Questa volta finalmente un Nobel va alla Cina senza essere una sfida politica alla dirigenza cinese. Due anni fa visto come un affronto il Nobel della pace assegnato al dissidente Liu Xiaobo, attualmente condannato a 11 anni di reclusione Nel 2000 il Nobel della letteratura fu pure assegnato a un altro dissidente, Gao Xingjian, che si era rifugiato in Francia e le cui opere erano state vietate in patria. In realtà, però, Mo Yan non può considerarsi uno scrittore allineato al regime e ha sempre mostrato grande indipendenza intellettuale. Il fatto è che egli non vuole fare critica politica ma semplicemente descrivere i fatti reali, le atmosfere della sua terra. Uno scrittore verista, potremmo dire, che non sconfina mai nella denuncia o nella polemica politica: sono i fatti rappresentati che poi il lettore può interpretare secondo le proprie categorie mentali. Volendo fare un paragone con la nostra letteratura, quindi, diremmo un verista come Verga e Capuano e non un neo realista del secondo dopoguerra. Tuttavia Mo Yan ai toni realistici mescola anche toni fiabeschi e leggendari perchè anche essi fanno parte della realtà cinese e i primi non potrebbero essere compresi senza i secondi. In questa senso Mo Yan è alla scoperta delle radici del mondo contadino cinese che egli riesce a far rivivere con grande forza poetica. D’altra parte Mo yan non viene alla letteratura dal mondo della cultura o dall’università. Nato nel 1995 in una povera famiglia contadina, durante la rivoluzione culturale badava alle pecore restando cosi alquanto ai margini dal cataclisma politico che travolgeva in quegli anni il paese. In seguita, a venti anni, si arruolò nell’esercito dove ebbe la possibilità di studiare e farsi una cultura. Nel 1987 balzò alla notorietà in patria e nel mondo con la pubblicazione di “Sorgo rosso”, il suo romanzo piu noto, tradotto in tutto il mondo e dal quale fu tratto anche un film che ebbe qualche successo anche da noi. Il romanzo è incentrato sulla figura di un giovane donna data in sposa, nel 1930, a un uomo ricco, anziano e repellente. Divenuta quasi subito vedova, la protagonista eredita l’industria del marito, un fabbrica di alcolici, la porta avanti, la fa fiorire, si unisce a un altro giovane e ha una bimba. Nell’ultima parte del romanzo, sette anni dopo, entra in scena l’invasione giapponese: la donna anima la rivolta , un convoglio giapponese viene attaccato con vasi incendiari pieni di alcool ( una versione cinese delle bottiglie molotov sovietiche di Stalingrado) e muore eroicamente con tutti i suoi: si salva solo il figlioletto. Quindi una descrizione dei mali della Cina prima della Rivoluzione e un finale eroico nella guerra anti giapponese: due temi che qualunque cinese di ogni orientamento condivide appieno.
In seguito ha composto molte altre opere che però non sono note in Occidente. Fra di esse va segnalata “Rane” un racconto in cui la protagonista, una ostetrica, prima fa di tutto per far nascere i bambini e poi, adeguandosi alla linea del partito, con la stessa solerzia, pratica gli aborti perchè ogni coppia non deve avere più di un figlio. Anche qui nessuna denuncia etico politica ma soio una descrizione dei fatti.Una sua ampia opera è “Grande seno, fianchi larghi.” nella quale attraverso un gran numero di personaggi si seguono le vicende cinesi per cinquanta anni , dalla società patriarcale degli anni Trenta, al capitalismo di oggi, attraverso i rivolgimenti dell’era maoista. Il romanzo è stato contestato in Cina per l’implicita ( e mai esplicita ) condanna del comunismoSi noti come nelle sue opere le protagoniste sono sempre le donne, che in Cina tradizionalmente hanno un ruolo assolutamente subalterno. Negli ultimi anni Mo Yan ha spesso denunziato la mancanza di una vera cultura in Cina, troppo impegnata sul lato economico che pare assorbire ogni cosa. In una intervista a Repubblica nel 2002 cosi si è espresso:
“Credo che la letteratura deve presentare la realtà di un dato paese . Ora c’è la modernizzazione, e va bene, a Pechino abbiamo i grattacieli, prima si viveva nella miseria, nessuno stava bene, né gli operai , né i contadini, né i soldati, ora c’è chi sta meglio, qualcuno sta meglio. Ma se la cultura muore, come si può stare meglio? Così posso dire che sono pessimista, nelle campagne la gente è ancora molto povera, tutti pensano a cose materiali. Certo, rispetto a cinquant’anni fa c’è stato un cambiamento ma cambiare non è sempre migliorare, il che non significa che io voglia tornare indietro, no. Ma senza cultura la gente avvizzisce. E che si può fare? Io penso che non si può andare avanti così”.