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07.03.2009 La Cina e la
crisi mondiale di Giovanni De
Sio Cesari
Un fortissimo impegno finanziario annunciato dalla
Cina ha per qualche momento dato l’illusione che essa potesse dare
un contributo decisivo al superamento dell’attuale crisi finanziaria
e le borse avevano dato qualche segno di ripresa ma l’illusione è
subito svanita: esaminiamone le ragioni.
Il primo ministro
Wen Jiabao, in apertura della seconda sessione dell’XI Congresso
Nazionale del Popolo (definito impropriamente “Parlamento Cinese” e
che si riunisce solo una volta all’anno) aveva confermato un piano
di investimenti anticrisi corrispondente a 585 miliardi di dollari
in due anni: ci si aspettava anche qualche altro intervento ma non
sono stati annunciati.
In realtà la Cina non può fare nulla
per combattere la crisi internazionale e può solo cercare di salvare
parte del suo sviluppo economico. Per il 2009 si mira a uno sviluppo
dell’8% che per l’Europa sarebbe un miracolo economico ma che per la
Cina è un disastro: la sua economia infatti si sviluppava intorno al
13% annuo: il ridimensionamento significa, in pratica, che le
aspettative di milioni di persone saranno deluse, che tanti giovani
resteranno senza lavoro e quindi anche pericoli per la stabilità
politica che si regge essenzialmente sullo sviluppo economico:
nessuno pensa veramente a cambiamenti se l’economia tira tanto bene.
La Cina d’altra parte è ancora un paese poverissimo: solo in
certe aeree si sono raggiunti risultati spettacolari: le autorità
cinesi mostrano ai turisti solo quelle zone e tengono accuratamente
chiuse quelle della grande povertà. Non è quindi nemmeno
ipotizzabile che la Cina incrementi le importazioni dall’estero che
darebbero respiro all’economia mondiale. Se le esportazioni cinesi
non hanno più tanto mercato per le difficoltà occidentali, non resta
quindi che cercare di sviluppare il mercato interno: una strada più
lunga e lenta delle esportazioni massicce ma pure forse più
equilibrata e, comunque,l’unica percorribile.
Il piano di
interventi pubblici vuole quindi supplire alle difficoltà di sbocco
dei propri prodotti, non certo dare mercato ai prodotti stranieri.
D’altra parte è quello che cercano di fare tutti, Usa e Italia
compresi, anche se tutti dicono che bisogna guardarsi dal
protezionismo.
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La
foto dell’autore dell’articolo: la Cina prima dello
sviluppo.
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