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26.07.2008
Il premier
iracheno dal papa di Giovanni De
Sio Cesari
Il papa ha ricevuto in udienza ieri mattina il
presidente del consiglio iracheno, Nūrī al-Mālikī. La Santa Sede
è particolarmente interessata al ritorno all’ordine e al
ristabilimento della pace in quel martoriato paese, anche per la
tutela della comunità caldea cattolica.
I Caldei sono i
discendenti del popolo degli Assiri che hanno mantenuto nei secoli
una propria identità, lingua e cultura, precedente
all’arabizzazione. Furono fra i primi ad accogliere il messaggio
cristiano nel I sec. d.C. in seguito alla predicazione di San
Tommaso Apostolo (40 d.C) e dei suoi discepoli. Dall’Iraq si
irradiarono anche nella evangelizzazione del Malabar in India e
qualche gruppo arrivò fino in Cina. Per motivi storici la chiesa
Caldea rimase divisa dal ramo principale e aderì lungamente alle
dottrine nestoriane. Solo nel XVIII secolo tornarono alla comunione
con Roma conservando comunque il proprio rito in lingua siriaca
(simile all’aramaico, la lingua parlata da Gesù).
Con
l’invasione mussulmana del VII secolo, i Caldei avevano potuto
mantenere la propria religione sia pure come Dimmy (protetti)
secondo la prescrizioni coraniche che concedevano libertà religiosa
al ”popolo del libro“ (cioè cristiani ed ebrei) in cambio del gizha
(tributo) ma senza la pienezza dei diritti civili. Con l’affermarsi
dello stato laico del Bath e quindi con Saddam i Caldei recuperarono
la parità con gli altri cittadini e ebbero un loro esponente, Tarek
Aziz, in un posto importante del governo. Con la caduta di Saddam e
la conseguente guerra civile la situazione dei Caldei si è fatta
sempre più difficile: è stato tutto un susseguirsi di gravi atti di
ostilità da parte di estremisti mussulmani contro i luoghi di culto,
i fedeli, i sacerdoti. Molte chiese hanno dovuto chiudere, la gente
ha paura di frequentarle, spesso i Sacramenti si celebrano nella
clandestinità. Molti cristiani temono pure di mostrarsi, perfino di
uscire di casa. In questa situazione quasi la metà dei fedeli ha
preferito emigrare verso paesi più tolleranti o verso l’Occidente.
Non si tratta però di una situazione particolare: non solo in Iraq
ma in tutto il Medio Oriente il diffondersi dell’estremismo islamico
rende precaria la condizione delle antiche comunità cristiane che
vanno rapidamente assottigliandosi.
Al Maliki aderisce alla
confessione sciita ma appartiene all’ala moderata che fa capo al
grande ayatollah Ali Al Sistani in contrasto con la fazione più
estremista guidata da Muqtada al-Sadr.
Nell’ultimo anno pare
che la situazione in Iraq vada migliorando e che sia possibile
raggiungere un compromesso fra sciiti e sunniti isolando le frange
più estremiste.
Il viaggio di al Maliki ha lo scopo di
raccogliere consensi internazionali al suo governo, che è visto da
molti come il governo imposto dagli americani, ma che invece aspira
a una sua autonomia nazionale.
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