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05.09.2008
India: punire le violenze contro i cristiani
di Giovanni De Sio Cesari

Il premier indiano Manmohan Singh ha sollecitato le autorità dello stato di Orissa a precedere con severità e decisione contro gli autori delle gravi violenze con omicidi e roghi, contro i cristiani avvenuti nei giorni scorsi preventivando anche risarcimenti e aiuti per la comunità cristiana.

Le violenze sono state innescate all’accusa (presumibilmente infondata) rivolta ai cristiani di essere gli autori dell’omicidio di Swami, esponente del Vhp (Vishwa Hindu Parishad) movimento fondamentalista indu. Nei disordini sono periti circa 25 persone e forse ammontano a 20.000 i rifugiati, e il clima di paura rimane sempre altissimo.

Mentre ormai sono ben note le difficoltà in cui si dibattono i cristiani nel mondo mussulmano ci si meraviglia in Occidente che episodi cosi gravi di intolleranza possano verificarsi anche in India.

Essa infatti da una parte ci appare la più grande democrazia del mondo e dell’altra la terra della non-violenza e della tolleranza del Mahatma Gandhi, il padre della patria

In realtà esistono però molte Indie: la parte sviluppata economicamente che parla inglese è certamente democratica, laica e tollerante, lontanissima dalle faide religiose, ma esiste anche un’ India profonda, agricola e poverissima in cui le antiche superstizioni sono intatte cosi come lo sono gli assetti sociali fondati sulle caste, sulla esclusione dei paria, gli intoccabili, attualmente definiti con il termine DALIT (oppressi) anche se la distinzione in classe è proibita dalla legge indiana fin dal 1950 e insidiata dalle religioni non induiste come il cristianesimo.

In questa India nemmeno Gandhi è stato mai veramente ascoltato: egli chiamò i paria “Harijans” (figli di Dio) e predicò sempre la più ampia e radicale tolleranza religiosa: non a caso il suo assassino proveniva da questo mondo ancestrale e dalla classe privilegiata dei Bramini.




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