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18.06.2009 Obama e la
crisi iraniana di Giovanni De Sio Cesari
La cautela mostrata dal presidente Obama di fronte alla
crisi iraniana è dovuta sia a motivazioni immediate che di
fondo.
A livello immediato si deve tener presente che
Moussavi non puo in nessun caso considerarsi ideologicamente diverso
da Ahmadinejad, Anche lui è stato sostenitore duro e puro della
rivoluzione komeinista ed è ha ricoperto incarichi di ministro del
suo governo negli anni tragici ed esaltanti della guerra all’Iraq di
Saddam (il “piccolo satana al servizio del grande satana” come si
diceva allora). D’altra parte in Iran non si diventa candidati senza
il benestare dell’onnipresente potere religioso, Moussavi, inoltre
se arrivasse al governo dovrebbe dimostrare di essere un vero”
sostenitore della Rivoluzione islamica mentre invece Ahmadinejad
sarebbe indotto ad essere più pragmatico: l’America preferirebbe il
secondo al primo.
D’altra parte la possibilità di Moussavi
sono praticamente nulle a meno che non ci sia un sommovimento
generale dell’Iran e allora si porrebbero altri scenari.
C’è
però una altra motivazione più ampia, di fondo che spesso sfugge. Di
fatto l’Iran sciita è alleato dell’occidente contro il terrorismo
fondamentalista che è rappresentato sostanzialmente dai wahabiti.
Questo movimento fu fondato alla fine del '700 da IBN
AL-WAHAB ed è stato sempre fortemente ostile agli sciiti accusati di
essere aver deviato dal messaggio coranico e di arrivare quasi
all’idolatria.
Nel Medio Oriente infatti il risveglio del
fondamentalismo ha anche ravvivata l’antica lotta fra sciiti e
sunniti. La Rivoluzione Komeinista infatti mise in moto un ampio
movimento fondamentalista di ritorno alle origine (salafiti) ma
paradossalmente esso si ritorce contro gli sciiti stessi. In Medio
Oriente abbiamo infatti due conflitti paralleli: uno fra
fondamentalisti e moderati e un altro fra sciiti e sunniti. Il
conflitto fra le due confessioni è aperto e generale in Pakistan e
recentemente si è esteso entro i confini stessi del’Iran in una
provincia abitata anche da sunniti.
In Iraq la maggior parte
delle violenze e delle vittime è dovuta allo scontro fra gli sciiti
e sunniti che sono sostenuti da estremisti che fanno riferimento
alla wahabita al Qaeda. L’Iran denunciò per prima gli eccessi dei
Talebani in Afganistan e quindi vide di fatto con sollievo e
l’intervento americano. Nel Libano la rivalità fra sciiti e sunniti
è risultata superiore anche a quella tradizionale fra cristiani e
mussulmani.
L’Iran quindi si trova a combattere gli stessi
elementi estremisti degli occidentali.
Sono significative a
questo riguardo due iniziative iraniane.
La prima è stata
l’adesione (per il momento come osservatore, ma presto come membro
effettivo) del gruppo di Shangai comprendente oltre alla Cina, la
Russia e le repubbliche islamiche ex sovietiche che ha assunto, come
la funzione principale, la lotta al terrorismo
islamico.
Ancora più significativo l’incontro organizzato da
Ahmadinejad con Karzai presidente dell’Afganistan e Zardari,
presidente del Pakistan (di cui mostriamo una significativa foto):
in questo modo si stringe ai due maggiori alleati dell’America
nell’area contro i comuni nemici.
Ovviamente un cambiamento
dell’Iran in senso moderno sarebbe un cambiamento epocale per il
Medio Oriente: tuttavia l’America di Obama, realisticamente,
preferisce stare alla finestra senza sbilanciarsi.
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La foto
dell’incontro di Karzai, Ahmadinejad e Zardari è tratta da “The
Frontier Post”, quotidiano di Peshawar (Pakistan).
Vedi anche: Teorici del fondamentalismo islamico:
http://cronologia.leonardo.it/storia/mondiale/islam001.htm
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