PRIMO GIORNO DI LAVORO
Arrivai in America il giovedi e il lunedi successivo già mi dovevo presentare sul lavoro. L’idea di avere un lavoro e una paga era molto eccitante. Mi faceva sentire che avevo un'autorita’anche io.
Avevo lavorato un po’a cucire, ricamare e lavoro coi ferri. Lo facevo per la famiglia e parenti ma non avevo mai ricevuta una lira. Lavorare ed essere pagata era come un sogno. La mia fantasia si scioglieva a pensare a quante belle cose potevo fare con quei soldini. Avevo visione di bei vestiti belle scarpe e borsette . A quell’eta’ queste erano cose importantissime. E non solo, sarei stata capace di aiutare col sostenimento della famiglia rimasta in Italia. Avrei potuto fare regalini alle sorelline rimaste al paese a mia madre e all’adorata nonna. Pensare a questo mi riempiva di gioia e di un forte senso di responsabilita’. Quel senso di responsabilita’che mi aveva accompagnata fin dalla partenza.
Ma la fantasia,i sogni, spingevano oltre, mi portavano al di la’ dell’immediato in un mondo ancora lontano. Mi chiedevo:”E se fosse possibile anche a conservare qualche soldino per il mio futuro”giungevo le mani e voltavo gli occhi al cielo.
Poi scacciavo subito questo pensiero e mi sentivo colpevole per aver osato tanto. Gia’avevo tanto di fronte a me una grande irta montagna da scalare, per ora bastava. Ma il pensiero di costruirmi un futuro non se ne andava , persisteva nella mia mente.
Lo spinsi nel profondo della mente promettendo a me stessa che non lo avrei dimenticato.
La domenica sera mi preparai con cura per il primo giorno di lavoro.
Scelsi un bel vestitino, lo stirai ben bene e lucidai le scarpe. Andai a dormire piu’ presto del solito. Il giorno dopo mi dovevo alzare presto, era una giornata importantissima.
Il lunedi' mattina mia zia mi consegno una busta di carta con qualcosa dentro. Mi disse che era il "lunch", il pranzo per il giorno. Non dissi niente ma mi domandai se voleva dire che non sarei tornata a casa per il pranzo la qual cosa mi impensieriva non poco.
Mio zio poiche era in ferie, mi accompagno' con la
macchina dove avrei iniziato a lavorare alle 8.00. Mi sentivo apprensiva non
sapevo cosa aspettarmi e l'ignoto mi faceva un po' paura.
Strada facendo ci imbattemmo con altre donne e ragazze paesane che
insieme camminavano per lo stesso posto di lavoro. Mio zio offri' il
passaggio. Si pigiarono tutte nella macchina sedute l'una su l'altra. Il mio
vestito ,che avevo stirato con tanta cura, si aggrinziva.
Comunque vedere le vecchie amiche mi rincuoro' .Mi assicurarono che nella
fabbrica di borsette si lavorava bene e il mio parente,capo reparto, le
trattava bene. Rincuorata dalla loro presenza e da quel che dicevano,l'animo e
la paura dell'ignoto si sollevo un po'. Sulla soglia della fabbrica ci venne
incontro Mario, il parente. Mi saluto' e mi disse che mi aspettava. Fece
segno a mio zio che poteva andare ed io seguii lui dentro. Entrammo in uno
stanzone enorme, cavernoso e polveroso. Era pieno di macchine da cucire .grandi
macchine SINGER pesantissime. Le donne operatrici erano chine sul lavoro e
pedalavano la macchina da cucire con tanta forza e sveltezza. Notai che non alzavano mai il capo totalmente concentrate sul
lavoro. Le macchine facevano un rumore assordante. Seguii Mario nell'ufficio,
dovevo riempire il certificato di lavoro. Siccome non sapevo l'inglese,penso' a
tutto lui. Ebbi l'impressione che lo aveva fatto tante volte. Io dovetti solo
firmare. Mi spiego' quale sarebbe stato il mio lavoro,non ci capii niente
ma annuii col capo. Mario mi accompagno' in un altra grande stanza attigua
a quelle che avevo visto prima.
Nella stanza erano altra gente, tutte donne, chine su un lungo
tavolo pieno di pezzi di borsette da mettere insieme per le operatrici di
macchine. Questo tavolo era chiamato the assembly line. Le donne mettevano
insieme ogni parte della borsetta: le maniche, la fodera, la
chiusura lampo, il gancetto che attaccava il manico alla borsa. Facevano
tutto fuori che cucire le varie parti della borsa. Da li un addetto prendeva
il materiale e lo distribuiva alle operatrici per cucire. Ne' le donne nella assembly line, ne le operatrici delle macchine da cucire si dovevano
spostare. A me mi affidarono a una ragazza che non conoscevo. Mi avrebbe
insegnato quale lavoro dovevo svolgere. Mi fece vedere dei gancetti di metallo.Mi spiego' che dovevo
inserirli nelle maniche delle borsette I gancetti erano un ferretto
piegato a due. Dopo inseriti nella manica bisognava aprirli e piegarli in
modo che reggevano la manica alla borsetta. Guardai lei,guardai i ferretti
e implorai tutti i Santi di farmi sparire per sempre.La ragazza si accorse
del mio disagio e mi disse qualche parola d'incoraggiamento. Mi fece vedere
come si faceva e poichè non ero sparita,mi misi al lavoro.I gancetti
erano affilati e pungevano le mani. Piegarli a S richiedeva grande
pazienza e forza alle dita. Vedevo che altre donne addette ad altri lavori mi
tenevano sott'occhio. Io continuavo ma non era facile. Le dita dopo
qualche tempo di lavoro erano tutte graffiate e dolevano. Diedi un occhiata
implorante alla ragazza che mi aiutava. Mi guardo' e fece cenno di no col
capo, non potevo fermarmi dovevo continuare. E continuai........
All'improvviso sentii un suono assordante e stridente. Mi voltai intorno
smarrita. Si era fermato tutto. I lavoratori, uomini e donne, lasciavano il
posto di lavoro e si avviavano a passo svelto verso la sala da pranzo. Era
il coffee breack, Intervallo per il caffe'. Molti avevano il thermos
di caffe' e biscotti, altri li prendevano dai
distributori automatici. Io frugai nella busta che mi aveva dato la zia al
mattino e ci trovai un panino e una mela. Mangiai la mela e lasciai il
panino per il pranzo. A mezzogiorno la stessa scena di prima si ripeteva.
Il suono assordante della campana annunciava il lunch
breack, intervallo per pranzo. Di nuovo si fermo' tutto e gli operai,
tutti con le buste,si avviarono alcuni verso la sala da pranzo altri verso
l'uscita. Io seguii le mie amiche fuori. Con loro mi sedetti sulle panchine a
fare il pranzo insieme. Il mio panino era:due fette di pane americano con una
fetta di prosciutto cotto e una di formaggio. Lo voltai e rivoltai tra le
> mani. Non sembrava appetitoso ne'gustoso. Comunque la fame si faceva sentire e
addentai.Il pane americano era molle e si masticava facilmente ma non aveva
sapore. Rimpiangevo il pane fatto in casa, appena sfornato croccante e saporito.
Dopo mezz'ora il suono assordante ci richiamo' al lavoro. E dopo un
interminabile pomeriggio finalmente alle 4.30 la giornata di lavoro
termino'. Passo' la settimana e venne il venerdi'. Il venerdi era il giorno piu'
atteso da tutti. Prima di tutto e piu'importante ci pagavano e poi segnava
l'inizio del week-end.: due giorni a casa.