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03.06.2009
20°anniversario di Tien an men
di Giovanni De Sio Cesari

Nel 20° anniversario della repressione di Tien an men pubblichiamo una breve analisi dell’avvenimento.

Con la morte di Mao Zedong era cominciato un complicato processo politico di rinnovamento sotto la impellente necessità di fare uscire la Cina dalla situazione disastrosa in cui si trovava. Si confrontava una tendenza conservatrice ben decisa a mantenere l’assetto comunista con una innovatrice che tendeva invece a riforme radicali.
Il congresso dell' ‘82 si fondava su un dualismo molto precario: da una parte si riaffermava come meta finale la edificazione del comunismo ma dall’altra si accettavano tecniche e modi propri della produzione capitalistiche come mezzi per giungervi.

In tal modo l’edificazione del comunismo non era più una meta immediata a cui lavorare concretamente ma una prospettiva spostata in un futuro indefinito: da qui nasceva una lotta interna fra chi comunque metteva in primo piano la meta finale e chi invece i mezzi, fra innovatori e conservatori: da qui quindi vari compromessi spesso tortuosi, incomprensibili.

Zhao Ziyang si spinge ad affermare che lo stadio intermedio del libero mercato sarà lungo magari 100 anni, che non può essere saltato e comunque il liberismo è stato messo sotto controllo ma i vecchi dirigenti, sempre legati alla memoria della Rivoluzione, sempre forti ed influenti temono (e a ragione) che questa formula praticamente significhi una rinuncia definitiva al comunismo e vogliono restringere la portata delle riforme a momenti puramente tecnici di breve durata che tengano sempre presenti lo stadio finale: il comunismo.

Se al vertice la difficile sintesi si manteneva per opera soprattutto di Deng Xiaoping che pragmaticamente dosava innovazioni liberiste e insieme limitazioni al liberismo stesso, nel paese la spaccatura si manifestava sempre più ampiamente.

Alla fine degli anni '80 si manifestò una certa stasi dello sviluppo e soprattutto si cominciarono anche a farsi sentire gli aspetti negativi propri di uno sviluppo capitalistico: inflazione, disoccupazione, scandalose differenze economiche, tutte cose che la generazione maoista non aveva conosciuto e che seminavano inquietudine e malcontento.

Crebbe sempre allora il divario fra quelli che volevano un ritorno ai canoni della rivoluzione comunista e quelli che invece volevano l’abbandono deciso e definitivo del comunismo, fra quelli che davano la colpa di ogni cosa alle riforme e quelli che invece le attribuivano ai residui del comunismo.

Le manifestazioni di Tiananmen sono l’esplodere di questo contrasto: un fatto improvviso certo, come sempre avviene nella storia per i grandi movimenti, ma che si era maturato negli avvenimenti degli ultimi quindici anni.

La scintilla è un fatto del tutto occasionale: la commemorazione funebre di Hu Yaobang. Qualche anno prima questi era stato costretto a dimettersi dai conservatori per l’eccessivo inclinazione alle riforme. Deng era riuscito a sostituirlo però con Zhao Ziyang, collaboratore e sulla stessa linea di Hu Yaobang. Anche se fuori dal potere, Hu Yaobang aveva però mantenuto il suo posto. Il 15 aprile 1989 muore, i mass media ne tessono l’elogio formale. Sulla Tiananmen si tengono le dovute manifestazioni di cordoglio ma queste assumono un aspetto del tutto imprevisto: 100 mila studenti occupano la piazza Tiananmen: si tengono dibattiti e commemorazione, la tensione cresce.

Deng, il 25 aprile, scrive che si tratta di un’agitazione controrivoluzionaria, che se si lascia correre aumenterà e porterà al caos.

Ma Zhao Ziyang però mostra maggiore accondiscendenza, afferma che bisogna venire incontro alle richieste degli studenti se sono ragionevoli: si comprende che c’è una frattura con Deng che pare schierato con i conservatori.

Le manifestazioni continuano, si ingrossano, si estendono sempre di più, assumono aspetti di contestazione a Deng: girano fra gli studenti cartelli con scritte come: “non importa che il gatto sia bianco o nero, l’importante che se ne vada”, si rompono delle bottigliette in segno di disprezzo per Deng il cui nome in cinese suona appunto come “ bottiglietta”.

In quei giorni arriva Gorbaciov per chiudere definitivamente il contenzioso fra i due paesi: fra l’imbarazzo generale si elevano cartelli in suo onore, chiaramente in polemica con la dirigenza cinese.

Molti iniziano lo scioperò della fame, se si sentono male vengono sostituiti da altri: soprattutto tutta la città è in subbuglio, scende in piazza con gli studenti, accorrono da ogni dove componenti di tutte le organizzazione con aiuti, vettovaglia, tutto quello che serve: gli studenti non solo soli.
Zhao Ziyang in un ultimo tentativo scende in lacrime in piazza, cerca di invitare alla calma, alla moderazione, di convincere gli studenti, li avverte del pericolo della repressione, ma solo una minoranza è disposta a cedere. È la sua ultima apparizione in pubblico. Non viene ascoltato, la situazione si fa sempre più difficile e il potere appare diviso e incerto.

Tornato al vertice, Zhao Ziyang si mostra contrario all’imposizione della legge marziale, lo dice apertamente, si oppone a Deng, presenta le sue dimissioni.

Gli altri le respingono: sarebbe mostrare una debolezza e un divisione pericolosa.

Il 20 maggio si annuncia il ricorso alle truppe. Queste effettivamente si muovono ma vengono bloccate alla periferia di Pechino da folle di dimostranti in modo pacifico: per due settimane la situazione rimane incredibilmente bloccata.

Tutto il mondo segue con trepidazione la vicenda.

A questo punto gli studenti pensano di aver vinto, la statua di Mao viene imbrattata di vernice, appare un simulacro della statua della libertà di New York, appaiono dappertutto nella città “muri della democrazia” mentre il potere politico sembra assente: ma in realtà si combatte una difficile, drammatica battaglia al vertice: Li Peng e i conservatori mettono sotto accusa le riforme e quindi indirettamente Deng stesso.

Zhao Ziyang il 24 giugno viene estromesso ( ma senza infamia): al suo posto viene nominato Jiang Zemin di Shangai, città nel complesso estranea alle manifestazioni e legata allo sviluppo tumultuoso dell’economia.

Si fanno allora venire 200 mila soldati da lontane regioni, che non parlano nemmeno la lingua di Pechino: questi, arrivano a Tiananmen e dopo non poche esitazioni, alla fine, aprono effettivamente il fuoco, stroncando nel sangue la manifestazione. Non si è mai saputo quante furono realmente le vittime: forse alcune centinaia, forse alcune migliaia: l’impressione in tutto il mondo fu enorme.

La TV cinese ne dava notizie di parte, mostrava soldati uccisi dalla folla ma non le vittime dei soldati.

Tuttavia tutta l’operazione di Tiananmen fu ed è rimasta sempre impopolare anche in Cina: in seguito, ai militari che vi avevano partecipato fu donato un orologio commemorativo ma sparì subito dalla circolazione perchè nessuno aveva piacere di dire che aveva partecipato a quella operazione.

Va notato che nella folla di Tiananmen vi erano molta confusione, molte anime, molte richieste opposte, perfino chi si richiamava a Mao, come è inevitabile in manifestazioni spontanee di tale ampiezza, Insomma si temettero anche i disordini di una nuova Rivoluzione Culturale di segno opposto alla precedente ma altrettanto perniciosa: Deng era uomo d’ordine, con una concezione autoritaria dello stato, tutt’altro che incline allo spontaneismo delle masse.

Soprattutto va messo in luce che i moti della Tiananmen furono un fatto ampio ma locale, limitato sostanzialmente alla sola Pechino: il resto della Cina, la Cina dei contadini e della nuova industrializzazione rimase sostanzialmente assente, lontana, indifferente: se i soldati di Pechino non spararono sulla folla degli studenti, quelli venuti da altre ragioni invece lo fecero, non solo perchè forse non capivano bene la lingua parlata a Pechino ma perchè non capivano proprio quelle istanze di libertà e democrazia del tutto ignote al cinese medio.
I fatti di Tiananmen avvengono in un momento cruciale della storia: il comunismo scricchiolava in tutto il mondo, pochi mesi dopo cadeva il muro di Berlino e con esso quasi immediatamente tutti i regimi comunisti dell’est europeo. L’Unione Sovietica resisteva ancora per qualche anno poi anche essa si dissolveva clamorosamente. Il mondo stupefatto assiste a avvenimenti che nessuno avrebbe mai potuto prevedere: gli avversari del comunismo avevano sempre sostenuto che esso alla fine avrebbe perso la sua sfida con l’Occidente liberista ma mai avrebbero pensato che si sarebbe dissolto cosi improvvisamente per una crisi interna irreversibile, lasciando solo rovine.

Naturalmente questi avvenimenti ebbero un grosso impatto in Cina: si temette che anche in Cina un crollo improvviso avrebbe portato al caos economico e politico nel quale era precipitato il potente vicino russo.

Tutto ciò ovviamente rafforzava la posizione di tutti quelli che guardavano con sospetto le riforme promosse da Deng, che vedevano in esse l’inizio della fine, come era avvenuto per quelle di Gorbaciov.



Per approfondimento si veda:

La rivoluzione di Deng Xiaoping

www.giovannidesio.it/070929%20deng.asp



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