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16.12.2008
Concorsi in Cina
di Giovanni De Sio Cesari

Pechino, 15 dicembre: Il Quotidiano del Popolo pubblica questa fotografia emblematica della Cina moderna: una immensa folla di giovani che partecipa a un concorso pubblico per laureati presso il Centro della Esposizione Internazionale, il più grande concorso dell’anno. Secondo le statistiche riportate, circa 40.000 giovani con laurea e specializzazione hanno preso parte quest’anno a un concorso per 16.000 posti da distribuire presso 820 società.

Mentre il sistema dei concorsi si è affermato in Occidente solo a partire dall’Ottocento con la formazione dello stato librale e quindi delle istanze egualitarie e democratiche, in Cina esso era tradizionale da secoli nell’amministrazione imperiale: ogni anno venivano banditi pubblici concorsi per dirigenti dell’amministrazione detti dai Portoghesi “mandarini” (quelli che comandano), aperti a tutti anche se, naturalmente, potevano in concreto parteciparvi solo quelli che erano in grado di pagarsi una lunghissima e costosa preparazione culturale.

I vincitori venivano solennemente ricevuti dall’imperatore nella Città Proibita (palazzo imperiale) passando per un ponte di marmo riservato solo ad essi e all’imperatore stesso.

Le materie di esame erano la cultura tradizionale, piuttosto lontana quindi dai compiti ai quali effettivamente i funzionari erano chiamati non esistendo allora discipline come economia o diritto ma comunque ci si assicurava amministratori di capacità e di cultura.

Il testi fondamentali, dal 1300, per circa 600 anni, fino alla affermazione della cultura moderna erano di Chu Hsi (1130- 1200), il massimo esponente della scuola dei "Principi Universali" che viene paragonato al S. Tommaso della nostra tradizione filosofica, di cui fu anche quasi contemporaneo.

Egli sistematizzò il pensiero di Confucio: nell'etica, in particolare, sostiene che la conquista del discernimento fra il bene e il male è il risultato della conoscenza della interconnessione degli aspetti della realtà che si raggiunge con lo studio e la meditazione paziente e continua della realtà stessa.

Il suo pensiero si prestava quindi perfettamente alla formazione di quella classe di funzionari che resse la Cina fino all'irrompere della civiltà occidentale.

Negli anni più bui del maoismo la tradizione meritocratica cinese fu abbandonata con effetti devastanti.

I presupposti filosofici della Rivoluzione Culturale erano infatti il primato dell' ideologico sulla tecnica e insieme il primato del "fare" sul "pensare". Si riteneva, cioè, che per progredire era più importante una chiara coscienza proletaria, una salda conoscenza e fede nel marxismo-pensiero di Mao, che non capacità organizzative e anche tecnico-scientifiche. Era preferita alla direzione di una fabbrica una persona sicuramente comunista senza alcuna conoscenza tecnica e amministrativa a una esperta ma di incerta fede, inquinata da tendenze borghesi e feudali: si videro così persone quasi analfabete, ignoranti e rozze, alla direzione di complessi industriali, amministrazioni pubbliche e perfino salire sulle cattedre universitarie.

Nel contempo però gli studenti e gli intellettuali (il termine in cinese significa semplicemente persone istruite, come medici e ingeneri) venivano invitati a lavorare manualmente nelle comuni agricole, i riottosi rischiavano di essere spediti nel “laogai” (=campi di rieducazione attraverso il lavoro; in pratica: lavori forzati).

Con la riforma di Deng Xiaoping l’ istruzione è tornata in grande onore in Cina e attualmente costituisce la spina dorsale dello sviluppo economico cinese.

Circa 100 mila cinesi studiano all’estero, in grandissima maggioranza negli Stati Uniti.






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