DALLA CERTEZZA DIVINA AL NON SENSO DEL DIVINO

 

Nel tardo Rinascimento si affermò il concetto che la scienza della natura può raggiungere risultati certi e definitivi.

Secondo Galilei la conoscenza della natura, ottenuta con metodi rigorosi, possiede la stessa certezza che ha Dio se si prescinde che Egli ha conoscenza di tutto e immediata, mentre l'uomo ha solo conoscenze parziali raggiunte gradatamente.

Tale concezione rimane pressoché invariata nei secoli fino al Positivismo che in linea generale ribadì la concezione e ritenne che il metodo scientifico potesse essere esteso al campo propriamente umano (come la politica, l'etica) che tradizionalmente era invece considerate come al di fuori della scienza naturale.
Tale concezione assolutizzante della scienza venne a vacillare e quindi a tramontare non tanto per l'opposizione comunque tenace di varie correnti filosofiche in opposizione al Positivismo, quanto soprattutto per l'esito imprevisto dello stesso progredire della scienza.

Infatti i nuovi risultati scientifici posero in dubbio “verità “ scientifiche che parevano incrollabili, dimostrando quindi, con tutta evidenza, che non esistono “ certezze scientifiche definitive “, ma " teorie scientifiche” che possono essere messe in dubbio.
Basti citare a tale proposito le teorie della relatività particolare e generale di Einstein e il fiorire delle matematiche non-Euclidee.

Con le prime si elabora una concezione scientifica che non riconosce l'I'assolutezza fino ad allora indiscussa dell'invariabilità di spazio, tempo e massa e si supera la concezione ritenuta esemplarmente scientifica della meccanica classica; se le leggi della gravitazione universale di Newton non sono valide (se non come approssimazioni), quale certezza possiamo noi attribuire alla scienza?

                                                                     

D'altra parte le geometrie non Euclidee mettono in dubbio il pilastro stesso di ogni certezza scientifica: la matematica.
Come è noto la geometria comunemente insegnata nelle nostre scuole ha fra i suoi fondamenti il quinto postulato di Euclide: per un punto esterno ad una retta passa una sola parallela alla retta data ,.

Si ritenne fino alla fine dell'800 che essa fosse incontrovertibile, quasi il prototipo della verità assoluta. Ma i matematici mostrarono che era possibile" inventare " una geometria in contrasto con tale postulato che fosse perfettamente logica (esente da ogni contraddizione) e si è anche ritenuto che forse " la matematica euclidea è valida solo per una prima approssimazione.
 

Si badi bene che non si ritiene comunque che le nuove teorie siano quelle vere definitivamente (così come Galilei considerava il sistema eliocentrico vero in quanto scientifico e quello geocentrico errato in quanto non scientifico) ma, al contrario, si è ben  consapevoli che si tratta comunque di teorie che un giorno possono essere superate da altre.                                    

La “ perdita di certezza " della scienza fu usata da alcune filosofie per contrapporre ad essa altre forme di  conoscenze; per noi italiani l'esempio più noto è quello di Croce che distinse i concetti concreti e universali propri della conoscenza storico  filosofica dai pseudo-concetti delle scienze che non sarebbero né universali né concreti pervenendo quindi a    negare alla scienza un valore propriamente conoscitivo, riconoscendole solo un valore  pratico-economico.

Quasi negli stessi anni, nel mondo germanico nasceva invece l'opera di Wittgenstein e del Circolo di Vienna
(Neo-positivismo logico) che giungeva a risultati diametralmente opposti affermando che l'unica conoscenza possibile in sostanza è quella delle scienze naturali e che a chi vuole uscire dai suoi limiti non si addice altro che “ il silenzio" 

Il Wittgenstein nella prima fase del suo pensiero espresso nel Tractatus logtco-philosophicus del 1922, fece infatti una acuta analisi del linguaggio. Il linguaggio è un modello della realtà: esso ha significato solo in quanto si riferisce a una verità verificabile con l'esperienza, allo stesso modo che un plastico ha un significato solo se corrisponde alla realtà che vuole rappresentare.

 

Sono anche possibili espressioni linguistiche che indicano tautologie (nelle quali cioè il predicato ripete il Concetto del soggetto e quindi non ci dice niente di nuovo; ad esempio: il civismo è il senso civico).

Enunciati che non siano verificabili con l'esperienza e non siano tautologie sono privi di senso.

Poiché in genere la metafisica, la morale, la religione non sono riconducibili né a fatti verificabili, ne a tautologie, esse sono prive di senso e “su  ciò di cui non si può parlare si deve tacere ".

Abbiamo quindi schematicamente tre tipi di enunciati (e quindi di discorsi):

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1)   Enunciati che possono essere veri o falsi in quanto verificabili con l'esperienza, sia pure in linea di principio e non di fatto (ad esempio

domani pioverà " può essere smentito o meno dall'esperienza in linea di principio anche se può accadere di fatto che io non sia presente per constatarlo).  

 2) Enunciati metafisici: quegli enunciati che non sono né verificabili né tautologie. Come prima accennato essi non sono né
veri né falsi, ma semplicemente “ privi di senso”  Non si dice al metafisico: " le tue parole affermano il falso " bensì" le tue parole non affermano assolutamente nulla "
(da Schlick).

 

3) ENUNCIATI TAUTOLOGICI: Sono sempre veri (se sempre falsi vengono detti propriamente contraddizioni) a prescindere da qualsiasi esperienza: esempio: “ domani pioverà o non pioverà ,': qualunque cosa accada domani l'enunciato sarà sempre vero (anche se non dice nulla di nuovo).