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19.11.2008 Le prospettive
dell' Assemblea tibetana
di
Giovanni De Sio Cesari
Dharamsala( India). Il giorno 17 novembre si è riunita
un’ assemblea di 500 rappresentanti degli esuli tibetani, di cui
però solo un 20% è nato effettivamente in Tibet. I lavori si
svolgeranno fino al 22 novembre, alla presenza del Dalai
Lama.
Una parte dell’assemblea si è pronunciata per una linea
più dura e intransigente rispetto a quella del Dalai Lama,
spingendosi fino a richiedere l’indipendenza. La posizione moderata
tradizionale del Dalai Lama è stata sempre invece quella di
richiedere semplicemente un’ampia autonomia, cosa per altro già
prevista nella costituzione cinese, anche se mai realizzata nella
pratica.
In realtà il problema del Tibet non è isolato ma è
comune a tutte le province della cosi detta Cina Esterna: Il Tibet è
solo più noto per la personalità del Dalai Lama e per il fascino che
il paese stesso ha sempre esercitato su tutto l’immaginario
occidentale.
Per comprendere il senso e le prospettive
bisogna fare una breve premessa storica.
La Cina è sempre
stata minacciata dalle invasioni dei popoli provenienti dall’ampia
area, desertica e improduttiva, che la circonda.
La Grande
Muraglia segna l’inizio della Cina storica proprio in quanto ebbe la
funzione di dividerla e proteggerla da popoli bellicosi e barbari
costituendo, cosi il Zhōngguó (il Paese di Mezzo). Spesso però i
popoli barbari sono entrati in Cina devastandola. Con la dinastia
Ming (1368 - 1644) e soprattutto con quella dei Quing (1644-1911)la
Cina ha cercato di prendere il controllo di quelle aree per
prevenire il pericolo e dal 1700 ha esteso il suo dominio su un’
area vastissima, desertica montagnosa, inospitale e pochissimo
popolata (Cina Esterna) di cui il Tibet è solo la parte più nota.
Quando la Cina entrò in crisi con la caduta dell’impero, le
guerre interne fra i signori della guerra, fra nazionalisti e
comunisti, e la tragica invasione giapponese, in pratica questi
territori lontani rimasero abbandonati a se stessi e costituirono
stati indipendenti
Ma quando fu instaurata la Repubblica
Popolare Cinese, sotto la guida di Mao, l’esercito cinese riprese il
controllo di tutte queste aeree a cui i cinesi non avevano mai
rinunciato. Così anche il Tibet che si era proclamato indipendente
(ma con scarsi riconoscimenti internazionali) sotto il governo
teocratico del Dalai Lama, fu rioccupato da un corpo di spedizione
cinese (1950). Il Dalai Lama tentò a lungo di ottenere una certa
autonomia e rispetto per le tradizioni locali: ma la politica
comunista di Mao fu intransigente verso tutto il passato della Cina
stessa, quindi il Dalai Lama fuggì (1959) in India e poi in
Occidente dove risiede ormai da quasi mezzo secolo.
Nel
frattempo però il governo cinese ha incoraggiato una forte
immigrazione degli han (cinesi veri e propri) nei territori della
Cina esterna: poiché questa ha una popolazione estremamente rada in
pratica gli immigrati Han (cinesi) sono sul punto di diventare la
maggioranza della popolazione.
Il Tibet, su un territorio
immenso pari a 4 volte quello dell’Italia, aveva appena 5 milioni di
abitanti di fronte al miliardo e trecento milioni di cinesi. Non si
hanno cifre ufficiali ma probabilmente ormai gli immigrati cinesi
(han) forse costituiscono la maggioranza della popolazione nello
stesso Tibet.
Non a caso infatti i disordini di Lhasa ebbero
per bersaglio proprio i residenti cinesi più che il governo.
In questa situazione di fatto, richiedere l’ indipendenza è
del tutto fuori dalla realtà: i cinesi non acconsentirebbero mai, in
nessun caso, a meno che non ci fosse una nuova crisi della Cina
paragonabile a quella del secolo scorso, eventualità non solo
assolutamente remota ma che nessuno, sul piano internazionale si
augurerebbe.
Resta allora l’ autonomia provinciale: anche
essa però finisce con l’essere svuotata di contenuto per la presenza
degli immigrati han sempre più numerosi e che per di più
costituiscono la parte più attiva ricca ed evoluta: un Tibet
autonomo sarebbe probabilmente amministrato in fondo sempre da han
immigrati.
Quello che può essere realistico resta invece un
maggiore rispetto per le tradizioni locali.
Ma il problema a
questo punto non riguarda specificatamente il Tibet e le altre
regioni periferiche, ma la Cina nella sua interezza.
Se in
Cina ci sarà democrazia, libertà, rispetto dei diritti umani ci
saranno allora anche nel Tibet e nelle altre regioni esterne.
Purtroppo per il momento non si vede nessun passo della Cina sulla
via della democratizzazione.
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