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28.09.2008
Siria: che succede?
di Giovanni De Sio Cesari

A Damasco una potente autobomba è esplosa ieri in un'affollata strada, uccidendo 17 civili e facendo un gran numero i feriti: il luogo dell’esplosione è vicino sia al mausoleo di Zeinab, un luogo di pellegrinaggio per i fedeli sciiti, sia a una centrale dei servizi segreti siriani e non è chiaro quale sarebbe stato l’obbiettivo prefissato.

I media arabi indicano i servizi israeliani come responsabili: questi sono sicuramente gli autori dell’assassinio avvenuto negli scorsi mesi di Imad Mughniyeh, uno dei responsabili della guerra in Libano fra Israele ed Hezbollah e accusato inoltre di una serie di attentati e sequestri: non sembra però che in questo caso gli israeliani abbiano qualche responsabilità.

Quasi certamente invece la causa è da ricercarsi nelle complesse lotte interne fra Sciiti e Sunniti. Nell’anniversario dell’11 settembre infatti Ayman al Zawahiri, il cosiddetto vice di Bin Laden, aveva lanciato un attacco di inusitata durezza contro gli sciiti e in particolare contro gli Hezbollah, che sono libanesi di confessione sciita, vicinissimi alla Siria.

Il regime di Damasco è retto da una minoranza religiosa detta “Alawita” che, benché storicamente abbia avuto un percorso diverso, comunque può considerarsi un ramo degli sciiti: il nome stesso di Alawita deriva da Ali, il cugino di Maometto, considerato dagli sciiti come il suo legittimo successore.

La maggioranza però dei Siriani è invece sunnita: tuttavia la laicità dello stato impressa originariamente dal partito Baath (che significa “resurrezione”: socialista arabo, lo stesso di quello di Saddam Hussein) ha assicurato fino ad ora una buona convivenza religiosa. L’estremismo sunnita, di cui al Qaeda e al Zawahiri sono espressione, potrebbe fare esplodere l’instabile equilibrio su cui si fonda la Siria e, in verità, tutto il Medio Oriente.

Anche la guerra del Libano di due anni fa va vista tenendo presente la rivalità fra le due confessioni islamiche.

Appena apparve una timida, appena percepibile, prospettiva che Hamas, organizzazione formata esclusivamente da sunniti, di fronte alla responsabilità di governare, in qualche modo ammorbidisse la sua posizioni intransigente e quindi aprisse un dialogo con Israele ecco che gli sciiti di Hezbollah riaccesero la miccia, rapendo un soldato israeliano, ponendo condizioni inaccettabili per il suo rilascio, lanciando missili sulle città israeliane, scatenando quindi la reazione israeliana. Degli scontri gli sciiti si proclamarono vincitori perché in ogni caso erano riusciti a contenere l’offensiva israeliana, per la prima volta nella storia, e inoltre, con i fondi ricevuti dai confratelli iraniani, poterono risarcire direttamente tutti i libanesi di qualunque confessione religiosa, che avevano perso la case per i bombardamenti: una crescita di immagine strepitosa che andava incontro alla loro ambizione di mettersi al centro di una lotta religiosa e nazionale contro Israele e contro il “grande satana,” l’Occidente secondo la nota definizione di Khomeini.

Hamas dopo anni di sofferenza, tanto grandi quanto inutili, ha dovuto rinunciare alla lotta contro Israele nella striscia di Gaza: allora gli sciiti possono ritenere che sia giunto il loro momento.




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