Alcune domande

Si è detto giustamente che la funzione del maestro non è
quella di trasmettere semplicemente delle nozioni, il patrimonio
culturale delle vecchie generazioni alle nuove ma anche e soprattutto di selezionare gli elementi più significativi, le strutture più importanti della nostra civiltà affinché siano elementi di cui i giovani possano nutrire la loro intelligenza.  

Evidentemente ciò comporta che l'educatore si ponga in
posizione critica rispetto alle idee, agli atteggiamenti comuni
della nostra età.

Ci chiediamo allora: ma il criterio del risultato « oggettiva-
mente » rilevabile, dell'efficientismo è sempre e comunque valido?
Tutto ciò che esiste realmente esiste solo e in quanto può
essere oggettivamente rilevato e quindi quantificato e quindi
introdotto in un elaboratore elettronico?

Esiste anche qualcosa, che pure è importante, che sfugge
al criterio della verificazione empirica, della quantificazione
matematica?

E' proprio vero che quello che non “ si vede » non esiste?
Possiamo accettare il criterio di quel tale chirurgo che affermava che l'anima non esisteva perché non l'aveva mai trovata sotto il suo bisturi?

In realtà già il bambino a sei anni sa che  esistono cose che non si vedono ma che sono più importanti di quelle che si vedono.

Per il piccolo che si affaccia alla scuola elementare è chiaro
ed evidente ed indiscutibile che il rispetto delle regole del gioco
è più importante che il premio della vittoria stessa, che chi vince
infrangendo le regole non vince veramente.

Dovrà la scuola insegnargli che rispettare le regole è qual-
cosa che va giudicata solo dai risultati oppure che, comunque,
anche se produce un danno (perdita del premio) è comunque
qualcosa che deve essere fatto?

In termini filosofici: esistono solo giudizi di fatto o anche
giudizi di valore?

Ciò che non si realizza può essere più importante di quello
che si realizza? Il fatto che tutti frodano inficia il principio che
non si deve frodare?

D'altra parte il bambino confonde le sue interpretazioni con
la realtà.

Ma la scuola gli dovrà insegnare a distinguere interpretazione
e realtà: gli dovrà insegnare che la realtà è sempre infinitamente
interpretabile, che essa è sempre problematica; che non esistono fatti ma solo interpretazioni di fatti; un calcolatore può sì calcolare tutti i dati che gli diamo ma non può esso stesso trovare dati perché le capacità di interpretare la realtà è fatto puramente umano.

L'attuale momento (o forse moda) pedagogica rivaluta
( e a giusta ragione) gli aspetti cognitivi dell'insegnamento. Ma tutto ciò che - ripetiamo - è più che giusto comporta anche un'idea e, talvolta, una ossessione, dei risultati oggettivamente misurabili, dei comportamenti accertabili.

Ma poi è tutto “ oggettivamente “ misurabile? La formazione
morale, religiosa, l'amore del sapere sono oggettivamente
valutabili?

Forse è  “oggettivamente “ valutabile la capacità strumentale del leggere e dello scrivere, ma lo è parimenti interesse
a leggere?

E' possibile misurare con i sociogramma il gradimento sociale
di ogni singolo alunno nel suo gruppo scolastico ma è poi possibile valutare se il fanciullo persegue solamente il « successo sociale » cercando sempre e solo di avere uno “ status “ sociale più alto o se sente l'apertura all'altro come valore, come dovere morale?

Questo soprattutto noi ci domandiamo: se noi ci fermiamo
a ciò che è oggettivamente valutabile, finiamo con il dimenticare
quanto di più importante è nell'educazione e nella vita?