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19.12.2008
Gaza: la tregua è finita
di Giovanni De Sio Cesari

Gaza, 19 dicembre 2008. HAMAS ha annunciato ufficialmente che la tregua di sei mesi termina oggi. Ammette di aver usato il tempo della tregua per addestrarsi meglio militarmente ma addossa ad Israele la colpa della fine della tregua in quanto non ne ha rispettato i termini.

Fawzi Barhum, dirigente di HAMAS, sottolinea il diritto a rispondere a ogni aggressione sionista contro i Palestinesi.

Opposte accuse da parte di Israele che afferma che la tregua è accettabile solo in una situazione di normalità completa a Gaza e che l’operazione militare che ha effettuato in novembre aveva solo lo scopo di scoprire e distruggere una galleria scavata fra Gaza e Israele ad evidenti fini terroristici. Nell’operazione morirono alcuni palestinesi e dopo di essa sono ricominciati i lanci di missili kassam contro Israele.

Ehud Barak, ministro israeliano della difesa, ha annunciato che Israele è pronta a rispondere a ogni attacco se la situazione lo richiederà: ”non temeremo di lanciare una vasta azione militare ma questo non significherà che ci sarà necessariamente bisogno di entrare nella striscia di Gaza“.

Tutto sembra quindi pronto per una ripresa delle operazioni militari, purtroppo.

A parte le opposte accuse la tregua ormai non reggeva più da tempo: è stata persa una occasione storica.

Da una parte HAMAS non ha mai veramente rinunciato al suo primo obbiettivo: distruggere lo stato d’ Israele, D’altra parte, malgrado le stesse dichiarazioni di tanti esponenti compreso lo stesso primo ministro, Olmert, Israele ha preferito non decidere sul punto veramente importante: gli insediamenti nei Territori.

Ci si domanda allora quale possa essere la soluzione del conflitto. In realtà tutti hanno un piano di soluzione perché, la soluzione è ben nota , unica e obbligata: la formazione di due stati sovrani e indipendenti che si riconoscano a vicenda: il problema è come arrivarci.

Se gli Israeliani pongono come presupposto dei negoziati la cessazione di ogni atto di terrorismo, quelli che non vogliono il negoziato lo faranno immediatamente fallire con un attentato: vi saranno sempre dei gruppi contrari al negoziato e le autorità, anche quelle di HAMAS, non sono in grado di controllarli.

Occorrerebbe invece che la cessazione del terrorismo fosse posta come fine del negoziato, non come presupposto. Se effettivamente si costituisse uno stato palestinese con un governo effettivamente in grado di governare e controllare il territorio allora sarebbe nella logica delle cose che assumesse anche la responsabilità dei propri cittadini. Esso potrebbe effettivamente e autorevolmente controllare il terrorismo.

D‘altra parte se la situazione umana degli abitanti migliorasse sensibilmente certamente il prestigio del governo moderato di Abu Mazen crescerebbe e diminuirebbe in parallelo quello degli estremisti.

In altri termini se il palestinese comune vedesse la sua vita migliorare realmente con la pace, diventerebbe favorevole alla pace stessa (cioè agli accordi con gli Israeliani) ma fino a che egli si sentirà oppresso e attaccato dagli Israeliani non crederà mai che la pace con essi potrebbe portare qualcosa di buono.

La strada del negoziato a oltranza richiederebbe coraggio e determinazione da parte di Israele ma sarebbe l’unica risolutrice del conflitto, più che di qualunque inconcludente vittoria militare. Ma richiederebbe soprattutto volontà di pace: e non tutti gli Israeliani vogliono effettivamente la pace. Non bisogna dimenticare che anche una parte non trascurabile degli Israeliani non accetta affatto la costituzione di uno stato palestinese e ritiene che tutta la Palestina spetti comunque agli ebrei per diritto divino: i radicali non sono solo fra gli arabi.

Israele è profondamente convinta di avere una superiorità militare e che su essa debba poggiare la propria sicurezza: la sua posizione di forza la rende abbastanza tiepida nei negoziati che dovrebbero interessare di più i Palestinesi: e come se dicessero: queste sono le nostre condizioni: se non le accettate, peggio per voi.









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Note
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immagine da al Jazeera




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