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09.03.2009 Tibet : il 50°
annivesaro di Giovanni De Sio
Cesari
Domani martedi 10 marzo 2009 cade il
cinquantesimo anniversario della fuga del Dalai Lama dal Tibet.
L’anno scorso, nel corso del mese, si ebbero sanguinosi disordini.
Quest’anno le autorità cinesi hanno attuato misure imponenti di
prevenzione ma non sappiamo se esse saranno sufficienti a impedire
ogni manifestazione. Se l’anno scorso molte voci si levarono in
Occidente per invocare sanzioni economiche contro la Cina,
quest’anno, al contrario, è la Cina stessa che minaccia
esplicitamente sanzioni contro quelle nazioni che in qualche modo
prestassero appoggio al Dalai Lama. Le minacce cinesi paiono essere
prese sul serio in una situazione di disastrosa crisi finanziaria
mondiale: la stessa Clinton si è guardata bene, nella sua recente
missione in Cina, a sollevare, sia pure vagamente, la questione.
Ma quale è la effettiva situazione in Tibet? In realtà noi
non lo sappiamo.
La censura cinese, anzi tutta la
organizzazione politica e civile della Cina, è sotto un controllo
accurato e severo e filtra ben poco, in effetti, che le autorità non
vogliano che si sappia. Corrono quindi voci incontrollate di
repressioni feroci ma non ci sono conferme oggettive: lo stesso
entourage del Dalai Lama, in realtà, può contare su qualche fonte
informativa ma è lontana da ben 50 dal proprio paese. I cinesi
invece propagandano continuamente un popolo del Tibet che è
assolutamente libero di seguire le sue tradizioni e alle loro
manifestazioni viene dato un grande risalto in tutto la Cina:
l’ultimo avvenimento mostrato è stato il capodanno tibetano che cade
in un periodo successivo a quello cinese.
I sostenitori del
Dalai Lama invocano la liberazione del Tibet (non nel senso di
secessione ma di autonomia), invece i Cinesi proclamano,
continuamente e con grande enfasi, che sono stati essi in realtà a
liberare il Tibet e sono la garanzia tuttora della sua liberta. La
affermazione va compresa in chiave economica e sociale. Al di là del
fascino della cultura e della meditazione religiosa la struttura
sociale ed economica del Tibet era caratterizzata dal fatto che
tutta la proprietà delle terre e del bestiame e di ogni cosa
apparteneva ai nobili e ai conventi, come da noi nel medioevo. I
lavoratori erano in uno stato che i cinesi definiscono di “servi
della gleba” adottando il termine europeo veicolato dal marxismo. Da
questo punto di vista quindi, i cinesi hanno abolito un tale stato e
liberato le masse del Tibet contro i pochi signori laici e
ecclesiastici e affermano che alle macchinazioni di questi si devono
i disordini. Le autorità quindi affermano non di non opporsi alle
pratiche tradizionali, religiose e non, ma solo al ritorno della
“servita della gleba” dalla quale si gloriano di aver liberato il
popolo tibetano.
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Foto
pubblicata dal “Quotidiano del popolo” con la didascalia: “I
Tibetani festeggiano il cinquantesimo capodanno dopo le riforme
democratiche”
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