IL GIORNO CHE ARRIVAI A NEW YORK

 

Dopo sbarcati,  dopo il trambusto di verifica documenti e controllo bagagli ,

finalmente mio padre e mio zio poterono  caricare tutte le valigie nel porta bagagli. fecero fatica a mettere dentro anche il baule della nonna. Quello che aveva pieno di salame, formaggio , lattine di olio e ogni altro ben di Dio per i figli che aveva in America.

Tutto fatto salimmo sulla  macchina  anche noi e ci  avviammo..........

Lasciammo la zona portuale e attraversammo una parte  della grande citta’.

Era impressionante New York. Gli altissimi  grattacieli, larghe e piane strade macchine e gente dappertutto. Ad ogni cantone un semaforo. Gruppi di gente si  fermavano  agli angoli delle strade,aspettavano il segnale di “adavance” attraversavano.......  e sparivano nei palazzi e strade laterali della citta’. Intanto un altro gruppo si formava agli angoli e la scena si ripeteva. Passata la gente ricominciavano le file di macchine, tassi, autobus e ogni mezzo di trasporto immaginabile. Ma appena il semaforo segnalava rosso tutti fermi, tutti alt...

Nonostante il traffico ,rumore e confusione tutto procedeva con regola.

Non avevo mai visto auto cosi grandi. Avevo sentito parlare di Cadillac, Crysler, Ford..........ma a vederle  nel vero ne rimasi molto impressionata, specialmente accanto alla modesta Ford di mio zio. Mentre guidava mio zio ci faceva notare una landmark di New York, l’Empire State Building, all’altra parte il Crysler Building Io sporgevo il capo fuori dal finestrino per vedere meglio affascinata da tutto quel nuovo mondo.

All’uscita della citta’ mio zio richiamo la mia attenzione e quella di mio padre ,che si era assopito a una enorme costruzione fatta di cavi enormi,corde e arcate e torri di metallo stile gotico.

Era il famoso Whitestone Bridge. Il ponte sembrava sospeso nel nulla  attraverso l’East River il grande fiume che separa Manhattan da Brooklyn e Queens . Fin ora avevo visto grandi macchine, larghe strade , altissimi grattacieli un ponte imponente.

Cominciai a pensare che tutto in America era piu’ grande,piu alto,piu’ largo,piu lungo

di tutte le cose che avevo visto fino allora. Mentre attraversavamo il ponte mi sporsi un po’ dal finestrino  per vedere  il fiume che scorreva sotto il ponte. Dall’alto del ponte vedevo il fiume scorrere  rapido formando bianche onde spumeggianti. Ma la distanza tra il ponte e il fiume era talmente profonda  da suscitare le vertigini. Rimisi subito il capo dentro.

All’uscita del ponte imboccammo una bella  strada  piana e dritta  chiamata “The Parkway”. Il Parkawaymera l’autostrada di allora. La strada, tagliata attraverso il bosco, era fiancheggiata  da alti alberi le cui cime si univano e formavano una galleria coperta sopra l’autostrada.. Arbusti fioriti separavano le corsie. Mi avevano detto che in America, nelle citta’, gli alberi si vedevano poco.Invece   Parkway era ricoperto di verde.

La strada asfaltata sfilava dritta di fronte a noi. Nessuno parlava . Io mi ero assorta nei miei pensieri..

 Pensieri di gioia e di apprensione. Gioia perche’ ero qui in America, tutte le speranze che avevo serbato tutti i sogni che avevo osato sognre stavano per realizzarsi.

Apprensione per l’ignoto. Mi domandavo se fossi piaciuta, ai parenti se mi fossi abituata  alla nuova terra, se avessi imparato a parlare inglese. Poi mi  scuotevo e ricominciavo a guardare la strada piana e dritta.

Non mandava nubi di polvere la strada,non c’erano fossi o frane da schivare. Le macchine non si dovevano fermare per far passare il carro del contadino che rientrava  dopo la giornata di lavoro nei campi, ne’ passava il pastore  che tornava la sera col suo gregge. Non c’erano semafori sul Parkway. Ad ogni pochi chilometri si leggevano grandi cartelloni che indicavano il  nome del paese o citta’ che attraversava e indicavano il numero dell’uscita dall’autostrada. Cosi arrivammo a Stamford , la citta’ dove avremmo abitato per tanto tempo. Passammo strade con casette a un piano fabricate su campicelli d’erba verde che sembrava soffice come un tappeto.

Altre strade con abitazioni di 3 o 4 piani dove abitavano diverse famiglie..

Arrivammo alla casa di mio zio. Da fuori era molto carina. Era pitturata bianca e celeste.

Era un palazzetto  diviso in quattro appartamenti. Il nostro era al secondo piano.