meta ideale cui tendere anche se vista ormai con occhi critici e non più “dogmatici”.

Un fatto che non fu possibile evitare fu il passaggio graduale del partito socialista dall’alleanza al PCI alla partecipazione ai governi presieduti dalla DC.

Nel clima unitario della lotta antifascista era stato possibile una salda alleanza con le forze socialiste nella prospettive di una nuova Italia retta dalle forze di sinistra. Ma man mano che l’obbiettivo si allontanava e si consolidava una egemonia democristiana, anche l’unità a sinistra cominciava a scricchiolare.
Dopo il 1953 quando per la seconda volta si affermò la vittoria, sia pure di misura, della DC e ancora dopo i fatti del 56, sui quali i giudizi del PSI e del PCI divergevano sostanzialmente, il movimento cosi detto autonomista del PSI divenne sempre più forte.

Togliatti in verità comprese per tempo che lo slittamento del PSI era una questione di tempo e che non era possibile fermarlo. Egli insistette nell’opera comune, si richiamò a quella esigenza della unità dei lavoratori, ma non riuscirà comunque a impedire l’alleanza del PSI con le forze moderate. Tenterà sempre di convincere i socialisti che questo era un modo delle forze borghesi per spezzare l’unità della sinistra.

Tutto alla fine fu vano: nel 1961 si formarono le prime giunte di centro sinistra in grandi città come Milano e finalmente nel febbraio del 1962 si formò quindi un primo governo di centro-sinistra presieduto da Fanfani: i socialisti entrarono pienamente nel 1963 con il governo presieduto da Moro

Il mondo cambia

In realtà il mondo è cambiato da quello nel quale aveva sempre vissuto Togliatti: lo sviluppo impetuoso dell’industrializzazione ha modificato profondamente la situazione del proletariato e dei rapporti sociali in generale; e un mondo che psicologicamente e culturalmente è molto diverso da quello in cui Togliatti aveva vissuto la sua eccezionale esperienza in Russia e in nell’Italia del primo dopoguerra. Il suo realismo in verità lo portava a vedere i cambiamenti e il nuovo, come gli riconobbero anche coloro che adottarono poi anche linee diverse ma si trattava pur sempre di un altro mondo in cui Togliatti stesso era un sopravvisusto.

LE MANIFESTAZIONI DEL 1960

Gli avvenimenti che nel luglio del 1960 portarono alla caduta del governo Tambroni costituiscono un momento in cui si possono misurare i frutti della azione del PC guidata da Togliatti e insieme anche i suoi limiti e, a nostro parere, anche la fine del mondo di cui Togliatti era stato protagonista per tanta parte.

Possiamo considerare i fatti di Genova, le violenti dimostrazioni che seguirono in tutta Italia con morti e feriti una riedizione della situazione venutasi a creare alla notizia dell’attentato a Togliatti del 1948. Pure in questo caso vi fu una sollevazione spontanea, non preordinata che sorprese le stesse forze di sinistra.

Il governo Tambroni
Vediamo brevemente i fatti. L ’Italia viveva il suo primo miracolo economico ma proprio questo fatto poneva nuovi problemi. Nelle elezioni di maggio del 1958, non c’erano stati grandi mutamenti: piccoli incrementi la Dc e il Psi del PC una flessione non grave delle destre: risultati elettorali non portavano a grandi cambiamenti politici, ma il problema era che erano entrati in crisi gli equilibri del centrismo e Fanfani puntava a una nuova formula aperta a sinistra aggregando i socialisti di Nenni al governo, staccandoli dai comunisti, come gia deciso al congresso del 1957.

Ma le trattative con il Partito Socialista trovano grandi difficoltà, vi erano grandi perplessità sia nella DC che nel PSI e anche grosse resistenze da parte delle gerarchie ecclesiastiche. Si creò allora un vuoto politico, nel quale prese quota la candidatura alla guida del governo di Fernando Tambroni, esponente comunque della sinistra democristiana ma tuttavia malvisto dalla sinistra che lo accusava di aver aderito per un certo tempo al Partito Fascista, di essere eccessivamente uomo di “ordine”, di essere di orientamento borghese reazionario, di essere addirittura legato alla CIA.

Il governo Tambroni ebbe la fiducia alla camera solo grazie ai voti dei MSI e dei monarchici: si trattava di una specie di governo di emergenza, di un governo del Presidente, come si disse, che accettava i consensi in aula anche delle destre senza tuttavia sentirsene condizionata e tanto meno espressione.

Il PCI italiano fece una opposizione parlamentare durissimo ma non fece alcuna azione tendente a sollevare le piazze o a creare disordini. Nel paese quindi non avvenne nulla di particolare, non si ebbero manifestazioni popolari

In certi ambienti di sinistra però si era diffusa l’idea che fossimo alla vigilia di un colpo di stato di destra.

Le manifestazioni
La situazione invece divenne incandescente e proruppe in disordini per un episodio che possiamo considerare del tutto occasionale: fu concesso al MSI di tenere il proprio congresso nazionale a Genova. Il fatto innescò però una imprevista e imprevedibile reazione della base comunista e genericamente di sinistra.

Un gran numero di organizzazioni protestarono e lanciarono incautamente appelli incendiari. Improvvisamente gli avvenimenti precipitarono. Il 30 giugno i lavoratori del porto (i cosiddetti "camalli"), operai delle industrie, ex partigiani e soprattutto studenti, inscenarono una grande manifestazione. La polizia cerca di scioglierla e allora i manifestanti rovesciano le auto della polizia, erigono barricate, dilagano nella città, costringendo la polizia a ritirarsi.
ll prefetto di Genova, nel tentativo di riportare l’ordine, annulla il permesso al congresso del MSI ma i disordini continuano, si spostano e si allargano in tutta Italia, provocando drammatici scontri con le forze dell’ordine con morti e feriti in molte parti di Italia.
A Reggio Emilia. viene proclamato lo sciopero generale. La polizia però ha proibito gli assembramenti, le stesse auto del sindacato invitano con gli altoparlanti i manifestanti a non stazionare. La manifestazione spontanea non si scioglie e si arriva allo scontro cruento con le forze dell’ordine. Restano sul terreno uccisi cinque manifestanti. Anche per l’intervento dei sindacalisti che continuarono a invitare alla calma la manifestazione si sciolse.

Ma altri incidenti si hanno a Palermo a Catania a Licata con altri morti: a Roma, a Porta San Paolo, a Napoli, Modena e Parma altre manifestazioni che dilagano quindi un pò dappertutto.

Torna la calma
A questo punto nell’ambito della Democrazia Cristiana si manifesta un forte movimento teso a disinnescare la situazione riportando l’Italia alla linea politica di centro sinistra che la DC stessa aveva gia decisa e solo momentaneamente accantonata.

Il governo TambronI si dimette e il 27 luglio Fanfani ricostruisce un suo governo, un monocolore DC che ottiene l’appoggio del PSDI e del PLI, l’astensione dei socialisti e dei monarchici, votano contro comunisti e il MSI .

Le dimostrazioni quindi si spensero: rimase però a lungo nel ricordo per riesplodere ancora nel 68 e si mantenne vivo nell’immaginario collettivo il mito delle dimostrazioni popolari, della vittoria anti fascista.

Le conseguenze
Il risultato fu che non solo cadde il governo Tambroni, un risultato che possiamo considerare contingente, di non largo respiro perchè in effetti si trattava di un governo di emergenza, temporaneo, nato dalla difficoltà di gestazione del centro sinistra: l’importante fu che non fu più possibile associare all’aria del potere gli elementi residuali del fascismo. Tutti i governi che seguirono esclusero infatti programmaticamente sempre le forze di estrema destra e la discriminante verso il MSI divenne una costante della politica italiana, almeno fino a che poi il MSI divenne “Destra Nazionale” con la svolta di Fiuggi ma si tratta di altra storia.
Vero è che in seguito gli elementi della destra fascista entrarono ancora in gioco e anche pesantemente attraverso intrighi, manovre oscure, progettati e mai eseguiti colpi di Stato e alla fine con la strategia della tensione. Ma fu certamente effetto della svolta legalitaria di Togliatti degli anni Quaranta se essi comunque rimasero pur sempre ai margini della vita politica, confinati nella illegalità senza poter mai apertamente entrare nella dialettica politica parlamentare e nella formazione dei governi.

Certamente possiamo parlare anche di un limite essenziale: la società comunista non si realizzò e il dominio dei partiti borghesi non fu rovesciato. In fondo era questo che i manifestanti alla fine volevano e desideravano. Da parte quindi di ambienti di sinistra non facenti organicamente parte del PCI (quelli che in seguito vennero definiti “extraparlamentari”) si rimproverò alla guida di Togliatti di avere impedito una vera rivolta generale moderando attraverso i quadri sindacali e di partito la protesta, curando attentamente che essa non superasse certi limiti, prorompendo in aperta rivoluzione.
Possiamo dire che questo è vero ma non possiamo negare che una rivoluzione nel 1960 non avrebbe avuto alcuna possibilità, nemmeno remota, di successo. Non l’avrebbe avuto come abbiamo visto la lotta partigiana, nel 47 ai tempi dell’attentato a Pallante, e nel 1960 sarebbe stata una vera follia credere in una tale possibilità. Il mondo era diviso in blocchi, ormai in modo stabile e l’Italia, volente o nolente faceva parte del blocco occidentale egemonizzato dagli USA. Assolutamente impensabile che l ‘Unione Sovietica, guidata allora da Krusciov potesse intervenire in Italia con il pericolo di scatenare una guerra nucleare. A parte ciò una rivoluzione generale non aveva sufficienti forza interna per avere successo. Se i fatti del 60 fossero degenerati in aperta rivoluzione avremmo avuto un governo di “colonnelli” come in Grecia e le forze antidemocratiche di destra avrebbero praticamente preso il potere. Bisogna quindi ascrivere alla accorta politica di Togliatti se invece i post- fascisti furono esclusi dall’aerea almeno legale del potere e in Italia si conservarono spazi di azione delle forze comuniste niente affatto trascurabili.

Ci sembra anche che gli avvenimenti degli anni 60 costituiscono pure lo spartiacque storico fra due epoche storiche: terminava con esso veramente il periodo delle guerra mondiale, del fascismo e un nuovo mondo si apriva la via. Vero è che le manifestazioni erano manifestazioni antifasciste: ma i giovani nulla sapevano del fascismo vero e proprio: diciamo che la nozione di fascismo andò allargandosi a tutto un modo di pensare, di fare politica che trascendeva i limiti del fascismo inteso come definito movimento storico .

Crisi del Partito
Con il 60 entra in crisi anche il partito organico, organizzato gerarchicamente, disciplinato in tutte le sue manifestazioni: era uno strumento pensato e organizzato per la rivoluzione comunista mondiale, in tempi relativamente brevi, con una guida internazionale sicura e autoritaria. Era il partito che Togliatti aveva costruito. Ma la rivoluzione era impossibile nei termini classici degli anni Trenta e Quaranta perchè il mondo era cambiato: anche il modello del partito-chiesa, del partito onnipresente, disciplinato e ordinato come un esercito non ha più giustificazione ed entra in crisi. Il mondo di Togliatti quindi comincia a sgretolarsi: il 60 era figlio dell’antifascismo della Resistenza ma portava al 68.
In verità da accorto e attento uomo politico Togliatti non sottovalutò le novità, cercò di adeguare l’azione politica .Tuttavia è proprio la concezione del partito di Togliatti che cominciava a scricchiolare nel suo complesso. Nuovi orizzonti , nuove situazioni venivano ad affermarsi.

I giovani in politica
Va soprattutto messo in risalto che entrava in campo una nuovo soggetto politico che poi fu il protagonista politico di tanta parte della vita politica degli anni successivi e che infine mise in crisi lo stesso concetto di partito costruito da Togliatti.

L'irruzione dei giovani sulla scena politica fu una novità. Non che i giovani non abbiano sempre fatto parte e consistente di tutti i movimenti politici ma in questo caso cominciava a delinearsi una presenza di “ giovani” come categoria sociologica e non come parte di un più grande apparato. Insomma in altri termini non si trattava più degli attivisti più giovani e quindi meno ascoltati dei partiti di massa ma di soggetti politici che cercavano una loro autonomia.

Era una cosa inaspettata: si pensava che dopo la stagione della resistenza della lotta anti fascista e poi dei primi entusiasmi del dopoguerra i giovani fossero tutti rifluiti nel privato, che aspirassero solo ad comprarsi la macchina, i jens e il vestirsi alla moda allora venuta dall’america: apparivano agli anziani privi di valori, futili e materialisti.

Nei fatti di Genova invece furono fra i protagonisti: furono detti “le magliette a strisce” dall’indumento generalmente allora usata dei giovani, indumenti di poco prezzo e pertanto preso a simbolo di uno status proletario.

Verso il 68
L’età di Togliatti volgeva implacabilmente al termine.
Ancor una volta il grande statista si era opposto alla Rivoluzione, forse aveva salvato ancora una volta il movimento operaio e con esso l’Italia da eventi luttuosi ma ormai aveva perso così il rapporto con i giovani, con quanti sognavano ancora la Rivoluzione sempre annunciata e sempre rimandata

Il 68 ebbe origine dalla frattura fra i giovani imbevuti di spirito rivoluzionario e il Partitoto Comunista che la Rivoluzione la aveva sempre impedita.

IL MEMORIALE DI YALTA

Cosa è
Va sotto il nome di ”Memoriale di Yalta” una serie di appunti che Togliatti scrisse nel 1964 nella località del Mar Nero poco prima di morire. Togliatti si trovava in Russia per conferire con i capi del PCUS, soprattutto a proposito della crisi che si era delineata per i dissidi con la dirigenza del partito comunista cinese che raggiungeva momenti di acutissima tensione. Pertanto Kruscev voleva preparare un congresso che condannasse nettamente e senza riserva le tesi dei cinesi. Togliatti era contrario a una tale iniziativa ritenendo che essa in realtà portasse a una pericolosa spaccatura di tutto il movimento comunista mondiale a tutto vantaggio naturalmente delle forze reazionarie.

Partì piuttosto a malincuore verso Mosca: una volta arrivato non trovò Kruscev occupato in altri impegni la qualcosa lo contrariò non poco. Comunque nell’attesa raggiunse una dacia a Yalta dove fu poi colpito dalla trombosi che lo portò alla morte.
Nella dacia elaborò una serie di appunti ( il “memoriale “) che egli custodiva insieme ad altri documenti in una cartella personale. Non sembra quindi che fosse destinato alla pubblicazione ma solo una nota scritta da sviluppare nei colloqui o da far girare fra gli alti dirigenti. Subito però dopo la morte di Togliatti, Longo decise la sua integrale e immediata pubblicazione.

D’altra parte era sempre stato di uso comune che ogni colloquio fra i dirigenti comunisti fosse poi accuratamente verbalizzato per iscritto.

La funzione
Si è molto discusso che funzione avesse il memoriale nei riguardi di Kruscev: come è noto i rapporti personali fra i due dirigenti non erano proprio dei migliori anche perché non si erano conosciuti nel lungo periodo di esilio moscovita di Toglatti. Secondo alcuni studiosi tuttavia si trattava di un tentativo di avvicinarsi di più alle sue posizioni e di rompere il muro di incomprensione con il il segretario del PCUS e rafforzarne dunque la posizione, per altri invece si trattava di un documento che aveva il fine più o meno nascosto di indebolire la posizione di Kruscev.

Nuove istanze
Il memoriale non nasce dal nulla naturalmente, ma è il naturale proseguimento delle posizione del Partito comunista Italiano dei mesi precedenti, o meglio degli anni precedenti. Negli anni 60 il ruolo e le caratteristiche del movimento comunista si erano poste ormai in modo molto diverso dagli anni 40.
Non si trattava più certamente di un partito di militanti, pochi ma tutti dediti soprattutto all’azione politica: si era andato delineando un partito di massa che comunque non intendeva certo rinnegare il passato resistenziale .

Si affacciavano inoltre nuovi problemi o almeno i problemi di sempre trovavano un diverso contesto di riferimento. a proposito della rapporto fra rivoluzione e legalità, fra gestione del potere in una serie ampia di governi locali e opposizione antagonista il problema del rapporto fra socialismo e libertà, fra la uguaglianza effettiva su base economica del socialismo reale e la libertà che restava in pratica un retaggio della democrazie occidentali.

Le intenzioni
Tuttavia non bisogna credere che Togliatti intendesse agire in opposizione o in contrasto con il partito comunista russo. La Russia restava sempre il più importante punto di riferimento di un movimento che Togliatti stesso riteneva sempre “mondiale”, sempre fermamente convinto della assoluta necessità dell’unità del movimento comunista.

Togliatti quindi non intendeva mirare a una scissione del comunismo italiano da quello sovietico ma vedeva nella conferenza che Kruscev intendeva indire un grave pericolo per l’unità stessa del movimento mondiale. Si rendeva conto che uno scontro frontale avrebbe portato a una frattura verticale non facilmente riassorbibile fra partiti europei e i partiti asiatici e ancora ad un’altra frattura all’interno dei partiti comunisti di tutto il mondo. Queste preoccupazioni erano state presentate dal partito comunista italiano già da vari mesi e aveva messo chiaramente in dubbio la opportunità di una tale conferenza.

In seguito poi la dirigenza comunista italiana aveva accettato in linea di principio la conferenza considerandola inevitabile, ma in ogni caso si voleva influire sulla sua composizione e direttive. E in questo contesto che vanno quindi inquadrati gli appunti che Togliatti redasse e che noi conosciamo come “memoriale di Yalta”.

II contenuto
Esaminiamo ora più particolarmente il contenuto del memoriale.
Innanzi tutto il Togliatti condanna senza ambiguità le posizioni cinesi e il pericolo che esse rappresentano per il movimento comunista mondiale e quindi della necessità di un lavoro capillare per rispondere alle tesi cinesi.

Togliatti mostra di rendersi conto che perché un lavoro del genere fosse ben condotto sarebbe stato anche necessario non indire una conferenza che avrebbe provocato delle pericolose fratture.
Ritiene anche possibile soluzioni alternative che pur condannando le posizioni cinesi tuttavia evitino la paventata spaccatura.
Realisticamente poi viene preso in esame la situazione di isolamento dei partiti comunisti nei paesi capitalistici, una situazione che finirebbe ancora più a peggiorare se si avesse una frattura nel movimento.
Tuttavia esistono possibilità di affermazione, ma occorre una politica adeguata alle circostanze, non dogmaticamente ancorate a principi astratti.
Si prende in esame il problema della programmazione economica e dell’allargamento dei mercati nazionali.
Si pone quindi il problema fondamentale di una via pacifica legalitaria per l’edificazione del comunismo e quindi di una politica più aderente alla concreta situazione economica delle classi lavoratrici.
Viene ribadito con forza e convinzione che questo non significa affatto che venga rinnegata l’ ispirazione internazionalista del comunismo.

Si pone anche il problema dell’abbandono della pregiudiziale anti religiosa e quindi una ampia apertura al mondo della cultura di varia ispirazione progressista.

Tutto porta poi all’elemento più importante e duraturo del memoriale nel quale si pone il problema della possibilità di un via pacifica e legalitaria all’instaurazione del comunismo in una società capitalistica, riconoscendo naturalmente l’esigenza di una via nazionale dei vari partiti.

Quindi si afferma la grande importanza del collegamento a tutti quei movimenti di liberazione che, pur non essendo comunisti, tuttavia oggettivamente nella loro lotta al capitalismo portano una carica rivoluzionaria affine a quella dei comunisti.
E tutto ciò si salda alla proposta da lui sostenuta di convocare una conferenza allargata a tutti i movimenti anticapitalistici in alternativa a quella dei partiti comunisti che implicherebbe necessariamente una frattura con i comunisti cinesi.

Si rifiuta quindi la visione trionfalistica dei paesi socialisti propria della propaganda tradizionale: i problemi reali non sono conosciuti in occidente e quindi le crisi e i problemi in cui si imbatte il socialismo appaiono inesplicabili, sentiti come insufficienze dei principi del comunismo stesso.

La destalinizzazione ha messo in crisi in occidente il mito di un successo continuo e ci si interroga pure in che misura le deviazioni di Stalin siano dovuti, non a un caso personale, ma a deficienze del sistema. Si apre così la via a una visione critica dell’intero movimento comunista, superando l’idea ingenua che tutte le deviazioni staliniane siano tutte riconducibili a un solo uomo.

Si mostra quindi il fatto che il ritorno ai veri valori della Rivoluzione comunista, identificati con il pensiero di Lenin, non si sia verificata nella misura in cui la denuncia delle deviazioni di Stalin sembrava rimandare.
Il memoriale si chiude con queste parole:
“Sulla situazione italiana
Molte cose dovrei aggiungere per informare esattamente sulla situazione del nostro Paese. Ma questi appunti sono già troppo lunghi e ne chiedo scusa. Meglio riservare a spiegazioni …"

Sarebbe stato di maggior interesse proprio una osservazione della situazione del nostro paese che invece manca. Tuttavia è anche importante notare che Togliatti sin dall’inizio della sua attività politica fino all’ultimo giorno della sua vita ha ragionato sempre in prospettiva internazionalista: in lui non vi è stato mai dualismo fra interessi del proletariato italiano e quello degli altri paesi.

Valore del memoriale
L’importanza del Memoriale è stata riconosciuta quasi unanimamente ma il suo significato politico è stato variamente valutato.

Per alcuni con Il Memoriale Togliatti avrebbe compiuto un passo fondamentale per uscire dallo stalinismo, non tanto nel senso di dare spazio alle vie nazionali autonome al comunismo, ma proprio nel senso di un ripensamento generale della metodologia dell’instaurazione comunismo. Secondo altri era un’ipotesi di accordo col Pcus di Krusciov sulla conferenza internazionale dedicata alla crisi col Pc cinese. A nostro parere però Togliatti nel memoriale si sforzava di adeguare l’azione del comunismo nazionale e internazionale ai tempi nuovi: ma non era un passo avanti, non aveva alcun contenuto nuovo, non recepiva cioè quello che a noi moderni appare ben chiaro, con il senno di poi: l’Unione Sovietica, il movimento internazionale comunista aveva perduto, come si disse, la sua spinta propulsiva, la possibilità che una società autenticamente comunista che estirpasse il male dal mondo, la grande illusione della Rivoluzione che ogni cosa avrebbe rimesso al posto, che avrebbe per sempre eliminato lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo era definitivamente tramontata. O almeno era tramontata la possibilità che in quella direzione movessero ancora i paesi del socialismo reale.
Per Togliatti i paesi del socialismo reale restavano pur sempre il sole dell’avvenire, a dispetto di tutto, a dispetto di ogni evidenza .

Ma noi ragioniamo con il senno di poi. . . . .

 

CONCLUSIONE: IL PARADOSSO DI TOGLIATTI

Contro la Rivoluzione
L’opera politica di Togliatti è caratterizzata da un paradosso: l’uomo che rappresentava la Rivoluzione comunista rivolse la sua azione proprio a impedire che essa esplodesse in Italia e quindi in Europa. Come abbiamo mostrato a impedire lo scoppio della rivoluzione in Italia non furono tanto i partiti democratici di massa, nè la influente Chiesa Cattolica, nè le potenti forze militari americane, ma fu il partito comunista di Togliatti che in ogni modo prevenne la rivoluzione e quando essa, comunque sembrò manifestarsi ugualmente, come nella lotta partigiana, in occasione dell’attentato di Pallante, con i disordini contro il governo Tambroni, intervenne attivamente per bloccarla .

L’azione di Togliatti però fu perfettamente coerente e razionale: la Rivoluzione non aveva possibilità di successo in Italia e quindi non doveva scoppiare: Togliatti non era un poeta della Rivoluzione, né un profeta, ne un ideologo era una grande lucido e razionale e acuto politico, un grande, un eccezionale politico che in quanto tale sapeva chiaramente distinguere quello che era effettivamente possibile da quello che si desiderava fosse possibile .

Con il senno di poi possiamo dire che, date le sue premesse il modo secondo il quale agì, il modo migliore di agire fu proprio come egli effettivamente agì.

Le premesse
Già le sue premesse….ma è proprio sulle premesse che noi abbiamo dei dubbi.

Constatare che la Rivoluzione non poteva avere successo in Italia perchè in realtà non poteva avere successo nel mondo Occidentale, non equivaleva a concludere che la Rivoluzione aveva ormai perso la sua storica sfida? Lo stesso Togliatti aveva compreso, con almeno 50 anni di anticipo rispetto al pensiero di sinistra, che il fascismo stesso era pure esso un fenomeno di massa, poteva non comprendere che ormai il capitalismo andava acquistando una sua base popolare? E allora perchè non fare il grande passo che molti fecero allora rescindendo il legame con il comunismo internazionale, legame che impedì sempre alle forze di sinistra di raggiungere il potere?
E ancora di più: il bancario di Milano, l’operaio di Torino, lo studente di Napoli poteva anche pensare che in Russia si stesse preparando la grande Rivoluzione proletaria che avrebbe estirpato una volta per tutte, tutta la ingiustizia e tutto il male dal mondo e che a questa meta bisognasse sacrificare ogni cosa, anche la giustizia e la verità.

Ma nessun al mondo meglio di Togliatti conoscevano gli orrori dello stalinismo, le purghe che portarono alla morte della quasi totalità di quelli che avevano fatto la Rivoluzione, il terrore diffuso capillarmente in tutto il paese, i milioni di morti viventi nei gulag: poteva egli credere che questi fatti veramente avrebbero portato alla società idealizzata da Marx?

Egli non era un poeta, né un profeta, né un ideologo, era una lucido e razionale e acuto politico, un grande eccezionale politico…..

Sorge allora il sospetto che egli agisse non perchè credesse realmente nelle idee che professava ma perchè così egli poteva mantenere il potere.

Collaborò con Stalin assecondando tutti i suoi crimini; cosi salvò la vita che tanti altri comunisti ingenuamente persero e divenne il capo incontrastato del comunismo italiano solo perchè designato da Stalin, mantenne un potere assoluto sul partito e quindi su una fetta consistente dell’Italia perchè era la guida alla Rivoluzione, quando sarebbe venuto il momento.

Ma lui, PalmiroTogliatti ci credeva veramente e fingeva solo di crederci? Non lo sapremo mai, crediamo, e forse non è nemmeno importante: la storia giudica gli avvenimenti dal punto di vista politico non la moralità degli uomini.

Giovanni De Sio Cesari
www.giovannidesio.it

Nota: L'articolo sopra è la sintesi del saggio integrale (120 pagine): Palmiro Togliatti ( qui in rete )

vedi anche 

altra biografia su TOGLIATTI >


DE GASPERI, - TOGLIATTI, - NENNI, - LA MALFA
QUATTRO PADRI PER LA DEMOCRAZIA ITALIANA


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