ASSEDIO DI GERUSALEMME
Estensore prof. Giovanni De Sio Cesari www.giovannidesio.it
Anno 70 d.C. Contesto: guerra Giudaica -Romana Comandanti: Tito per i Romani, Giovanni e Simone per i Giudei Consistenza degli eserciti: Romani: 40 mila uomini, Ebrei circa 40 mila uomini, Civili coinvolti: forse 500 mila
INTRODUZIONE
L'assedio
e la conseguente distruzione di Gerusalemme e soprattutto del suo
Tempio hanno avuto nella storia una risonanza enorme molto al di sopra
dell'effettivo valore storico della vicenda. Infatti certamente
l'episodio ebbe notevole valore politico: tramontò per sempre la
possibilità della indipendenza degli Ebrei e con esso in tutto
l'Oriente apparve chiaro che era impossibile sfuggire al potere
dell'Impero, il comandante romano,Vespasiano diventò imperatore e dopo
di lui il figlio Tito : nel foro romano fu erette un arco di trionfo
che tuttora ne costituisce uno dei monumenti più insigni.
Ma in
fondo si trattava di una delle tante campagne vittoriose dell'esercito
romano e non certo una delle più difficili: la vittoria romana non era
mai stata minimamente in dubbio. La sua risonanza pero travalica il
momento storico e si proietta attraverso i millenni fino ai nostri
giorni. Gerusalemme distrutta diviene un simbolo indistruttibile per
Ebrei, cristiani e mussulmani
Per gli Ebrei infatti rappresenta
un momento centrale della loro storia, un rimpianto mai sopito, un
dolore che non può avere termine. Il "muro del pianto" (l'unico
manufatto rimasto ) è il posto più sacro degli Ebrei, Il saluto che gli
Ebrei si sono scambiati per tanto tempo suonava "l'altro anno a
Gerusalemme!". Dalla sua distruzione infatti viene e a mancare una
terra per questo popolo e inizia l'infinito errare per terre straniere
sempre discriminati e con la minaccia sempre latente o incombente delle
persecuzioni
Per i cristiani Gerusalemme è il luogo della
crocifissione rappresenta la "civitas dei" (città di Dio), la
Gerusalemme Terrena è l'immagine della Gerusalemme Celeste, si carica
di infiniti significati mistici : la Crociata, la liberazione del Santo
Sepolcro è stato è il mito, purtroppo sanguinoso, di molti secoli.
Per
i Mussulmani da Gerusalemme, dal luogo del Tempio il Profeta Maometto è
asceso al cielo e anche per essi è, sia pure in modo minore rispetto a
Ebrei e cristiani, essa assume aspetti mistici e simbolici.
Quando
la Gerusalemme ideale viene confusa con la Gerusalemme reale nascono
implacabili guerre:all'ultima di essa stiamo ora assistendo:i negoziati
fra Israeliani e Palestinesi si sono bloccati proprio sullo status di
Gerusalemme e la lotta ha il carattere estremo che assume sempre quando
essa si appunta non su questioni reali e particolari ma su simboli
carichi di Assoluto
Vogliamo in questo articolo raccontare
l'assedio (uno dei molti) e la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C.
che ha allargato il suo valore simbolo della città da un piccolo popolo
(gli Ebrei) a tanta parte dell'umanità, ai tanti popoli cristiani e
mussulmani sparsi nel mondo.
UN ASSEDIO SENZA PIETA'
L'assedio
di Gerusalemme ebbe una carattere tragico e terribile,non ci fu posto
per la pietà, nel leggere la sua cronaca non possiamo non avere un moto
di raccapriccio per avvenimenti tanto terribili . Ma perché i Romani
generalmente generosi ,repressero con tanto violenza la rivolta dei
Giudei?
Cerchiamo di capirne le ragioni
La Palestina fu
sempre per i Romani una provincia difficile da amministrare: gli Ebrei
non si integrarono mai nel tessuto dell'impero a differenza degli altri
popoli e aspettarono sempre un "messia" un inviato di Dio che li
guidasse alla indipendenza:questa aspettativa escatologica rendeva gli
Ebrei o meglio una parte più intransigente di essi (noi diremmo gli
"integralisti") sorda a ogni valutazione realistica. Era impensabile
che gli Ebrei potessero sconfiggere l'Impero Romano, impensabile che
l'Impero Romano potesse permettere la indipendenza degli Ebrei: ma
queste considerazione apparivano addirittura blasfeme per i movimenti
"integralisti" dei Farisei, ,Zeloti, Sicari: Il Dio di Israele che
aveva punito il Faraone con le dieci Piaghe d'Egitto e aveva travolto
il suo esercito in fondo al mare non temeva certo i Romani. Ogni
rovescio per quanto grave veniva considerato come una prova di fede da
superare, ogni successo per quanto piccolo un pegno del favore della
volontà divina. Quando l'uomo presume di conoscere la volontà di Dio
perde la capacità di capire gli avvenimenti : due mila anni fa come
adesso si entra in un circolo vizioso per cui qualunque avvenimento
favorevole o sfavorevole viene interpretato come un segno divino,
dappertutto e qualunque cosa succede si vedono conferme e solo conferme
della propria convinzione.
I Romani non potevano permettere
l'indipendenza della Palestina non tanto per l'importanza della
provincia in se ma soprattutto perchè ,se avessero accettato il
principio della secessione delle province, l'Impero si sarebbe presto
dissolto: certamente i Romani avevano affrontato ben altre potenze per
arrendesi di fronte alle modeste forze giudaiche. Essi pero non avevano
alcun interesse a esasperare la guerra, non volevano,distruggere un
popolo ma farlo entrare nella compagine dell'Impero: cercarono pertanto
sempre sino alla fine il compromesso, mostrando moderazione e clemenza
(la proverbiale clemenza di Tito)
Ma il campo avverso era
dominato dai ribelli che avevano solennemente giurato davanti al loro
Dio che mai si sarebbero arresi ai Romani: non potevano mancare al loro
giuramento: la morte o la vittoria:e se la vittoria appariva al momento
impossibile tuttavia essa sarebbe arrivata un altro giorno, quando
sarebbe piaciuto al Dio SABAOTH ( Dio degli eserciti) :per il momento
la morte era la soluzione agognata ,soprattutto ,come i moderni
Kamikaze ,se potevano portare nella morte anche qualche nemico : dalla
morte sarebbe nata la vittoria e la vita del loro popolo .
I
Romani erano abituati a combattere contro nemici che una volta persa la
speranza della vittoria cercavano di conservare la vita nella fuga o
nella resa: bastava quindi rompere l'ordine dell'esercito nemico perché
questo diventasse una massa di fuggitivi e di supplici: i Romani si
mostravano in genere clementi e cosi si era formato l'Impero: debellare
superbos e parcere subiectis (abbattere i forti ma risparmiare i vinti)
Ma
ora i Romani combattevano contro un nemico che aveva giurato di
morire,che "voleva" morire: alla fine non ebbero scelta: uccisero tutti
i ribelli, distrussero il Tempio, spianarono la città fin dalle
fondamenta :spezzarono così per sempre ogni volontà di resistenza e
quando ,dopo 70 anni, questa parve ancora rinascere non ebbero
esitazione: cacciarono definitivamente i Giudei superstiti dalla loro
terra e li dispersero nel mondo.
LA RIVOLTA E LA REPRESSIONE
Nel
66 d. C. le autorità romane misero mano al tesoro del Tempio: questo
fatto fu la scintilla di una rivolta generale dei Giudei che ebbe un
iniziale successo e anche le forze inviate dai Romani dovettero
ritirarsi. Il comando passò quindi a Domiziano che con ingenti forze
marciò sulla Palestina. Fu chiaro allora che i Romani non avrebbero
ceduto e che la sorte della ribellione dei Giudei era segnata: la
maggior parte della Giudea si sottomise ma gli elementi più estremisti
continuarono la guerra fino alla fine: Vespasiano divenne nel frattempo
imperatore succedendo a Nerone e questo fatto fece interrompere la
guerra per circa un anno. Essa riprese quindi sotto il comando di Tito,
figlio di Vespasiano e stretto collaboratore del padre che pose nel 70
d.C. l'assedio a Gerusalemme. Poiché il fatto avvenne nel periodo della
Pasqua ebraica un gran numero di pellegrini rimasero intrappolati nella
città sotto assedio
GIUSEPPE FLAVIO
Durante le operazioni
militari i Romani assediarono e presero la città di Jotopata. A capo
della guarnigione ribelle si trovava Giuseppe (Joseph) Matatias ,membro
di una illustre famiglia. I ribelli preferirono tutti uccidersi
vicendevolmente ma Giuseppe ,invece, si consegnò ai Romani. Portato al
cospetto di Vespasiano gli predisse che sarebbe diventato imperatore e
questo gli salvò la vita. Effettivamente, poco dopo, Vespasiano divenne
imperatore. Giuseppe collaborò attivamente con l'esercito romano nel
tentativo di convincere i Giudei a sottomettersi ai Romani. Dopo la
guerra Giuseppe venne a Roma ,divenne cliente (cioè un protetto)
dell'imperatore e assunse il nome dell'imperatore ( Giuseppe Flavio,
appunto). Ricevette terre e favori e scrisse una storia della guerra
giudaica oltre che una storia generale degli Ebrei in Aramaico e queste
opere poi tradotte in greco ci sono pervenute e costituiscono la fonte
principale delle nostre conoscenze moderne su quegli avvenimenti.: per
questo motivo .e non per l'importanza militare riportiamo l 'episodio
LA FAME
La
maggior parte delle vittime dell'assedio non fu dovuta alle armi ma
alla fame che può quindi considerarsi forse la vera protagonista
dell'assedio. I Romani infatti cinsero d'assedio la città e resero
impossibile ogni rifornimento. Le scorte si esaurirono presto e allora
la popolazione fu presa dalla disperazione. Tutti si contesero i pochi
avanzi: prima con il danaro e poi con a violenza. Lottarono fra di loro
gli amici e i parenti e a volte il marito tolse il cibo dalla bocca
alla moglie e la moglie al marito e quello che è ancora più terribile,
i genitori ai figli. Prevalevano i più forti sui più deboli e i ribelli
armati riuscivano a sostenersi perché toglievano il cibo agli inermi,
Quando si trovava qualche cosa da mangiare ci si rinchiudeva subito in
casa per consumarlo. Ma quando si vedevano le porte chiudere subito
irrompevano gente disperata e armata che toglievano ai malcapitati i
bocconi ancora in bocca. A volte i bambini restavano attaccati ai
bocconi con forza e venivano alzati con essi. Molti armati poi,
cominciarono a torturare terribilmente i concittadini nella speranza
che essi avessero nascosto da qualche porte un poco di cibo e molti
morirono cosi nei tormenti.
Si racconta che una donna impazzita
per la fame uccise e cucinò il proprio figlio. Ne mangio una parte e
un'altra la conservò per quelli che la tormentavano. Quando questi
entrarono in casa offri loro la parte restante: questi pero dall'orrore
fuggirono. La storia si riseppe anche nel campo dei Romani che furono
presi da orrore e da pietà.
La gente moriva: dapprima i
parenti rendevano loro qualche onore funebre ma a volte cadevano essi
stessi sui loro cari morti per la debolezza e presto fu impossibile
ogni cerimonia. Allora i cadaveri furono lanciati dalle mura nei
fossati e Gerusalemme fu circondata da una massa di cadaveri. I ribelli
nelle loro sortite erano costretti a camminare su questo orrendo
tappeto.
Alla fine fu impossibile anche gettare i cadaveri alle mura e allora si stiparono nelle case e si chiusero le porte .
La
maggior parte della gente così moriva orribilmente: ma i ribelli
avevano giurato di non arrendersi e mantennero il loro giuramento fino
alla fine, sordi e ciechi a ogni pietà
I FUGGITIVI
Molti
cittadini tentarono di fuggire dalla città assediata ma pochi ebbero
buona fortuna. Innanzi tutto i ribelli non lo permettevano specie
all'inizio dell'assedio perché lo consideravano un tradimento
Un
maggiorente della città di nome Mattias, che pure aveva aiutato i
ribelli, sospettato di volere fuggire, fu immediatamente condannato a
morte con i suoi tre figli: implorò che, per i suoi passati meriti
,fosse ucciso prima dei figli: non gli fu accordato: furono prima
uccisi i suoi tre figli e per ultimo su di essi cadde anche il padre.
Bisognava dare un esempio terribile che scoraggiasse ogni idea di resa.
In seguito pero i ribelli non si opposero più: molti fuggirono dalla città
All'inizio
i Romani permettevano loro di passare le linee e allontanarsi ma in
seguito sospettarono che fra di essi potessero esserci dei ribelli che
poi li avrebbero colpiti alle spalle e anche vollero far capire che
volevano la resa generale, unica condizione che avrebbero accettato
I
Romani allora crocifissero tutti intorno alle mura della città fino a
500 al giorno: la fila dei crocifissi circonda tutta la città: "non vi
era più spazio per le crocifissioni e non più croci per le vittime"
In
una fase ulteriore non ci furono più crocifissioni: tuttavia i
fuggitivi ebbero ancora sorte terribile: era in uso al tempo ingoiare
monete d'oro e pietre preziose per nasconderle e poi recuperarle nelle
feci (attualmente una pratica simile viene usata da corrieri della
droga). I soldati Romani si accorsero che qualcuno dei Giudei faceva
così e allora uccidevano tutti per frugare nelle loro viscere. Pochi
trovarono effettivamente qualcosa ma tanti Ebrei persero la vita anche
se almeno ufficialmente queste azioni erano severamente vietate .Ma, si
sa nell'antichità il saccheggio era la ricompensa più importante che i
soldati si aspettavano e nessun comandante accorto le poteva proibire
Alcuni
furono accolti dai Romani ma ebbero pure morte orribile: si gettarono
sul cibo ma morirono perché "scoppiò loro lo stomaco" dice Giuseppe
Flavio:n realtà, secondo i medici moderni, per improvvisa anemia
cerebrale dovuto all'improvviso afflusso del sangue allo stomaco o per
mancanza di succhi gastrici dovuta alla lunga inattività delle relative
ghiandole.
Verso la fine dell'assedio i Romani accettarono i fuggitivi ma per venderli come schiavi
I PRIMI ASSALTI
Gerusalemme
aveva poderose fortificazioni. Era circondata da una triplice cinta di
mura tranne che sul lato nord che aveva un solo muro ma che era
inaccessibile per uno strapiombo. Di rinforzo alle mura vi erano più di
cento torri e alcune di esse ,l'Antonia per esempio, erano vere e
proprie fortezze .
Tito inviò Giuseppe per offrire la resa
promettendo a tutti il perdono ma dalle mura si rispose con insulti e
lanci di frecce e di pietre.
I Romani erano maestri nell'arte
dell'assedio e iniziarono le operazioni. Presero tutto il legno che
trovarono e cominciarono a costruire macchine di assalto e a lanciare
contro i Giudei ogni sorta proiettili .I Giudei non sembrarono essere
all'altezza di competere in questo con i Romani, tentarono una sortita
ma furono, sia pure con difficoltà, respinti. Di notte una delle torri
crollò creando grande apprensione nei Romani che credettero all'inizio
che fosse opera dei nemici. Individuati un punto debole nel primo muro
i Romani lo superarono entrando nei primi quartieri della città. I
Romani non intendevano distruggere o infierire sulla popolazione sempre
aspettandosi una resa generale dopo che avevano dimostrato
l'impossibilità di una difesa. Ma i Giudei invece inaspettatamente
tornano all'assalto e piombano dal secondo muro sui Romani. Questi si
trovano in difficoltà nelle strette vie che non conoscono e hanno solo
una stretta apertura nel primo muro per ricevere rinforzi. Riescono a
stento a ricacciare i Giudei e diroccano quindi tutto il primo muro
IL DISCORSO DI GIUSEPPE
Su
incarico di Tito, Giuseppe allora tenta di convincere i suoi
connazionali con un lungo e appassionato discorso: mostra la
impossibilità della vittoria, la potenza imbattibile dell'Impero a cui
sarebbe inutile opporsi. promette per tutti clemenza e perdono solo che
fossero tornati all'obbedienza di Roma. Con il loro atteggiamento i
ribelli saranno essi e non i Romani i responsabile della distruzione di
Gerusalemme e soprattutto del Tempio che essi dichiarano di voler
difendere , li invita a avere pietà della loro nazione ,dei loro
compatrioti, delle loro inutili sofferenze.Visto vano il richiamo alla
ragione e alla realtà, Giuseppe passa ad argomenti di carattere
religioso che spera possano fare breccia:mostra,in verità molto
speciosamente, citando la Bibbia e tradizioni ebraiche, che a Dio
spetta la difesa del suo popolo e non alle armi.
Tutto inutile:
i ribelli hanno giurato di morire, manterranno il loro giuramento
decisi a portare nella morte non solo il maggior numero possibile di
nemici ma anche tutti quelli della loro gente che vorrebbero arrendersi
e che ai loro occhi sono solo dei traditori che non meritano di vivere.
Niente può fare loro cambiare idea: desiderano la morte ,la avranno e
trascineranno in essa un piccolo numero di nemici ma una massa immensa
della loro gente e per sempre faranno del loro popolo un popolo di
senza terra.
Un colpo di pietra scagliato dalle mura dei Giudei
tronca il discorso di Giuseppe: questi viene dato per morto ma in
effetti è solo stordito e si rimette presto.
IL SECONDO MURO
Riprende
con maggiore violenza l'assedio. I Romani costruiscono una grande torre
di fronte alla torre- fortezza Antonia:i Giudei però costruiscono un
cunicolo che dalle loro linee passa sotto la torre: fanno quindi
crollare la volta e la torre romana rovina al suolo. Fanno quindi una
sortita disperata che mette in rotta i Romani. I Giudei si precipitano
fino agli accampamenti Romani e qui vengono a stento fermati dai
reparti messi a loro guardia.
Allora i Romani decidono di
costruire un vallo che circondi completamente tutta la città impedendo
ogni via di salvezza e ogni sortita. Vengono abbattuti tutti gli alberi
della regione e i legionari costruiscono con grande fatica un'opera
immensa. Costruiscono altre potenti macchine di guerra e abbattono il
secondo muro. Ma dietro di essi i Giudei hanno costruito un altro
muro:i Romani lo attaccano in forze ma sono respinti. Di notte tornano
pero all'assalto e questa volta ,dopo un accanito combattimento
riescono a superarlo.
Ancora Giuseppe tenta di convincere i
difensori ad arrendersi ma ,come sempre, inutilmente. Tito si offre di
permettere una festa religiosa che doveva tenersi in quei giorni ma
tutto è vano
Allora i Romani abbattono l'Antonia e preparano una ampio cammino per attaccare il Tempio e avanzano in forze.
L'INCENDIO DEL TEMPIO
A
questo punto i soldati Romani cominciarono a penetrare nell'interno del
recinto del Tempio. I Giudei pero riempiono una parete di ingresso di
materiale infiammabile.Arretrano quindi e quando i soldati si
precipitano dentro essi la incendiano. I soldati finiscono così
intrappolati fra il fuoco e nemici e cadono tutti senza che i compagni
possano portare loro aiuto. Finito l'incendio i Romani penetrano nel
Tempio e appiccano essi il fuoco a tutto il Tempio I soldati massacrano
tutti quelli che trovano senza fare alcuna distinzione fra armati e
inermi ,fra uomini donne e bambini .Mucchi di cadaveri si formano e
crescono man mano ai piedi degli altari, per le sacre scale rotolano
corpi e colano rivoli di sangue
I Romani poi passano ai luoghi
vicini e tutto incendiano e distruggono .:Tito a stento riuscì a vedere
i luoghi santi prima che fossero distrutti completamente
I
soldati depredarono tutti gli oggetti che trovarono che furono quindi
dispersi: alcuni sacerdoti in seguito, consegnarono a Tito altri
oggetti che avevano nascosti in nicchie segrete. Tutti i tesori
dell'arte, frutto di secoli di lavoro, andarono irrimediabilmente persi.
Secondo
Giuseppe Flavio la distruzione del Tempio fu dovuta all'esasperazione
dei soldati e fu fatta contro la volontà di Tito: la cosa però è poco
credibile perché l'assedio di Gerusalemme aveva anche lo scopo della
distruzione di questo simbolo supremo proprio dell'ebraismo che era
sempre un punto di aggregazione della insofferenza verso l'Impero.
Giuseppe Flavio vuole addossare ai ribelli tutta la colpa della
distruzione del Tempio per motivi di propaganda politica
L'ULTIMO ASSALTO
Tito
offre ancora la resa.Ma i ribelli rispondono che hanno giurato di non
arrendersi mai e dicono che possono solo accettare di uscire da
Gerusalemme. La risposta pare una provocazione a Tito in effetti,
però,era l'unica che potevano dare e la tragedia si avvia al suo
inevitabile fine.
I Romani danno l'ultimo assalto e investono il
terzo muro. La resistenza dei Giudei è debole, si disperdono. I Romani
allora si precipitano all'interno del muro e uccidono senza nessuna
distinzione tutti quelli che incontrano, incendiano tutti gli edifici.
Gli ultimi irriducibili si nascondono nei cunicoli scavati sotto la
roccia. Qui alcuni muoiono di fame, altri si uccidono.Quando alla fine
i Romani ,sfidando il fetore, che ne esce, si calano all'interno
troveranno solo qualcuno ancora vivo
I capi Giovanni e Simone
vengono catturati vivi, forse all'ultimo momento è mancato loro il
coraggio di uccidersi o forse hanno atteso troppo: vengono incatenati.
In seguito saranno portati a Roma per il trionfo di Tito e dopo messi a
morte secondo la crudele tradizione romana
LA FINE DI GERUSALEMME
Tutti
i superstiti dell'assedio tranne quelli ai quali che all'inizio era
stato permesso di andare via , rimasero in potere dei soldati Romani:
questi uccisero i deboli, i vecchi e risparmiarono quelli più sani,
particolarmente quelli che avevano meno di 17 anni per venderli come
schiavi anche se il prezzo ormai era bassissimo.
Altri
prigionieri considerati particolarmente "pregiati" furono inviati "in
regalo" in tutte le città dell'oriente e molti finirono la loro vita
nelle arene degli anfiteatri
Secondo Giuseppe Flavio i
prigionieri furono 97.000 ma i morti in tutto l'assedio sarebbero stati
un milione e centomila. La seconda cifra appare ai moderni del tutto
esagerata mentre forse la prima può avvicinarsi alla realtà: non
sapremo mai quante furono effettivamente le vittime.
Tito
ordinò quindi che tutta Gerusalemme fosse distrutta. Tutti gli edifici
ancora in piedi furono diroccati, tutto fu spianato completamente. Solo
alcune torri furono risparmiate per essere usate dai soldati che
sarebbero rimasti sul posto
Dice Giuseppe Flavio che un
visitatore non avrebbe mai creduto che in quel posto fosse sorta una
città. Secondo la predizione evangelica non restò "che pietra su
pietra": in realtà non rimasero nemmeno quelle perché tutto fu portato
via ed infatti non troviamo praticamente nessuna vestigia della antica
città a parte un muro di contenimento della spianata del Tempio, il
famoso"muro del pianto".
Nel luogo fu poi fondata una città
ellenistica denominata Aelia Capitolina nella quale era interdetto
l'ingresso ai Giudei. Solo con l'affermarsi del Cristianesimo
Gerusalemme riprese il suo nome e il suo significato religioso e con
esso anche purtroppo il tragico destino di simbolo di scontro fra le
civiltà.
Estensore prof. Giovanni De Sio Cesari www.giovannidesio.it
La
nascita del sionismo. Molti gruppi ebraici del nostro continente
pensavano di realizzare uno stato libero,non confessionale,per il
riscatto del proprio popolo, seguendo un cammino non molto diverso da
quello del nostro Risorgimento.Il resoconto del primo
Congresso sionista[1],che si aprì il 29 Agosto 1897 a Basilea, fu molto
esiguo e si focalizzò prevalentemente su alcune informazioni di
carattere organizzativo,come la nomina del presidente,Theodor
Herzl,redattore della “Neue Freie Presse”,e l’approvazione di un
ringraziamento al sultano per l’ospitalità che accordava agli israeliti
nel suo impero[2].Gli oratori principali furono lo stesso Herzl e Max
Nordau[3],anch'egli scrittore,che all'inizio della sua attività non si
era interessato a questioni ebraiche.Dopo molte discussioni,il
Congresso fissò gli scopi e gli intenti del movimento,in quella formula
passata alla storia come“ Programma di Basilea”:il Sionismo aspirava
alla creazione di una sede nazionale garantita dal diritto pubblico,per
il popolo ebraico in Palestina.I mezzi per raggiungere quella meta
erano così fissati:1)il ripopolamento della Palestina da parte di
contadini,operai ed artigiani ebrei, in modo corrispondente allo
scopo;2)l'organizzazione e il collegamento di tutti gli ebrei per mezzo
di istituzioni adatte,locali e generali,in armonia con le leggi di
ciascun Paese;3)il rafforzamento del sentimento e della coscienza
nazionale;4)passi preliminari onde ottenere l'assenso del governo
ottomano.Al di là del programma di Basilea,fu stabilito di convocare di
quando in quando altri congressi,affinché il popolo ebraico potesse
avere un costante punto di riferimento nel difficile cammino verso la
fondazione del nuovo Stato.In occasione del secondo congresso avvenuto
il 30 agosto 1898,il giornale si rifece ad una nota dell’agenzia
Stefani.Il breve articolo focalizzava la sua attenzione prevalentemente
sulla volontà dei sionisti di acquistare il territorio della Palestina
dal sultano,che non era alieno dal concedere la vendita,ma i capitali
necessari non erano ancora raccolti.[4]Il giornale non seguì
attentamente il terzo e quarto congresso,tuttavia pubblicò delle note
d’agenzia per tenere informato il lettore[5]. Nel 1901 il
quotidiano rese nota la risposta negativa della Camera alla domanda del
governo ottomano a diversi paesi europei,fra cui l’Italia,per impedire
l’emigrazione ebraica[6].È da mettere in risalto che per la prima volta
nel 1903 il “Corriere della Sera” inviò un corrispondente, che si
firmava J,a seguire i lavori del congresso.Il giornalista dimostrava di
avere una discreta conoscenza della storia ebraica recente, esprimendo
simpatia e comprensione per le aspirazioni degli israeliti aderenti al
movimento. In quell’anno le proposte di Herzl si fecero più
pressanti e si indirizzarono soprattutto verso zone come l’Uganda,il
Mozambico,il Congo,coinvolgendo quindi le autorità inglesi,portoghesi e
belghe.Il giornale informò in una nota di agenzia dell’abbandono del
progetto di colonizzazione di El Arish a causa delle difficoltà di
irrigazione[7].Theodor Herzl affermava che i negoziati con
l’Inghilterra non avevano dato degli effetti positivi,per cui il
progetto del Sinai doveva essere abbandonato; tuttavia l’Inghilterra
avrebbe messo a disposizione l’Africa occidentale,a patto che, sia pure
amministrata dagli israeliti,tale porzione di territorio rimanesse
comunque sotto la sovranità inglese.Negli articoli inerenti le proposte
dell’Inghilterra,sia i dispacci dell’agenzia Stefani che il
corrispondente alternano Africa occidentale e orientale,nonostante la
proposta inglese riguardasse l’Uganda.Nella stessa seduta Herzl notava
come sia il sultano sia l’imperatore tedesco Guglielmo avessero
espresso la loro simpatia per il movimento sionista.È interessante
notare che i progetti e le iniziative sioniste continuavano a trovare
dissenziente la maggioranza della comunità ebraica berlinese;infatti un
membro del congresso,Davis Triesch[8], mosse vivaci critiche ai
dirigenti del congresso stesso.Una parte dei lavori fu dedicata alla
discussione del rapporto sulla gestione del comitato d’azione,organo
deputato alle iniziative diplomatiche ed economiche per la
realizzazione del progetto[9].Molti oratori si mostrarono insoddisfatti
della linea di condotta del comitato d’azione,soprattutto per ciò che
riguardava le trattative diplomatiche condotte nel completo silenzio.Il
corrispondente descriveva l’inizio dei lavori con tono pieno di favore
e di fiducia,e sottolineava l’impressione ricevuta che i partecipanti
mostrassero aperta solidarietà per gli ebrei oppressi[10].Il numero dei
congressisti era particolarmente elevato,circa settecento delegati di
associazioni ebraiche e un numero molto maggiore di semplici
partecipanti,appartenenti alle più disparate nazionalità.Le discussioni
più accese riguardavano l’attuazione del progetto sionista;erano
particolarmente importanti i contrasti sulla sede del futuro Stato
ebraico;ma-come notava il corrispondente-l’asprezza delle discussioni
rivelava la vitalità delle idee e l’immenso interesse con cui gli ebrei
seguivano la questione sionista[11].Prima di riuscire a parlare con
Herzl e Nordau,il giornalista si soffermò sulla nascita del
movimento,definendolo come il più antico e il più nuovo ideale del
disperso popolo di Israele dal momento in cui gli israeliti avevano
lasciato la loro terra d’origine.Nell’articolo si parla anche di
sionismo sentimentale,inteso come aspirazione istintiva del popolo di
Israele ad una tradizione di “razza” e di religione, che,per i suoi
caratteri non prettamente pratici,poteva avere una parvenza di sogno e
di desiderio inappagabile.Tuttavia,si era anche verificata una spinta
alla azione pratica,grazie all’appoggio economico e politico fornito
agli ebrei dell’Europa orientale,in condizioni assai disagiate e
costretti all’esilio.La costituzione della patria ebraica non
necessariamente doveva comportare l’emigrazione di tutti gli ebrei
europei e d’oltreoceano,poiché in alcune nazioni il popolo ebreo viveva
abbastanza liberamente e costituiva parte integrante delle società.Le
rivendicazioni del movimento sionista riguardavano essenzialmente gli
ebrei orientali,cioè,diceva esagerando,i nove decimi del popolo
ebraico;israeliti sottoposti a maggiori vessazioni politiche ed
economiche e per i quali la nuova patria avrebbe rappresentato la
possibilità di una nuova vita.Per gli ebrei italiani,ad esempio,“la
nuova Sion”avrebbe rappresentato una patria puramente religiosa.Il
giornalista esprimeva un’opinione molto comune,secondo la quale il
sionismo era rivolto soprattutto agli israeliti di paesi come la
Russia,in cui erano sottoposti alle peggiori persecuzioni,frutto di
arretratezza culturale,dispotismo politico,scarsa modernizzazione. Prima
della nascita del movimento sionista vi furono vari tentativi di
fondare moderne colonie ebraiche in Palestina ad opera di ricchi
ebrei,fra i quali il barone Rothschild,Goldschmith,Hirsch.Così nel
Paese nacquero alcune comunità agricole ebraiche.Dal 1897,nei congressi
sionisti fu sempre discusso il progetto di una fondazione di una
colonia ebraica con amministrazione di tipo europeo ma sotto sovranità
turca.A partire da quella data,Herzl si era incontrato con il sultano
turco -che peraltro non assecondò le richieste ebraiche-e
successivamente con il governo russo,che si dichiarò favorevole
all’impresa,dato che il progetto avrebbe favorito l’emigrazione degli
ebrei russi.Infine-data la difficoltà di ottenere il territorio dal
sultano-Herzl si rivolse all’Inghilterra,che accolse favorevolmente la
proposta,per vagliare altre possibili soluzioni[12].Una prima
dislocazione del nuovo Stato ebraico fu ipotizzata nella penisola del
Sinai,ma successivamente questa offerta fu respinta per la mancanza di
acqua nella zona;l’Inghilterra aveva poi suggerito l’Africa orientale
nell’area dei laghi equatoriali.In ogni caso,l’iniziativa coloniale
aveva bisogno di una solida base economica,realizzata attraverso tre
istituzioni.Il giornalista si mostrava stupito del fatto che,nonostante
la presenza di ebrei benestanti,il capitale in possesso del movimento
sionista fosse abbastanza esiguo, e osservava come la maggiore parte
degli israeliti ricchi considerasse in maniera negativa il
sionismo,perché esso avrebbe portato ad un aumento dell’antisemitismo e
ad ulteriori difficoltà nella assimilazione con altre razze[13].La
proposta inglese dell’Africa orientale provocò vari dissensi ed un’ala
del congresso insisté per il rifiuto dell’offerta,poiché si giudicava
con più favore la soluzione della Palestina,anche se realizzabile solo
a lungo termine;i vantaggi della proposta furono invece esaltati da
Herzl e Nordau.Herzl era favorevole alla costituzione del“Regno di
Gerusalemme” nell’Africa occidentale,come si deduce da una sua lettera
che il barone Montefiore, presidente della fondazione sionista
inglese,pubblicò alla fine del dicembre del 1903. Il giornale ne diede
notizia tuttavia non rese nota la lettera del capo dei sionisti[14].Ma
i dissensi non mancavano,il giornale segnalò la lettera al“Times”di un
importante personaggio pubblico inglese,il quale, come ebreo,biasimava
energicamente le decisioni del congresso sionista di Basilea riguardo
al progetto di una colonia nell’Africa Australe.[15]Nello stesso mese
si tenne a Londra una assemblea di sionisti,reduci dal congresso di
Basilea.I delegati riferirono del progetto di colonizzazione
dell’Africa orientale,affermando l’importanza del progetto come primo
passo verso la ricostituzione del regno di Sion.[16]L’assemblea
espresse il suo ringraziamento all’Inghilterra per l’appoggio concesso
al movimento. La proposta e il progetto di una fondazione di una
colonia ebraica nell’Africa orientale trovavano dissenzienti proprio
coloro che avrebbero dovuto in teoria trarne il maggior
giovamento,ovvero gli ebrei polacchi e russi costretti nelle loro
patrie a subire periodiche violenze a carattere
antisemita.Il“Times”,che aveva seguito i lavori
dell’assemblea,giudicava il progetto irrealizzabile,ed esprimeva
l’opinione che il ritiro degli ebrei in massa in una colonia,sia in
Uganda che in Palestina,dovesse nuocere alla loro “razza”,perché la
parte più eletta di essi avrebbe perso i vantaggi di cui godeva fra le
nazioni civili.[17]Al giornale inglese giunsero molte lettere di
persone che abitavano in quei territori oggetto della proposta,nelle
quali si invitava il governo inglese a ritirare l’offerta,giudicando
impossibile il successo di una colonia ebraica. Il “Corriere della
Sera” pubblicò un altro articolo sulla possibile concessione di un
territorio agli israeliti da parte dell’Inghilterra[18].Il servizio,non
firmato,faceva riferimento al romanzo della scrittrice George
Eliot[19],Daniel Deronda,che aveva dato come meta al suo protagonista
la fondazione del nuovo regno d’Israele[20]. Le aspettative della
scrittrice,in quel periodo duramente criticate,avrebbero potuto essere
confermate dal fatto che il governo inglese,se non aveva ancora
accettato la proposta,stava comunque vagliando il progetto.La
fondazione di una colonia prettamente ebraica avrebbe aperto, in caso
di successo,la strada verso la realizzazione di un sogno secolare della
“razza” dispersa[21],mentre in caso di insuccesso,una simile iniziativa
avrebbe comportato la condanna definitiva di ogni altro progetto
analogo e più ampio.Il giornalista notava come sia la stampa sia il
governo inglesi si accingessero ad esaminare la questione con molta
serenità e senza pregiudizi,anche se si doveva porre attenzione ai
commenti dei più alti esponenti inglesi dell’ebraismo,che giudicavano
il progetto troppo ardito.Anche ammettendo che vi fosse un’emigrazione
dai centri orientali,non comprendevano infatti come fosse pensabile la
fondazione di una colonia in un Paese selvaggio.Gli israeliti inglesi
prendevano anche in considerazione la pericolosità di immettere colonie
estere nei territori dell’Impero britannico.Per quanto concerneva
l’aspetto economico,venivano indicate altre difficoltà:un’emigrazione
di massa avrebbe comportato spese ingenti per il mantenimento almeno
nei primi anni e per la dotazione di attrezzatura adatta. Gli ebrei
inglesi avevano assecondato per un certo periodo le idee del movimento
sionista;anche Beniamin Disraeli sembra che avesse pensato alla
possibilità di insediare i suoi correligionari[22] in Palestina,ma era
proprio la sua vicenda a rendere gli israeliti inglesi scettici di
fronte a tale progetto.Disraeli fece cadere le barriere che si ergevano
tra le libertà britanniche e i ghetti,e la cittadinanza inglese era
considerata dagli ebrei inglesi più preziosa di una autonomia
politica,si erano aperte loro molteplici carriere prima interdette.Il
progetto aveva avuto una viva accoglienza a Londra,dove vi era un
quartiere ebraico povero,formato in prevalenza da russi e
polacchi.Il governo inglese ritenne opportuno ritirare la sua proposta
di concedere un territorio nell’Africa occidentale ai sionisti;nel
riportare la notizia non vengono menzionati i motivi della
ritrattazione,probabilmente ciò fu dovuto alle polemiche che causò
l’offerta ed alle difficoltà da affrontare per l’eventuale colonia
sionista in un ambiente così diverso da quello europeo[23].Poiché in
ambito sionista si continuò a discutere dell’offerta inglese,è molto
probabile che la notizia non corrispondesse al vero.Il
corrispondente,che seguiva i lavori del congresso, sottolineava
l’enorme importanza di questo dibattito,notando come un popolo che
voleva accrescere e formare dalle fondamenta la dignità della sua vita
collettiva era degno di richiamare l’attenzione universale.[24]
Successivamente il giornalista ebbe la possibilità di intervistare
Herzl,il quale precisò che la presa in considerazione della proposta
del ministro delle colonie inglesi Chamberlain non implicava
necessariamente l’abbandono del progetto iniziale;anzi,il comitato
continuava a lavorare per condurlo a buon termine,ma sarebbe stato un
grave errore opporre un netto e deciso rifiuto alla proposta
inglese,negando così ad un cospicuo gruppo di ebrei la possibilità di
fuggire da nuove sofferenze e privazioni. Herzl continuava parlando
dell’emigrazione ebraica,diretta soprattutto verso l’Inghilterra e gli
Stati Uniti,con la consapevolezza che questo fenomeno non sarebbe
durato a lungo,poiché entrambi i Paesi erano sul punto di approvare
leggi limitative dell’immigrazione.Herzl pensava che,dopo il rifiuto
del sultano,l’appoggio russo alle richieste del congresso fosse da
prendere in considerazione,auspicando la creazione di uno Stato
autonomo entro l’impero ottomano.Si complimentò per l’interesse
mostrato dal “Corriere della Sera” ai lavori del congresso,che avrebbe
certamente contribuito a procacciare al sionismo nuove simpatie[25].A
poche ore dal colloquio con il dottor Herzl,il corrispondente
assistette alla votazione per l’affidamento a una commissione tecnica
del compito di valutare il territorio offerto dall’Inghilterra,e notò
che gli ebrei occidentali si erano espressi favorevolmente, mentre
quelli orientali avevano votato contro.Successivamente il
corrispondente ebbe un colloquio con Nordau,che lavorava
instancabilmente al congresso presiedendo le sedute,intervenendo come
oratore e come consigliere.Egli, nell’intervista,si soffermò
particolarmente sulle sofferenze che per duemila anni il popolo ebraico
aveva dovuto subire,privato sia dei diritti civili che di quelli umani
ed esposto al disprezzo generale.Nordau spiegò che l’opposizione degli
ebrei orientali alla proposta inglese derivava dal fatto che la loro
spiritualità era molto forte- erano più mistici che pratici-ed in loro
prevaleva il sentimento religioso,mentre gli altri desideravano
migliorare le loro condizioni sociali[26].Per Nordau vi era l’emergere
di ambizioni personali sul popolo che avrebbe potuto vivere una vita
politica indipendente.Egli era persuaso che l’ora del “Risorgimento”
era arrivata anche per il suo popolo,e il termine italiano lo induceva
a paragonare la nostra storia con quella degli ebrei,poiché anche il
popolo italiano aveva sofferto per secoli la dominazione
straniera,nonostante le sue illustre origini.La differenza tra i due
popoli era individuata da Nordau nel fatto che il popolo ebraico aveva
sopportato sofferenze maggiori e per una superiore causa.Con la
fondazione dello Stato ebraico,certamente i problemi non sarebbero
finiti,ma probabilmente aumentati.A questo proposito,il corrispondente
notava che di certo il popolo ebraico non avrebbe fatto risorgere il
tempio di Salomone,“re dei rovi ardenti e dalle vette nebulose dei
monti,non avrebbe più parlato Dio ai duci del popolo eletto”,ma avrebbe
necessariamente conseguito una vita migliore,più sicura e,per quanto
possibile,più serena[27]. Il congresso sionista si chiuse il 30
agosto 1903 con un discorso di Herzl,ascoltato in religioso silenzio da
tutto il congresso;il giornalista notò l’entusiasmo dei partecipanti
alla fine dei lavori:consapevoli di aver trovato,dopo lunghe
sofferenze, una nuova ragione di vita[28].La proposta di insediamento
in Uganda degli israeliti provocò reazioni di protesta in questo Paese
e,secondo il “Times”,sarebbe stato opportuno invece per gli ebrei
assimilarsi completamente nelle nazioni in cui già si
trovavano[29].L’ex governatore dell’Uganda affermò che il progetto di
insediamento era pericoloso,attuabile solamente in territori molto
estesi-come ad esempio il Brasile-e con un clima meno ostile di quello
equatoriale africano; icordò tentativi analoghi con esiti decisamente
negativi quando i coloni ebrei si erano trasformati in
predoni[30].Sempre nello stesso anno il giornale dedicò particolare
attenzione ad un attentato nei confronti di Max Nordau[31].Un giovane
studente israelita,Chaim- Selik Louran,si era introdotto ad un festa
organizzata dai sionisti a Parigi e aveva tentato di ferire lo
scrittore con svariati colpi di pistola.Gli altri invitati,accortisi
subito delle intenzioni del giovane,lo avevano immobilizzato in attesa
dell’arrivo delle forze dell’ordine.Alla polizia il giovane aveva
spiegato i motivi del folle gesto; non conosceva personalmente il
leader sionista,ma era rimasto negativamente colpito dall’indifferenza
da lui mostrata durante il primo congresso verso la futura sede dello
Stato ebraico[32].Dopo qualche giorno lo scrittore ebbe modo di parlare
con i giornalisti accorsi nella sua casa a Parigi[33].A suo parere,
molti ebrei russi erano fermamente convinti che la fondazione di uno
Stato in Africa significasse la rinuncia definitiva all’insediamento in
Palestina,da costoro i sionisti erano trattati come traditori.Egli
personalmente non aveva direttamente proposto il progetto della colonia
africana,ma aveva espresso il parere che fosse studiato con attenzione.
Prima dell’attentato,durante la festa,Nordau aveva espresso le sue
opinioni su coloro che più avevano in odio i progetti discussi nei
congressi sionisti,gli ebrei rivoluzionari[34].Lo scrittore intendeva
le correnti socialiste più estreme.I progetti rivoluzionari di questi
ebrei non erano riconosciuti dal sionismo,che non presupponeva delle
rivendicazioni di carattere sociale.Oltre a queste “frange”
contrarie,da cui bisognava guardarsi,altri “nemici” della causa erano
indicati dallo scrittore in uomini come Reinach e Rothschild,che
predicavano un tipo d’assimilazione che in realtà era una fusione,cioè
la scomparsa della comunità ebraica. Il “Corriere della Sera”
seguì con attenzione anche lo svolgimento del Congresso del
1905,pubblicando una serie di articoli che davano indicazioni sullo
svolgimento dei lavori nelle diverse giornate.Nel primo,apparso sul
numero del 26 luglio,si comunicava l'apertura del Congresso per il
giorno seguente e il tema principale discusso:l'accettazione o il
rifiuto dell'offerta di un vastissimo territorio nell'Uganda, per un
esperimento di colonizzazione ebraica,fatta dal Governo
Britannico[35].Il giorno seguente venne data notizia dell'inaugurazione
del Congresso e della costituzione ufficiale dell'ufficio di
presidenza[36].Sullo stesso numero si legge un interessante articolo
riguardante i dissensi all’interno dell’ebraismo sul sionismo[37].
L’articolo era ripreso da una corrispondenza del “Journal des
Debats”.Nella prima parte si delineava l’influenza che il sionismo
aveva nei paesi europei e negli Stati Uniti,dove aveva ottenuto
parecchie adesioni.Il giornalista lo definiva come un rinnovamento del
nazionalismo israelita tradizionale,intendendo la consapevolezza da
parte degli ebrei di costituire una nazione.Il sionismo era combattuto
dall’internazionale operaia al pari degli altri nazionalismi.L’associazione
rivoluzionaria israelita più importante in Russia e in Polonia, il
Bund[38],ritenendo che gli ebrei dovessero conquistare in ogni Paese la
loro autonomia locale, combatteva il sionismo perché lo considerava
come un moto borghese,reazionario e clericale,tendente a trattare coi
governi e a favorire l’esodo degli israeliti in Palestina.Il
giornalista notava che il Bund aveva perso una parte dei suoi aderenti
passati al sionismo.Un’altra opposizione al movimento veniva dall’alta
classe israelita:questa,assimilatasi completamente nei paesi dove
risiedeva,trovava imbarazzante che una parte dell’ebraismo proclamasse
che le masse ebree,anche se emancipate dalle leggi civili,fossero
assolutamente refrattarie ad ogni assimilazione.Le più potenti
famiglie ebraiche avevano potuto,grazie alla loro influenza e alle loro
possibilità economiche,imparentarsi con le maggiori casate
aristocratiche cattoliche[39].Secondo il giornale francese,il sionismo
era quindi destinato prettamente alle masse operaie ebree,come
possibilità di avere un’educazione,un orgoglio,una speranza che le
sollevasse dalla loro degradazione,persuadendole di far parte di una
“razza” e di una comunità invincibile,chiamandole a ricostituire la
loro autorità e a riconquistare l’indipendenza sul suolo
nativo.L'argomento principale continuava ad essere la proposta inglese
dell'Uganda,di cui si presentava un rapporto sulle condizioni del
territorio,che non apparivano particolarmente favorevoli.Si apriva
allora un'accesa discussione tra quelli che volevano accettare un'altra
proposta inglese,poiché il territorio proposto era riconosciuto
inadatto alla colonizzazione[40],e quelli favorevoli solo alla scelta
della Palestina.Nel numero del 31 luglio un articolo trattava la
risoluzione stabilita sulla questione Uganda:il Congresso manteneva
fermamente i principii del suo programma,tendenti a stabilire una
patria per tutti gli Israeliti in Palestina e respingeva qualsiasi
colonizzazione fuori della Palestina o dei paesi vicini. Ringraziava
il Governo inglese per la sua offerta di un territorio nell'Africa
Orientale e dopo aver preso visione dei rapporti dichiarava l'affare
chiuso e costatava con gran soddisfazione l'approvazione data
dall'Inghilterra alla soluzione della questione sionista,sperando che
il Governo inglese accordasse i suoi buoni uffici ovunque
l'applicazione del programma di Basilea fosse stato possibile.[41]La
risoluzione fu approvata a gran maggioranza,anche se il gruppo
socialista abbandonava l'assemblea per protesta.Nonostante la relazione
presentata al congresso giudicasse non idonea l’Africa
Orientale,nell’agosto dell’anno successivo il giornale diede notizia
che duemila israeliti avevano votato una risoluzione in cui si
affermava che lo stabilimento di una colonia israelita nell’Africa
orientale britannica era il solo mezzo per procurare la libertà ai
correligionari russi[42].Nella stessa seduta fu letta una dichiarazione
dell’alto commissario inglese del Sud-Africa Lord Selborne,in cui
esprimeva la sua indignazione per i fatti verificatisi in Russia(pogrom
degli anni 1903-1906),ribadendo altresì la convinzione di ammettere la
futura colonia israelita fra i paesi membri dell’impero britannico.La
sensibilità mostrata verso le tematiche ebraiche può considerarsi uno
dei segni dell’ispirazione liberale, che animava il moderatismo
conservatore del “Corriere della Sera”.
FONTI STORICHE
[i]Anteriormente
il primo congresso, il giornale pubblicò due articoli sul movimento
sionista. Entrambi dimostrano una scarsa conoscenza della sua storia e
delle varie correnti dell’ebraismo. In ogni modo, assumono molta
importanza data la loro pubblicazione in prima pagina. Cfr. Il
sionismo, “Corriere della Sera”, 31 marzo-1 aprile 1896.
Contro il sionismo, “ Corriere della Sera”, 9-10 luglio 1897.
[ii]Gli israeliti in cerca di una patria. “Corriere della Sera”, 31 agosto-1 settembre 1897.
[iii]
Pseudonimo di Simon Maximilian Suedfeld nato a Budapest nel 1849 da una
famiglia ungherese di origine ebraica. Fu un tipico rappresentante del
positivismo, sottoponendo ad aspra critica la società e la cultura
della fine del XIX secolo. Furono assai lette le sue opere in lingua
tedesca: Die Konventionellen Lugen der Kulturmenscheit (1883), Paradoxe
(1885). Come romanzi scrisse Entartung (1892), Das Recth zu lieben
(1894).
Cfr. AA. VV., Encyclopaedia Judaica, op. cit., pp. 1211-1214.
[iv]Il secondo congresso dei sionisti, ”Corriere della Sera”, 30 agosto-1 settembre 1898.
[v] Il congresso dei sionisti .” Corriere della Sera”, 16-17 agosto 1899.
[vi] Gli israeliti in Palestina, “Corriere della Sera”, 5-6 maggio 1901.
L’impero
ottomano si era reso conto dall’inizio del carattere del movimento
sionista, allarmandosi per le possibili conseguenze sul piano politico,
ed era ufficialmente contrario ai progetti sionisti. Questo non era
dovuto a sentimenti antisemiti, ma a calcoli politici. Alla fine
dell’ottocento l’impero doveva affrontare all’interno movimenti
nazionalisti e secessionisti delle popolazioni soggette e all’esterno
l’interferenza della grandi potenze europee. Se l’insediamento in
Palestina avesse avuto successo, avrebbe creato una nuova minoranza con
tendenze autonomiste, come succedeva in Armenia e in Macedonia.
Inoltre, la maggioranza degli ebrei aveva la protezione delle potenze
europee e godeva di privilegi extraterritoriali, quindi probabilmente
l’interferenza degli altri Stati sull’impero ottomano sarebbe
aumentata. Per opporsi all’insediamento sionista, le autorità agirono
in due modi: proibirono l’immigrazione ebraica in Palestina e il
trasferimento di terre agli ebrei non ottomani. Questi divieti di fatto
non sortirono effetti: il divieto riguardava solo la residenza
permanente in Palestina, e gli ebrei poterono sempre entrarvi
liberamente per affari o per pellegrinaggio. La corruzione e la
confusione burocratica, la complicità di venditori e intermediari arabi
e soprattutto l’interferenza dei consoli stranieri a protezione dei
diritti dei loro concittadini invalidarono anche le norme sulla vendita
della terra. I consoli avevano il pieno diritto di intervenire per la
protezione dei propri connazionali: il calcolo politico delle ingerenze
sollecitò persino le società più apertamente antisemite, come quella
Russa, ad adoperarsi in favore dei propri sudditi ebrei, che così
godettero in Palestina della protezione che non avevano ottenuto in
patria. Il governo ottomano si spinse fino all’invito alle potenze
straniere di impedire l’emigrazione ebraica dai loro paesi, ottenendo
ovviamente delle risposte negative, come questa del governo italiano.
Nel 1901 le autorità, per tentare di regolamentare la futura
immigrazione, concessero un’amnistia che dava diritti permanenti di
residenza agli immigrati illegali che già vi risiedevano da lungo
tempo. Cfr. Lewis Bernard, Semiti e antisemiti: indagine su un
conflitto e un pregiudizio, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 185-187.
[vii] Il IV congresso dei sionisti.” Corriere della Sera”, 25 agosto 1903.
[viii]
Davis Trietsch (1870-1935). Leader sionista e scrittore. Nato a Dresda,
studiò a Berlino e a New York, approfondendo particolarmente i problemi
dell’immigrazione. Si oppose alla politica di Theodor Herzl, insistendo
per trovare praticamente un territorio quanto più vicino alla
Palestina. Egli cercò invano di convincere il movimento ad adottare la
sua idea di una “grande Palestina” che comprendesse la Palestina, Cipro
ed El- Arish.
Cfr. AA.VV., Encyclopaedia Judaica, op. cit., pp. 1394- 1395.
[ix]Il congresso sionista, “ Corriere della Sera”, 25 agosto 1903.
[x]Il congresso di una razza, “ Corriere della Sera”, 26 agosto 1903.
[xi] Il regno di Sion, “ Corriere della Sera”, 27 agosto 1903.
[xii]Ibidem.
[xiii]Ibidem.
[xiv] Una lettera del capo dei sionisti, “Corriere della Sera”, 23 dicembre 1903.
[xv] La campagna contro il sionismo, “ Corriere della Sera”, 5 settembre 1903.
[xvi] Assemblea di sionisti, “ Corriere della Sera”, 8 settembre 1903.
[xvii]Ibidem.
[xviii]Intorno alla colonia anglo- sionista, “Corriere della Sera”, 23 settembre 1903.
[xix]Mary Ann Evans. Cfr. Mayer Hans, I Diversi, Milano, Garzanti, 1992, pp. 91-97.
[xx]Il
romanzo a cui si riferisce il corrispondente è Daniel Deronda,
pubblicato nel 1876; un giovane è educato in Inghilterra da un parente
che gli nasconde la sua identità ebraica, alla fine ritorna
all’ebraismo sposando una giovane ebrea francese. Presso gli ebrei
inglesi il protagonista del romanzo rappresentò una possibilità di
identificazione, che gli avrebbe portati ad una maggiore integrazione.
Per quanto riguardava i non ebrei essi provavano una sorta di disagio e
di inferiorità verso le alte qualità intellettuali e morali del
protagonista. Cfr. Mayer H., op. cit., pp. 375-380.
[xxi] Intorno alla colonia anglo- sionista, “Corriere della Sera”, 23 settembre 1903.
[xxii]
Invero, Disraeli si era convertito molto giovane all’anglicanesimo e
quindi il politico inglese aveva soltanto delle origini ebraiche.
[xxiii]L’Inghilterra rifiuta il territorio ai sionisti, “Corriere della Sera”, 29 dicembre 1903.
[xxiv]Ibidem.
[xxv]Per la libertà e per la Palestina, “ Corriere della Sera”, 18 agosto 1903.
[xxvi]Un colloquio con Max Nordau, “ Corriere della Sera”, 29 agosto 1903.
[xxvii]Ibidem.
[xxviii]La chiusura del congresso sionista. Cerimonia solenne, “Corriere della Sera”, 30 agosto 1903.
[xxix]In Uganda non vogliono gli ebrei, “ Corriere della Sera”, 30 agosto 1903.
[xxx]L’Uganda contro il sionismo, “Corriere della Sera”, 1 settembre 1903.
[xxxi] Tentato assassinio di Max Nordau durante una festa di sionisti, “Corriere della Sera”, 20 dicembre 1903.
[xxxii]
L’attentato di un sionista contro Marx Nordau. L’interrogatorio di
Chain Selik Louran. “ Corriere della Sera”, 21 dicembre 1903.
[xxxiii]
L’attentato di un sionista contro Marx Nordau. L’interrogatorio di
Chain Selik Louran. “ Corriere della Sera”, 21 dicembre 1903.
[xxxiv] Marx Nordau e la questione semita, “ Corriere della Sera”, 24 dicembre 1903.
[xxxv]Il congresso sionista a Basilea, “Corriere della Sera”, 26 luglio 1905.
[xxxvi]Il congresso sionista, “Corriere della Sera”, 27 luglio 1905.
[xxxvii]Il sionismo e l’opposizione dell’alta classe israelita, “Corriere della Sera”, 27 luglio 1905.
[xxxviii]
Con il termine tedesco Bund, che significa associazione, si è soliti
indicare in forma abbreviata il movimento socialista ebraico Algemeiner
Jidisher Arbeterbund in Lite, Poilen un Russland (espressione jiddisch
che significa Federazione generale dei lavoratori ebrei in Lituania,
Polonia e Russia). Il Bund fu fondato a Vilna nel 1897 soprattutto come
sindacato operaio, ma in seguito svolse una funzione di vero e proprio
movimento politico. Tenace avversario del sionismo, si batteva per la
salvaguardia della lingua jiddisch e per i diritti degli operai ebrei
nell’Europa orientale. Mentre in Russia, nel 1921, confluì nel partito
bolscevico, in Polonia continuò a esercitare un importante e autonomo
ruolo fino all’invasione nazista.
Cfr. Frankel Jonathan, Gli ebrei russi tra socialismo e nazionalismo (1862-1917), Torino, Einaudi, 1990, pp. 268-393.
[xxxix] Esempio di questa situazione ne I Moncalvo di Enrico Castelnuovo, pubblicato nel 1908.
[xl]Il congresso sionista, “ Corriere della Sera”, 28 luglio 1905.
[xli]Il congresso dei sionisti, “Corriere della Sera”, 31 luglio 1905.
[xlii]Per una colonia israelita in Sud- Africa, “ Corriere della Sera”, 2 agosto 1905.
Origine storica del sionismo
Agli
inizi del XIX secolo apparvero i primi fautori di una nuova tradizione
che si esprimeva sia in una critica della società contemporanea sia nel
progetto di una società futura perfetta;già nel decennio 1830-40,per
essa era stato coniato il nome di socialismo.Le radici di questo nuovo
entusiasmo si potevano trovare nel pensiero del 18° secolo,nella sua
umanità e nel suo secolarismo,nella sua fiducia, nella possibilità
dell'edificazione umana e sociale e,in alcuni scrittori
illuministi,nella sua fede sulla perfettibilità umana,e nella
rivoluzione francese.Tuttavia, la rivoluzione francese appartiene alla
preistoria del socialismo;la sua storia vera e propria ha origine dalla
nuova realtà economica europea.Non basterà riferirsi alla rivoluzione
industriale e spiegarsi tutto in questa chiave.Il problema allora più
attuale era quello dell'espansione dell'economia preindustriale. La
fondazione dei grandi partiti socialisti copre gli ultimi 30 anni del
secolo:ebbe inizio in Germania e finì in Gran Bretagna,con
l'affermazione del Partito Laburista, avvenuta tra il 1900 e il
1906,sebbene quest'ultimo non sia diventato un partito dichiaratamente
socialista fino al 1918.Questa politicizzazione del socialismo ebbe
profondi effetti sulla politica sociale dei Paesi europei e sul
socialismo stesso.In un paese dopo l'altro furono adottati vasti
programmi legislativi di previdenza sociale, regolamenti di
fabbrica,indennità per gli operai,assicurazioni sulla salute,sulla
vecchiaia e sulla disoccupazione.Tra i vari movimenti,sorti dopo la
pubblicazione del Manifesto di Marx ed Engels,se ne formarono anche
alcuni per gli operai ebrei.Nel 1897 viene fondata a Vilna la"Unione
Generale degli Operai Ebrei,Lituani,Polacchi e Russi",comunemente
designata Bund.Questo partito riunisce i diversi nuclei operai ebrei
che si erano venuti costituendo nell'Impero zarista fin dagli inizi
degli anni 90. Dal 1910 in poi il partito riconosce ufficialmente
l'Yiddish come lingua nazionale ebraica.Dopo la fallita rivoluzione del
1905(quando davanti al Palazzo dello Zar i soldati avevano fatto una
strage di civili manifestanti)il Bund si indebolì notevolmente,tanto
che gli iscritti passarono da un numero di 40.000 a 500.Il Bund, pur
opponendosi ferocemente al sionismo,scivola gradualmente su posizioni
sempre più nazionalistiche sotto l'urto del risveglio nazionale dei
Paesi dell'Europa Orientale. Il Bund si scisse in seguito
all'emigrazione massiccia degli operai ebrei soprattutto verso gli
Stati Uniti.La sezione russa,fortemente rinvigorita con la rivoluzione
di ottobre,confluirà nel partito comunista nel 1920.In seguito le
posizioni politiche del Bund cambieranno in favore di un programma
nazionalista,questo perchè gli ebrei dell'Europa Orientale ed in
special modo gli ebrei russi,erano oggetto di persecuzioni (pogrom) che
di certo non li facevano sentire parte integrante della società e non
li facevano produrre (vedi i tessitori ebrei di Belstok ammessi
nell'industria dai lavoratori polacchi solo in numero limitato)in modo
sufficiente per rivendicare dei diritti. Dopo gli anni di isolamento
del Medio Evo abbiamo già detto che gli ebrei cominciarono a cercare
un'emancipazione,una via che li portasse a contatto con il resto del
mondo,al di là delle porte del Ghetto.Si iniziò allora un processo di
assimilazione motivato dal desiderio di contatto con le società
circostanti,processo difficile per gli Ebrei,i quali non solo dovevano
fare uno sforzo per uscire dallo stato di prigionia culturale nel quale
si erano ridotti,ma dovevano anche affrontare l'ostilità e
l'insofferenza opposte dalle altre popolazioni nei loro
confronti.Sopratutto in Russia sia ebbero reazioni violente a questo
processo,ma l'emancipazione avvenne lo stesso,anche nelle assurde
condizioni cui gli Ebrei erano stati portati. L'assimilazione non
favorì però lo spegnersi dell'antisemitismo,che avrebbe potuto essere
vinto solo rinunciando a tutto ciò che differenziava il popolo ebraico
dagli altri:la storia dimostra che l'antisemitismo ha radici molto
profonde,che non permetterebbero mai l'assimilazione totale del popolo
ebraico.La risposta a questa intolleranza fu data dal sionismo:quando
un uomo ha una terra dove tornare,che gli copre le spalle,che lo
protegge con la sua sola esistenza,è più difficile che egli venga
perseguitato.Il sionismo è stato,se così si può definire,non tanto un
movimento politico ma una forza spirituale che ha ridato agli Ebrei una
volontà non più conservatrice ma creatrice,una nuova dignità.Esso è
prima che la tendenza del popolo a tornare nella sua antica sede,la
tendenza della civiltà ebraica a ritrovare quell'intima unità che la
diaspora aveva spezzato e disperso.Questo sentimento nazionale aveva il
potere di coinvolgere tutti gli strati della popolazione,non era il
risultato,come accadde per altri movimenti politici,di elucubrazioni
intellettuali,ma proprio l'espressione dell'anima popolare.Con questo
tipo di ideologia vengono a coincidere per gli Ebrei,l'unità etnica e
psichica che fino ad allora avevano rese ambigue le loro posizioni
all'interno della società moderna,ricrea la figura dell'individuo
valorizzandolo e rivoluziona le teoria antisemite. Il sionismo,con
il suo tentativo di normalizzazione del popolo,con la creazione di uno
status civicus,svolgeva un ruolo fondamentale,compiva una vera e
propria rivoluzione spirituale,rivalutava i valori fondamentali della
civiltà ebraica.Ciò che ha dato al sionismo una capacità realizzatrice
è stato il chalutzismo,il movimento pionieristico ebraico.Esso è
l'espressione concretizzata del popolo ebraico della volontà di
riconquistarsi da solo la propria indipendenza e la propria
dignità.Infatti,in pochi anni il sionismo,e per lui il
chalutzismo,hanno saputo creare un vero e proprio proletariato ebraico
legato alla terra e alle macchine,ma allo stesso tempo appassionato
cultore della vita e dello spirito.Questo spirito dissipò la soffocante
atmosfera del ghetto,che l'emancipazione non era riuscita a dissipare.I
principi fondamentali del chalutzismo sono:
1) aliyà
2) lavoro organizzato su basi collettive
3) riconquista della lingua
Che
l'aliyà,l'immigrazione in Israele con tutti i mezzi,quelli cosiddetti
legali e quelli cosiddetti illegali,sia il principio fondamentale è
logico.Un sionismo realizzatore,quale è il chalutzismo,non può
concentrarsi su platoniche affermazioni;una volta riconquistata la
coscienza nazionale,la via è una sola:raggiungere la terra d'Israele e
contribuire con tutte le proprie forze alla rinascita del Paese.Qui
entra in gioco il secondo principio:non basta l'aliyà,ci vuole anche e
soprattutto la volontà di ricostruire,per questo i chalutzim si
autoeducano ai valori del lavoro.E' questa la grande rivoluzione creata
nell'animo dell'ebreo dal sionismo chalutzistico.I pionieri della prima
ondata di colonizzazione ebraica sono originari della Romania e della
Russia.Entusiasti e pieni di buona volontà,essi ignorano purtroppo le
nozioni più elementari dell'agricoltura.Scampati ai pogrom,non si
aspettano le difficoltà che le attendono.Le condizioni geografiche e
climatiche sono penose,le autorità sono ostili,per di più gli immigrati
devono difendersi dai briganti.Iniziato in questo
condizioni,l'insediamento sionista si trasforma rapidamente in una
specie di catastrofe.I coloni furono costretti a chiedere aiuti
finanziari dall'estero già il primo anno.Questi aiuti vennero
soprattutto dal Barone Rotschild che non era proprio un filantropo e
intendeva investire convenientemente il suo danaro:inviò ai pionieri
una amministrazione burocratica incaricata di irregimentare le
colonie.Questo,dopo poco tempo suscitò una rivolta da parte degli
"amministrati" che erano costretti a subire le prepotenze dei
tirannelli del Barone.Questa organizzazione provocò,non solo frequenti
rivolte ma anche l'imborghesimento degli idealisti,che mandarono i
propri figli in Francia a studiare,sfruttando la mano d'opera araba a
buon mercato! Dal 1900 al 1914 la colonizzazione sionista prosegue
con tre direttrici:insediamento di nuove colonie agricole orientate
verso la cerealicoltura;i primi passi di una colonizzazione pianificata
della stessa organizzazione sionista;sviluppo degli aranceti ad opera
dei capitalisti ebrei privati.In tutti e tre i casi la colonizzazione
sionista implica un investimento di capitali notevole.Seguendo la
logica del profitto, è chiaro che gli agricoltori ebrei arrivarono a
sfruttare sistematicamente la mano d'opera agricola locale.Gli
immigrati ebrei che sbarcarono in Terra Santa nel 1904,si accorsero che
le colonie ebraiche erano tali solo di nome in quanto su poche decine
di ebrei vi erano centinaia di arabi.E' proprio nel 1904 che ha inizio
una nuova ondata di immigrazione (la seconda);essa si intensifica dopo
il fallimento della rivoluzione russa,che porta al sionismo numerosi
giovani ebrei.I giovani pionieri sionisti,profondamente influenzati dal
populismo russo e da Aaron David Gordon, predicavano il ritorno alla
terra.Erano giovani che appartenevano alla piccola borghesia,costretti
a lasciare l'Europa Orientale per assenza di sbocchi nei loro paesi di
origine:la classe operaia ebraica in Palestina presenta ancora nel 1927
la straordinaria particolarità di essere composta da ex studenti
dell'università o degli Istituto Tecnici.Per rendere accettabile questa
situazione,essi crearono la parola d'ordine Kibush avodà:conquista del
lavoro.Questo motto porta alla formazione di una classe operaia ebraica
in Palestina,che si afferma in quasi tutti i settori, escludendo gli
arabi e volgendosi a proteggere l'occupazione degli immigrati. Quando
l'immigrazione sionista si riversò in Palestina all'inizio del
secolo,non fu possibile ignorare il fatto che il Paese era già
popolato:come ogni società colonizzatrice,i coloni sionisti dovettero
definire una politica ben precisa nei confronti delle popolazioni
indigene.A questo punto bisogna riconoscere che la colonizzazione fu
molto diversa da tutte le altre:i coloni ebrei non volevano solo
sfruttare le ricchezze del Paese o del lavoro degli indigeni ma
volevano creare nel Paese stesso uno stato nazionale,un nuovo stato.Di
conseguenza gli arabi non erano destinati ad essere sfruttati,ma ad
essere completamente sostituiti. E' giustificabile la colonizzazione
ebraica?E' giustificabile che dei coloni pretendano di sostituirsi alla
popolazione autoctona?E' logico che gli Ebrei,perchè sulla Bibbia c'è
scritto che Israele è la loro terra,tornino dopo migliaia di anni e
rivendichino dei diritti?Gli Ebrei che fecero l'aliyà alla fine del XIX
secolo e all'inizio del XX, lasciavano una terra che non li
voleva,una popolazione che li perseguitava,una povertà e una
umiliazione quasi continue,una prigionia forzata nei ghetti ed erano
certamente passati da una condizione peggiore ad una migliore.L'aliyà
oggi è un problema molto più grande per coloro che hanno la convinzione
che sia giusto farla, perchè oggi si tratta di lasciare una famiglia,di
rinunciare ad una lingua ad una certa agiatezza economica alla facilità
di vita;si tratta di ricominciare in un altro paese,con condizioni
climatiche molto differenti,con gente diversa:senza la spinta di un
forte antisemitismo è molto difficile fare questo passo.Parallelamente
a questa colonizzazione fanno la loro comparsa le prime organizzazioni
operaie,in Europa si sviluppano i primi nuclei del Partito Poalè
Sion,fondato in Austria ed Ungheria nel 1903.Questo partito
sionista-socialista diventa in breve tempo di portata mondiale mentre
in Palestina sorge l'Apoel Hatzair,che non ha aspirazioni vere e
proprie ma rispecchia le aspirazioni dei giovani immigrati in cerca di
lavoro.La fine della prima guerra mondiale coincide con la scomparsa
dell'Impero Zarista e di quello Austro-Ungarico.Nasce nell'Europa
Orientale una serie di stati nazionali dove vivono fitte popolazioni
ebraiche e la Polonia è la più importante fra essi. Gli Ebrei
sperano in una nuova libertà ed uguaglianza, ma i regimi al potere sono
reazionari,semi-militaristi,appoggiano una politica antisemita che
boicotta economicamente e socialmente gli Ebrei e che spesso sconfina
in pogrom.Con la terza aliyà arrivarono i primi immigrati della
H.H.Essi presero parte attiva al movimento e si presentarono alle
elezioni del primo Congresso con una lista unitaria chiamata "Nuovi
Immigrati",assieme ai gruppi Hechalutz.La maggior parte del pensiero
del H.H. in quei giorni fu dedicata al miglioramento
dell'uomo,l'educazione di personalità che fossero in grado di lottare
per la liberazione dalla falsa moralità del mondo borghese e di
costruire una società fondata sui kibbutzim,nella quale i rapporti tra
gli individui e la società sarebbero stati migliori.H.H. si sviluppò
durante il grande risveglio nazionale e sociale che seguì la I Guerra
Mondiale e la Rivoluzione d'Ottobre,e le speranze di pace e di
progresso che agitavano gli animi di tutto il mondo dopo la guerra.E'
in questo periodo che fioriscono la filosofia e la letteratura,nasce la
psicologia e si afferma l'ideologia marxista:non si può dire che l'H.H.
rimase avulso dai rivolgimenti ideologici.Infatti,pur avendo non ancora
subito totalmente l'influenza del pensiero marxista,si possono già
trovare delle relazioni con esso,relazioni che in seguito costituiranno
un punto di partenza teorico generale ed una guida nella svolta della
direzione come è oggi.Anche se molti di questi principi coincidevano
con quelli dell'Apoel Hatzair,i coloni della seconda aliyà, che così
tanto si erano affidati alla concezione di lavoro ed avevano esaltato
la Terra Santa,entrarono in conflitto con le nuove esigenze e le nuove
aspirazioni,se vogliamo meno fanatiche,della terza aliyà.Il conflitto
creò una scissione:gli shomrim si dispersero e con essi l'unità del
movimento sorgente di forza e di collettivismo. Una volta iniziata
l'attività lavorativa gli immigrati cozzarono contro i conflitti reali
tra lavoratore e datore di lavoro;a questo punto non fu più possibile
limitare l'attenzione a problemi interni della società
kibutzistica,data la gran massa dei lavoratori e le varie tendenze
politiche.L'H.H. approdava ad una visione socialista e a conclusioni
marxiste,in quanto i giovani,alla ricerca delle ragioni delle
cose,erano meno inclini ad accogliere la versi ne riformistica del
compromesso piuttosto che quella rivoluzionaria.Il sionismo
pionieristico era dunque un risultato diretto delle origini e delle
esperienze di educazione collettiva del movimento.Alla metà degli anni
venti,si vengono a delineare le caratteristiche del particolare aspetto
ideologico dell'H.H.:
1) la sintesi di sionismo pionieristico e di socialismo rivoluzionario
2) la sintesi di costruzione e lotta di classe
L'H.H.
presentò,con l'appoggio del Gdud Avodà la lista dei kibbutzim per le
elezioni al terzo Congresso della Histadrut(organo che avrebbe dovuto
occuparsi di tutte le attività riguardanti la
colonizzazione,l'immigrazione,l'assorbimento e la preparazione degli
immigrati).Uno dei punti fondamentali del terzo Congresso era proprio
la distinzione delle funzioni in seno all'Histadrut:infatti si
sosteneva che la concentrazione delle funzioni apportava un danno alla
lotta di classe ed alla lotta sindacale,unici compiti di
un'organizzazione operaia quale l'Histadrut.Gli ideali fondamentali
dell'H.H. portarono ad una nuova via israeliana al socialismo,il che
non manco di suscitare vaste polemiche a destra e a sinistra.Proprio
sulla linea di tali ideali si fondò nel 1927 l'organizzazione
kibutzistica del Kibbutz Artzì,che si dichiarò teoricamente e
politicamente distinto all'interno dell'Histadrut,sottolineando le sue
funzioni di centro di educazione.L'etichetta di sionismo socialista e
di kibbutzismo diede vita ai termini "sionismo pionieristico e
"socialismo rivoluzionario",per il fatto che questi termini sono simili
ma non identici ci si deve ricondurre alla teoria delle fasi.Nella
prima fase l'elemento sionista è quello dominante,inclusi gli
imperativi della solidarietà nazionale e simili,anche se la lotta di
classe è naturalmente già iniziata. Nella seconda fase, che si ha nel
periodo dell'accentuazione della lotta di classe e della lotta per un
governo socialista dei lavoratori.Con la quinta aliyà le fila dell'H.H.
si allargarono notevolmente ma dovettero lottare contro l'azione
riformistica dell'Hadut Avodà e dell'Apoel Hatzair.La risposta
dell'H.H. alla richiesta di questi due Partiti di unificazione
inclusiva,fu affermata in linea di principio,ma insisteva
sull'esistenza di certe condizioni programmatiche e sulla necessità di
concedere un'ampia autonomia sia educativa che teorica ai kibbutzim
deborah
Jun 14 2004, 18:40
Quale è il significato del termine Sion?Sion
- una collina di Gerusalemme - è uno dei nomi attraverso i quali gli
ebrei si sono sempre riferiti alla loro madrepatria, la Terra d'Israele
(Eretz Israel). Sion è il termine usato dalla Bibbia sia per la Terra d'Israele, che per la sua capitale nazionale e spirituale, Gerusalemme. Quale è il legame tra popolo ebraico e Sion?Sion
è il luogo di nascita della nazione ebraica. Qui la nazione è stata
politicamente sovrana, o, almeno, autonoma sul piano culturale, per
1500 anni, durante i quali ha creato e sviluppato quella che è nata
come la civiltà ebraica. Sion ha avuto una popolazione ebraica
permanente per migliaia di anni. È il solo posto sulla terra abitato
oggi dalla stessa nazione, con la stessa religione e cultura e con la
stessa lingua di coloro che vi abitarono 3000 anni fa. Per molti
secoli la maggioranza del popolo ebraico ha vissuto dispersa in vari
paesi di tutto il mondo. Eppure potenti vincoli spirituali e nazionali
- espressi principalmente nella liturgia e nella letteratura - hanno
costantemente legato queste comunità ebraiche con la ancestrale
madrepatria. Dopo secoli di declino ed abbandono sotto diverse
occupazioni straniere, Sion sta nuovamente fiorendo, con il grande
aumento della popolazione ebraica degli ultimi 10 anni, e con la
restaurazione della sua indipendenza politica nel 1948. Quale è il significato del termine sionismo?Il sionismo è il movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico. Il
sionismo è l'espressione moderna del sogno, vecchio di 1900 anni, di
ricostruire Israele, dopo che Roma aveva messo fine all'indipendenza
ebraica in Terra d'israele. Il sionismo è la convinzione che il
popolo ebraico abbia diritto alla libertà ed all'indipendenza politica
nella sua madrepatria. Il sionismo è il continuo sforzo per
sviluppare ed assicurare l'esistenza nazionale del popolo ebraico in
Terra d'Israele attraverso mezzi politici. Il sionismo riconosce che
il popolo ebraico è caratterizzato da taluni valori comuni legati alla
religione, alla cultura, al linguaggio, alla storia e ad aspirazioni
ideali basilari. Tutti gli ebrei sono sionisti?Gli
ebrei sono sionisti nel senso che il ritorno del popolo ebraico alla
sua madrepatria è un principio fondamentale dell'ebraismo. La maggior parte degli ebrei sostengono lo Stato d'Israele - la realizzazione basilare del sionismo. Alcuni ebrei, tuttavia, non accettano il sionismo quale movimento politico. Come è diventato il sionismo un movimento politico organizzato?Il
sionismo si è sviluppato in movimento politico organizzato in un
periodo caratterizzato dal crescente riconoscimento dei movimenti
nazionali in Europa, quando gli ebrei sentirono che i tempi erano
maturi per la riaffermazione dell'identità nazionale ebraica. Il
sionismo, quale movimento, fu ulteriormente spronato dalla crescita
dell'antisemitismo in Europa nell'ultima parte del diciannovesimo
secolo. Il sionismo si organizzò formalmente quale movimento
nazionale nel 1897, con l'appello alla restaurazione di un focolare
nazionale ebraico. Gli ebrei della diaspora sostengono il sionismo?Gli
ebrei della diaspora, nel complesso, sostengono il sionismo in un modo
o nell'altro, attraverso la partecipazione a varie attività del
movimento stesso od attraverso il sostegno pubblico o finanziario ad
Israele. Alcuni ebrei della diaspora concretizzano il loro credo
sionista immigrando in Terra d'Israele per partecipare all'impresa
collettiva di ricostruzione della nazione. Gli ebrei della diaspora,
associati o meno ad attività sioniste, sono stati arricchiti
culturalmente, socialmente e spiritualmente dal reinsediamento di
Israele nella sua madrepatria ancestrale. Il sionismo ha esaurito il suo compito con la rifondazione dello stato d'Israele?La
rifondazione dello stato d'Israele ha rappresentato la realizzazione
del maggior elemento dell'ideologia sionista: la restaurazione della
sovranità ebraica in Terra d'Israele. L'ideale sionista, tuttavia, include aspetti che sono ancora in via di realizzazione. Esso aspira a: - una Israele in pace con i suoi vicini - una Israele pienamente indipendente sotto il profilo economico e politico - garantire il benessere sociale ed economico di tutti i cittadini e le comunità residenti in Israele. Antisionismo ed antisemitismo sono la stessa cosa?V'è una pericolosa convergenza fra antisionismo ed antisemitismo, sebbene i due concetti non siano sempre identici. L'antisionismo è indirizzato oggi contro la realizzazione politica del sionismo - lo stato d'Israele L'antisionismo
è anche divenuto lo slogan moderno dietro cui si cela l'antisemitismo
di vecchio stampo, ed ha consentito agli antisemiti di nascondere con
una comoda copertura il loro odio nei confronti degli ebrei. L'antisionismo
è un tipo di antisemitismo nel senso che cerca di negare al popolo
ebraico il diritto alla autoespressione nazionale. tratto da: http://www.litos.it/hhitalia/DOMANDE.htmlMaurizio Rotaris postato in destra_per_israele
Theodor (Binyamin Ze’ev)Herzl (1860-1904)
“In Basle I founded the Jewish state . . . Maybe in five years,certainly in fifty, everyone will realize it.”
Theodor
(Binyamin Ze’ev) Herzl,the visionary of Zionism,was born in Budapest in
1860.He was educated in the spirit of the German-Jewish Enlightenment
of the period,learning to appreciate secular culture.In 1878 the family
moved to Vienna, and in 1884 Herzl was awarded a doctorate of law from
the University of Vienna. He became a writer,a playwright and a
journalist.The Paris correspondent of the influential liberal Vienna
newspaper Neue Freie Presse was none other than Theodor Herzl. Herzl
first encountered the anti-Semitism that would shape his life and the
fate of the Jews in the twentieth century while studying at the
University of Vienna (1882).Later,during his stay in Paris as a
journalist,he was brought face-to-face with the problem.At the time,he
regarded the Jewish problem as a social issue and wrote a drama,The
Ghetto (1894),in which assimilation and conversion are rejected as
solutions.He hoped that The Ghetto would lead to debate and ultimately
to a solution,based on mutual tolerance and respect between Christians
and Jews.
The Dreyfus Affair
In
1894,Captain Alfred Dreyfus,a Jewish officer in the French army,was
unjustly accused of treason,mainly because of the prevailing
anti-Semitic atmosphere.Herzl witnessed mobs shouting “Death to the
Jews” in France,the home of the French Revolution,and resolved that
there was only one solution:the mass immigration of Jews to a land that
they could call their own.Thus,the Dreyfus Case became one of the
determinants in the genesis of Political Zionism.Herzl concluded that
anti-Semitism was a stable and immutable factor in human society,which
assimilation did not solve.He mulled over the idea of Jewish
sovereignty,and,despite ridicule from Jewish leaders,published Der
Judenstaat (The Jewish State, 1896).Herzl argued that the essence of
the Jewish problem was not individual but national.He declared that the
Jews could gain acceptance in the world only if they ceased being a
national anomaly.The Jews are one people,he said,and their plight could
be transformed into a positive force by the establishment of a Jewish
state with the consent of the great powers.He saw the Jewish question
as an international political question to be dealt with in the arena of
international politics. Herzl proposed a practical program for
collecting funds from Jews around the world by a company to be owned by
stockholders,which would work toward the practical realization of this
goal.(This organization,when it was eventually formed,was called the
Zionist Organization.)He saw the future state as a model social
state,basing his ideas on the European model of the time,of a modern
enlightened society.It would be neutral and peace-seeking,and of a
secular nature. In his Zionist novel,Altneuland (Old New Land,
1902),Herzl pictured the future Jewish state as a socialist utopia.He
envisioned a new society that was to rise in the Land of Israel on a
cooperative basis utilizing science and technology in the development
of the Land.He included detailed ideas about how he saw the future
state's political structure,immigration,fundraising,diplomatic
relations,social laws and relations between religion and the state.In
Altneuland,the Jewish state was foreseen as a pluralist,advanced
society,a “light unto the nations.”This book had a great impact on the
Jews of the time and became a symbol of the Zionist vision in the Land
of Israel.
A Movement Is Started
Herzl's
ideas were met with enthusiasm by the Jewish masses in Eastern Europe,
although Jewish leaders were less ardent.Herzl appealed to wealthy Jews
such as Baron Hirsch and Baron Rothschild,to join the national Zionist
movement,but in vain.He then appealed to the people,and the result was
the convening of the First Zionist Congress in Basle,Switzerland,on
August 2931,1897.The Congress was the first interterritorial gathering
of Jews on a national and secular basis.Here the delegates adopted the
Basle Program,the program of the Zionist movement,and declared “Zionism
seeks to establish a home for the Jewish people in Palestine secured
under public law.”At the Congress the World Zionist Organization was
established as the political arm of the Jewish people,and Herzl was
elected its first president.Herzl convened six Zionist Congresses
between 1897 and 1902.It was here that the tools for Zionist activism
were forged:Otzar Hityashvut Hayehudim; the Jewish National Fund and
the movement's newspaper Die Welt.After the First Zionist Congress,the
movement met yearly at an international Zionist Congress.In 1936 the
center of the Zionist movement was transferred to Jerusalem.
Uganda Isn't Zion
Herzl
saw the need for encouragement by the great powers of the aims of the
Jewish people in the Land.Thus,he traveled to the Land of Israel and
Istanbul in 1898 to meet with Kaiser Wilhelm II of Germany and the
Sultan of the Ottoman Empire.When these efforts proved fruitless,he
turned to Great Britain,and met with Joseph Chamberlain,the British
colonial secretary and others.The only concrete offer he received from
the British was the proposal of a Jewish autonomous region in east
Africa,in Uganda.The 1903 Kishinev pogrom and the difficult state of
Russian Jewry,witnessed firsthand by Herzl during a visit to Russia,had
a profound effect on him.He requested that the Russian government
assist the Zionist Movement to transfer Jews from Russia to Eretz
Yisrael.At the Sixth Zionist Congres (1903),Herzl proposed the British
Uganda Program as a temporary refuge for Jews in Russia in immediate
danger.While Herzl made it clear that this program would not affect the
ultimate aim of Zionism,a Jewish entity in the Land of Israel, the
proposal aroused a storm at the Congress and nearly led to a split in
the Zionist movement.The Uganda Program was finally rejected by the
Zionist movement at the Seventh Zionist Congress in 1905. Herzl died
in Vienna in 1904,of pneumonia and a weak heart overworked by his
incessant efforts on behalf of Zionism.By then the movement had found
its place on the world political map.In 1949,Herzl's remains were
brought to Israel and reinterred on Mount Herzl in Jerusalem.Herzl's
books Der Judenstaat (“The Jewish State”) and Altneuland (“Old New
Land”),his plays and articles have been published frequently and
translated into many languages.His name has been commemorated in the
Herzl Forests at Ben Shemen and Hulda,the world's first Hebrew
gymnasium, “Herzlia”,which was established in Tel Aviv,the town of
Herzliya in the Sharon and neighborhoods and streets in many Israeli
towns and cities.Herzl coined the phrase “If you will,it is no
fairytale,”which became the motto of the Zionist movement. Although at
the time no one could have imagined it,Zionism led,only fifty years
later,to the establishment of the independent State of Israel.
David Ben-Gurion(1886-1973)
David
Ben-Gurion was born in Plonsk,Poland in 1886 and educated in a Hebrew
school established by his father,an ardent Zionist.By his
mid-teens,Ben-Gurion led a Zionist youth group,"Ezra,"whose members
spoke only Hebrew among themselves. At the age of 18 he became a
teacher in a Warsaw Jewish school and joined the Socialist-Zionist
group "Poalei Zion" (Workers of Zion).Arriving in the Land of Israel in
1906,he became involved in the creation of the first agricultural
workers' commune (which evolved into the Kvutzah and finally the
Kibbutz),and helped establish the Jewish self-defense group,“Hashomer”
(The Watchman). Following the outbreak of World War I he was
deported by the Ottoman authorities with Yitzhak Ben-Zvi
(later,Israel's second President).Ben-Gurion traveled on behalf of the
Socialist-Zionist cause to New York,where he met and married Paula
Monbesz,a fellow Poalei Zion activist.He returned to Israel in the
uniform of the Jewish Legion,created as a unit in the British Army by
Zionist leader Vladimir Jabotinsky. Ben-Gurion was a founder of
the trade unions,and,in particular,the national federation,the
Histadrut,which he dominated from the early 1920's.He also served as
the Histadrut's representative in the World Zionist Organization and
Jewish Agency,and was elected chairman of both organizations in
1935.Having led the struggle to establish the State of Israel in May
1948,Ben-Gurion became Prime Minister and Defense Minister.As
Premier,he oversaw the establishment of the state's institutions.He
presided over various national projects aimed at the rapid development
of the country and its population:“Operation Magic Carpet,”the airlift
of Jews from Arab countries,the construction of the national water
carrier,rural development projects and the establishment of new towns
and cities.In particular, he called for pioneering settlement in
outlying areas,especially in the Negev. In late 1953,Ben-Gurion
left the government and retired to Kibbutz Sde Boker in the Negev.He
returned to political life,after the Knesset elections in 1955,assuming
the post of Defense Minister and later the premiership.Continuing as
Prime Minister, Ben-Gurion supported the establishment of relations
with West Germany,despite bitter opposition.He also led the country
during the 1956 Sinai campaign,in which Israeli forces temporarily
secured the Sinai peninsula.In June 1963 Ben-Gurion resigned as Prime
Minister,citing “personal reasons.”Levi Eshkol took over the posts of
Prime Minister and Defense Minister.But Ben-Gurion remained active
politically, with a rivalry developing between him and Eshkol.In June
1965,the Mapai Party split,with Ben-Gurion establishing Rafi (List of
Israeli Workers),which won ten Knesset seats in the following
election.In 1968,Rafi rejoined Mapai and Ahdut Ha'avoda,to form the
Israel Labor Party,while Ben-Gurion formed a new party, Hareshima
Hamamlachtit (The State List),which won four Knesset seats in the 1969
elections.In June 1970, Ben-Gurion retired from political life and
returned to Sde Boker where he passed away in 1973.
Ze'ev (Vladimir) Jabotinsky(1880-1940)
Ze'ev
(Vladimir) Jabotinsky was born on October 18,1880,in the city of
Odessa, Russia.At the age of 18,he left for Italy and Switzerland to
study law,and served as a correspondent for several wellknown Russian
newspapers.His reports and articles were widely read and soon became
recognized as one of the brilliant exponents of Russian journalism.All
his reports and articles were signed with his literary pseudonym
“Altalena.”The pogrom against the Jews of Kishinev in 1903 spurred
Jabotinsky to undertake Zionist activity.He organized selfdefense
units and fought for Jewish minority rights in Russia.Jabotinsky was
elected as a delegate to the 6th Zionist Congress,the last in which
Theodore Herzl participated.During this period,Jabotinsky was active in
spreading the Hebrew language and culture throughout Russia,and the
establishment of the Hebrew University in Jerusalem. Following the
outbreak of World War I in 1914,he left for the front as a newspaper
correspondent.While in Alexandria,he met Joseph Trumpeldor and,from
then onward,worked for the establishment of the Jewish
Legion.Jabotinsky was not interested in the creation of an auxiliary
unit,and,upon reaching London,took energetic steps until the final
confirmation was received in August 1917 of the creation of the first
Jewish Legion.Jabotinsky also served as a Lieutenant and participated
in the assault of the Jordan River crossings and the conquest of Esalt
in the campaign to free Eretz Israel (Palestine) from Turkish
rule.During Passover in 1920,Jabotinsky stood at the head of the
Haganah in Jerusalem against Arab riots and was condemned by the
British Mandatory Government to 15 years hard labor. Following the
public outcry against the verdict,he received amnesty and was released
from Acre prison. From 1921 onwards,Jabotinsky was a member of the
Zionist Executive and one of the founders of “Keren Hayesod.”After a
series of policy disagreement on the direction of the Zionist
Movement,he seceded and,in 1925,established the Union of Zionists
Revisionists (Hatzohar)which called for the immediate establishment of
a Jewish State.In 1923,the youth movement Betar (Brith Joseph
Trumpeldor)was created.The new youth movement aimed at educating its
members with a military and nationalistic spirit and Jabotinsky stood
at its head.During the years 1928-1929 he resided in Palestine and
edited the Hebrew daily Doar Hayom while,at the same time,undertaking
increased political activity.In 1929,he left the country on a lectour tour
after which the British administration denied him reentry into the
country.From then onwards he lived in the Diaspora until his death.In
1935,after the Zionist Executive rejected his political program and
refused to clearly define that “the aim of Zionism was the
establishment of a Jewish state,”Jabotinsky decided to resign from the
Zionist Movement.He founded the New Zionist Organization (N.Z.O) to
conduct independent political activity for free immigration and the
establishment of a Jewish State.In 1937,the Irgun Tzvai Leumi (I.Z.L)
became the military arm of the Jabotinsky movement and he became its
commander.The three bodies headed by Jabotinsky,The New Zionist
Organization (N.Z.O),the Betar youth movement and the Irgun Tzvai Leumi
(I.Z.L) were three extensions of the same movement. The New Zionist
Organization was the political arm that maintained contacts with
governments and other political factors,Betar educated the youth of the
Diaspora for the liberation and building of Eretz Israel and the Irgun
Tzvai Leumi (I.Z.L) was the military arm that fought against the
enemies of the Zionist enterprise.These bodies cooperated in the
organization of Af Al Pi illegal immigration.Within this framework,more
than 40 ships sailed from European ports bringing to Eretz Israel tens
of thousands of illegal immigrants. Throughout this period of
intense political activity, abotinsky continued to write
poetry,novels,short stories and articles on politics,social and
economic problems. From among his literary creations,The Jewish
Legion,Prelude to Delilah (Samson) and The Five,served as an
inspiration for Jews of the Diaspora.Jabotinsky was fluent in many
languages and translated into Hebrew some of the best-known classics of
world literature.During 1939-1940,Jabotinsky was active in Britain and
the United States in the hope of establishing a Jewish army to fight
side by side with the Allies against Nazi Germany.On August
4,1940,while visiting the Betar camp in New York,he suffered a massive
heartattack.In his will he requested that his remains may only be
interred in Eretz Israel at the express order of the Hebrew Government
of the Jewish State that shall arise.His will was fulfilled by Levi
Eshkol, Israel's third Prime Minister.In 1964, Jabotinsky's remains and
those of his wife Jeanne were reinterred on Mount Herzl in Jerusalem.
deborah
Jun 18 2004, 11:05
Cento
anni fa moriva il giornalista che creò il sionismo per combattere
l'antisemitismo.Herzl,un sogno chiamato Israele.Inventò lo Stato degli
ebrei combattendo da solo contro tutti.(a cura di Avraham B.Jehoshua)
FINO
a che punto i processi storici dipendono dalla personalità di questo o
di quel personaggio?È una domanda che molti si sono posti e le risposte
sono varie e complesse.C'è chi attribuisce un'enorme importanza alle
personalità storiche,senza le quali determinati eventi non avrebbero
avuto luogo,e c'è chi le ritiene un elemento importante ma non
indispensabile allo sviluppo dei processi storici.La seconda guerra
mondiale si sarebbe svolta in modo diverso se a capo del governo
britannico non ci fosse stato un personaggio così assertivo e
combattente come Winston Churchill ma qualcuno di più conciliante e
irresoluto?Secondo il mio punto di vista,per quanto il governo
Churchill fosse importante nella conduzione della guerra,le forze
alleate avrebbero sconfitto in ogni caso la Germania e la vittoria
sarebbe stata assicurata.Se Charles de Gaulle non avesse gestito con
perizia il ritiro della Francia dall'Algeria,quest'ultima sarebbe
ancora sotto il suo controllo? Ovviamente no.Dubito però che lo
stato di Israele esisterebbe oggi se non fosse comparso negli anni
ottanta del diciannovesimo secolo un giovane intellettuale di nome
Theodor Herzl che non solo concepì la creazione di uno stato ebraico,ma
si sforzò di realizzarla,ponendo le basi organizzative per un nuovo
movimento:il movimento sionista.È vero,forse col tempo altri personaggi
sarebbero apparsi sulla scena della storia per proclamare l'urgenza di
normalizzare la situazione del popolo ebreo con la creazione di un suo
stato sovrano.Ma quell'unica occasione storica, quello spiraglio
apertosi tra il colonialismo turco e quello inglese all'inizio del XX° secolo
e prima del risveglio nazionale palestinese,sarebbe stata mancata se
Herzl non fosse esistito.E tutte le encomiabili idee di altri
intellettuali sarebbero rimaste solo sulla carta. Molte biografie
sono state scritte su Herzl e non voglio ripetere qui la storia della
sua breve vita(1860-1904).Al di là di ciò che fece per il suo popolo
egli rappresenta un esempio universale della capacità di un unico
intellettuale di cambiare i processi storici.Herzl creò il movimento
sionista dal nulla,senza basarsi su alcuna organizzazione o senza
essere legato ad alcuna comunità.È quasi impossibile che un simile
evento si verifichi nel mondo moderno,tanto incatenato a schemi globali
complessi.Ma può ancora dimostrare la forza del singolo.Qual era il
segreto di questo giovane giornalista che all'età di trentaquattro
anni trovò il perno su cui appoggiarsi per cambiare la storia
ebraica?Herzl era un ebreo laico e assimilato.Conosceva profondamente
il mondo dei gentili e ciò gli permise di diagnosticare con precisa e
profonda comprensione un fenomeno patologico che si andava rafforzando
tra il mondo ebreo e quello gentile.Una comprensione che altri
ebrei,chiusi nel loro mondo, rabbini,leader di comunità o altri
ancora,non possedevano.E così,in seguito alla falsa accusa di
tradimento nei confronti di Alfred Dreyfuss,ufficiale ebreo assimilato, e
della reazione antisemita che si scatenò in molti ambienti della Parigi
e della Francia del 1894,Herzl capì che i movimenti nazionalisti,laici
e moderni,ancora rappresentavano un pericolo per il popolo ebreo molto
più grande delle teologie del cristianesimo.Questo perché la figura
dell'ebreo assimilato,personaggio dai contorni poco chiari,può
risvegliare nella mente dei gentili fantasie omicide,in grado di
provocare grandi tragedie.Non bastava perciò educare i gentili europei
a valori di liberalità e tolleranza ma era necessario allontanare gli
ebrei da un'interazione pericolosa con loro e normalizzarne la
situazione mediante la creazione di una realtà ebraica territoriale e
sovrana.Non solo quindi continuare a educare il non ebreo ma
soprattutto cambiare l'ebreo.Herzl capì,e questo va detto a suo
merito,che la questione ebraica,o come veniva definita dai sionisti
stessi,il «problema» ebraico, non riguardava solo gli israeliti ma il mondo intero. L'antisemitismo
infatti rappresenta una tragedia anche per i popoli in mezzo ai quali
gli ebrei vivono,e un chiaro esempio di ciò lo si è avuto durante la
seconda guerra mondiale,quando la Germania portò su di sé un’immane
catastrofe per via della sua ossessione antisemita.Il mondo doveva
dunque collaborare con gli ebrei per raggiungere uno scopo grande e
comune:correggere il problema ebraico e trasformare gli israeliti da
popolo disperso e esiliato in una nazione sovrana con un proprio
territorio.Da qui l'impegno di Herzl-nel corso dei pochi anni in cui
servì come leader del movimento sionista-nel cercare di ottenere
l'approvazione della comunità internazionale a un insediamento ebraico
in Palestina e nel porre il problema ebraico nell'agenda europea.Egli
corse dal kaiser tedesco al sultano turco,da esponenti politici inglesi
al Papa,e in virtù del suo fascino personale,della sua conoscenza delle
lingue e della sua comprensione della politica europea,riuscì a
ottenere,con sforzi sovrumani,dei primi risultati che portarono,nel
1917,tredici anni dopo la sua morte,alla pubblicazione della
dichiarazione Balfour,un documento che concedeva legittimazione alla
creazione di un entità nazionale ebraica in Palestina.Tale concessione
venne ratificata nel 1947 dalle Nazioni Unite.A quel tempo,dopo la
scoperta degli orrori della Shoà e dagli abissi di odio nei cuori dei
gentili,il mondo capi' che il problema ebraico riguardava tutti e con
una rara azione comune il blocco comunista e quello occidentale si
accordarono,al culmine della guerra fredda,per dividere la Palestina in
due stati:palestinese ed ebreo. Il successo di Herzl nel mettere
in moto un intero movimento era anche legato al fatto che egli non
dovette sottostare alla scelta del popolo ebreo.E questo si può dire di
tutto il movimento sionista ai suoi albori.È forse infatti l'unico
movimento rivoluzionario che non agì all'interno del popolo che cercava
di condurre su una nuova via.I sionisti diedero vita a una nuova realtà
in una terra deserta,lontana dalla realtà ebraica del tempo,e per
giungere alla quale non avevano bisogno della approvazione dei loro
connazionali.Se Herzl e il movimento sionista avessero dovuto prendere
parte a elezioni generali all'interno delle comunità ebraiche degli
inizi del ventesimo secolo,avrebbero forse ottenuto il dieci,il
quindici per cento dei voti.Ma per loro fortuna,e per quella dello
stato di Israele,tale approvazione non fu loro necessaria.E così come
Herzl fu sulle prime un cavaliere solitario,così i sionisti giunti
nella Terra d'Israele nei primi anni del ventesimo secolo furono
rivoluzionari solitari che posero le basi per il popolo che li avrebbe
seguiti.Come ebreo laico e assimilato, profano della lingua e della
cultura ebraica,Herzl possedeva anche una certa misura di ingenuità nei
confronti del popolo che voleva guidare.Pensava che nel momento in cui
avesse spiegato agli israeliti,in modo logico,la necessità esistenziale
e morale di normalizzare la loro vita,costoro gli avrebbero prestato
ascolto.Non capiva quanto profondamente fosse radicata in loro
l'esperienza della diaspora.E quanto sarebbe stato difficile
convincerli a compiere il passo che li avrebbe portati a condurre una
vita normale in un loro territorio sovrano. Herzl morì
relativamente giovane,all'età di quarantaquattro anni,e non ebbe il
tempo di sperimentare delusioni e conflitti interni al suo
movimento,come molti altri leader.E così è rimasto nella memoria
nazionale:un principe amato.Se lo volete,non è una favola.Così dichiarò
nel corso del primo congresso sionista tenuto a Basilea,in Svizzera,nel
1897.E preconizzò che uno stato ebraico sarebbe sorto entro cinquant'anni,anche
se non immaginava che il popolo ebreo avrebbe mancato l'opportunità di
crearlo prima della Shoà,limitando così le proporzioni di quell'immane
tragedia.
deborah
Jul 5 2004, 07:35
Martin Buber e l'Ateismo.MARTIN BUBER A cura di Diego Fusaro Martin
Buber nasce a Vienna e studia in svariate università europee,
annoverando fra i suoi maestri pensatori del calibro di Simmel e
Dilthey, che molto incideranno sulla sua formazione. Dopo un periodo di
"dispersione", egli tornò nel seno dell’ebraismo, aderendo al movimento
sionista. Docente a Francoforte, dopo l’avvento del nazismo perse la
sua cattedra e nel 1938 si trasferì a Gerusalemme, dove ricoprì la
cattedra di Filosofia sociale e difese l’ideale di una pacifica
convivenza fra Arabi ed Ebrei. La morte lo colse nel 1965. Nel 1923
pubblicò una delle opere più famose, Io e Tu, proprio nell’anno in cui
cominciò ad insegnare a Francoforte. Nel 1925 incontrò Franz
Rosenzweig, con il quale tradurrà la Bibbia (impresa che porterà a
termine nel 1962). Fra gli scritti successivi, meritano senz’altro di
esser ricordati: Il problema dell’uomo (1943) ed Eclissi di Dio (1952),
oltrechè i suoi interessantissimi studi sullo hassidismo, ovvero su
quel movimento dell’ebraismo europeo orientale sorto nel XVIII secolo e
caratterizzato dall’importanza attribuita all’azione. Buber elabora
innanzitutto una prospettiva di pensiero il cui cardine sono i temi del
dialogo e della relazione: infatti, a partire dall’idea secondo cui
l’uomo non è una sostanza, ma una fitta trama di rapporti e di
relazioni, egli è pervenuto a quella che si potrebbe definire una sorta
di relazionismo personalista. Ad avviso di Buber, il mondo è duplice,
giacchè l’uomo può porsi dinanzi all’essere in due modi distinti,
richiamati dalle due parole-base (Grundworte) che può pronunciare al
suo cospetto: Io-Tu e Io-Esso. Di primo acchito, si potrebbe essere
indotti a pensare che la parola Io-Tu alluda ai rapporti con gli altri
uomini e la parola Io-Esso si riferisca invece a quelli con le cose
inanimate. In realtà la questione è più complessa, in quanto l’Esso può
comprendere anche Lui o Lei. L’Io-Esso, allora, finisce piuttosto per
coincidere con l’esperienza, concepita come l’ambito dei rapporti
impersonali, strumentali e superficiali con l’alterità – sia umana sia
extraumana -; tale schema dualistico – corrispondente almeno in parte a
quello propsettato da Marcel tra essere e avere – presuppone che l’Io
dell’Io-Esso sia l’individuo, mentre l’Io dell’Io-Tu sia la persona:
con la precisazione, però, che "nessun uomo è pura persona, nessuno è
pura individualità. […] Ognuno vive nell’Io dal duplice volto" (Io e
Tu). Agli occhi di Buber, l’Ioa utentico (la persona) si costituisce
unicamente rapportandosi con le altre persone – sullo sfondo vi è la
lezione hegeliana (Fenomenologia dello Spirito) dell’autocoscienza che
si relaziona ad altre autocoscienze -, giacchè l’Io "si fa Io solo nel
Tu". Ma asserire che la realtà umana è costitutivamente relazione
equivale a dire che essa è costitutivamente dialogo, per cui, se la
dimensione dell’Io-Esso è la superficiale dimensione del possesso e
dell’avere, la dimensione dell’Io-Tu, di contro, è la profonda ed
intima dimensione del dialogo e dell’essere: Io-Tu corrisponde
all’essere, Io-Esso all’avere. Tale dialogo trova la sua compiuta
manifestazione nel rapporto teandrico, ovvero nel Rapporto
instaurantesi fra l’Io e Dio stesso: "ogni singolo Tu è un canale di
osservazione verso il Tu eterno. Attraverso ogni singolo Tu la
parola-base si indirizza all’eterno" (Io e Tu). Un Tu eterno – precisa
Buber – che non può esser ridotto in nessun caso all’Esso, ossia ad
oggetto di possesso e di conoscenza: "guai a colui che è invasato a tal
punto da credere di possedere Dio", ammonisce Buber. Di conseguenza, il
Dio-oggetto della teologia è un falso Dio: il vero Dio, quello vivente
della Bibbia, è un Tu con cui si parla e non un Tu di cui si parla, è
un Dio a cui l’uomo rende testimonianza non già con la scienza, bensì
con il suo impegno nel mondo a favore del prossimo: "Quando
io ero bambino, lessi una vecchia leggenda ebraica che allora non
potevo capire. Raccontava nient’altro che questo: ‘dinanzi alle porte
di Roma sta seduto un mendicante lebbroso ed aspetta. E’ il messia’. Mi
recai allora da un vecchio e gli chiesi: ‘che cosa aspetta?’ e il
vecchio mi dette la risposta ch’io allora non capii e che ho imparato a
capire molto più tardi. Egli mi disse: ‘Te’". (Sette discorsi
sull’ebraismo) Nel suo scritto Eclissi di Dio. Considerazioni
sul rapporto tra religione e filosofia, Buber nota come attraverso i
tempi si sia eccessivamente abusato della parola "Dio", a tal punto che
il suo significato è diventato opaco e vuoto; ciò non toglie, tuttavia,
che tutte le volte che qualcuno la impiega per riferirsi al Tu
assoluto, allora essa acquista un insostituibile valore esistenziale: "‘Sì’,
risposi, è la parola più sovraccarica di tutto il linguaggio umano.
Nessun’altra è stata tanto insudiciata e lacerata. Proprio per questo
non devo rinunciare ad essa. Generazioni di uomini hanno lacerato
questo nome con la loro divisione in partiti religiosi; hanno ucciso e
sono morti per questa idea e il nome di Dio porta tutte le loro
impronte digitali e il loro sangue. Dove potrei trovare una parola che
gli assomigliasse per indicare l'Altissimo? Se prendessi il concetto
più puro e più splendido dalla tesoreria più riposta dei filosofi, vi
potrei trovare soltanto una pallida idea ma non la presenza di colui
che intendo, di colui che generazioni di uomini con le loro
innumerevoli vite e morti hanno onorato e denigrato. Intendo parlare di
quell’Essere a cui si rivolge l’umanità straziata ed esultante.
Certamente essi designano caricature e scrivono sotto ‘Dio’; si
uccidono a vicenda e lo fanno ‘in nome di Dio’. Ma quando scompare ogni
illusione e ogni inganno, quando gli stanno di fronte nell’oscurità più
profonda e non dicono più ‘Egli, Egli’, ma sospirano ‘Tu, Tu’ e
implorano ‘Tu’, intendono lo stesso essere; e quando vi aggiungono
‘Dio’, non invocano forse il vero Dio, l’unico vivente, il Dio delle
creature umane?" (L’eclissi di Dio). Ciò non toglie, però,
che proprio il Dio vivente appaia, oggigiorno, irrimediabilmente
perduto, quasi come se si fosse eclissato: e questo in virtù del
prevalere della relazione Io-Esso e dell’esaltazione soggettivistica
della filosofia moderna: l'essere è stato scalzato dall'avere, Dio
dall’uomo. A proposito del primo punto, Buber così si esprime: "Nel
nostro tempo la relazione Io-Esso si è molto gonfiata e, quasi
incontrastata, ha assunto la direzione e il comando. Signore di
quest’ora è l’Io di tale relazione, un Io che tutto possiede, tutto fa
e a tutto si adatta, incapace di pronunciare il Tu e di andare incontro
a un’esistenza con autenticità. Questo Ego (Ichheit) ormai onnipotente,
con tutto quell’Esso intorno a sé, non può naturalmente riconoscere né
Dio, né un reale Assoluto, che manifesta la sua origine non-umana
all’uomo. L’Ego si inserisce in mezzo, oscurandoci la luce del cielo"
(L’eclissi di Dio). A proposito del secondo punto, poi, Buber nota: "il
soggetto, che sempre apparve annesso all’essere per prestargli il
servigio della contemplazione, dichiara di aver generato e di generare
esso stesso l’essere […] lo spirito umano dice di essere il signore
delle sue opere e annichila concettualmente l'’ssolutezza e
l'Assoluto"(L'eclissi di Dio). Contrapponendosi con forza a
Nietzsche e al nichilismo moderno, sfociante nell’ateismo, Buber
dichiara che Dio non è definitivamente morto, ma si è solo
temporaneamente eclissato (non del tutto diversamente, Horkheimer – di
fronte alle atrocità del nazismo – aveva parlato di "eclissi della
ragione"): da ciò nasce la fiducia nel Suo ritorno. "L’eclissi della
luce di Dio non è l’estinguersi, già domani ciò che si è frapposto
potrebbe ritirarsi" (L’eclissi di Dio): in particolare, ciò che si è
temporaneamente frapposto tra noi e Dio, eclissandolo, è – per così
dire – la nube dell’Esso e dell’Ego, nube che fa sì che il profondo
rapporto Io-Tu sia oscurato da quello superficiale Io-Esso. Buber ha
riproposto inoltre, con grande attenzione, la questione dell'identità
ebraica. Quali sono le caratteristiche dell'ebraismo? Una prima
caratteristica è la coscienza della scissione e l'anelito all'unità;
una seconda è la ricerca di una relazione tra morale e religione,
intendendo la religiosità come azione e come spinta messianica verso il
futuro. Questi princìpi - unità, azione e futuro - sono i princìpi
validi anche per l'umanità: un autentico ritorno all'ebraismo coincide
per lui ad un ritorno verso la vera umanità. SUL DIALOGO:
"L’autentico dialogo e quindi ogni reale compimento della relazione
interumana significa accettazione dell’alterità. […] L’umanità e il
genere umano divengono in incontri autentici. Qui l’uomo si apprende
non semplicemente limitato dagli uomini, rimandato alla propria
finitezza, parzialità, bisogno di integrazione, ma viene esaudito il
proprio rapporto alla verità attraverso quello distinto, secondo
l’individuazione, dell’altro, distinto per far sorgere e sviluppare un
rapporto determinato alla stessa verità. Agli uomini è necessario e a
essi concesso di attestarsi reciprocamente in autentici incontri nel
loro essere individuale". (Separazione e relazione) IO, TU E
ESSO: "Lo scopo della relazione è la sua stessa essenza, ovvero il
contatto con il Tu; poiché attraverso il contatto ogni Tu coglie un
alito del Tu, cioè della vita eterna. Chi sta nella relazione partecipa
a una realtà, cioè a un essere, che non è puramente in lui né puramente
fuori di lui. Tutta la realtà è un agire cui io partecipo senza potermi
adattare a essa. Dove non v’è partecipazione non v’è nemmeno realtà.
Dove v’è egoismo non v’è realtà. La partecipazione è tanto piú completa
quanto piú immediato è il contatto del Tu. È la partecipazione alla
realtà che fa l’Io reale; ed esso è tanto piú reale quanto piú completa
è la partecipazione" (Io e tu). http://www.filosofico.net/martinbuber.htm
deborah
Jul 22 2004, 12:30
MOSES MONTEFIORE
UN MOSE' DEL 1800 CONTRO... ...IL MOSTRO ANTISEMITA
Partì giovanissimo da Livorno per andare a cercare lavoro in Inghilterra. Raggiunto il successo, conquistato il titolo di lord, dedicò tempo e denaro alla difesa del popolo ebreo, perseguitato in tutto il mondo
Un ritmico e angosciante esplodere di atroci slogans antisemiti, centinaia di volti contratti da un odio irrazionale dalle millenarie radici, l'ondeggiare sempre più minaccioso di una folla, progressivamente eccitata dai suoi stessi clamori, che assedia il Gran Hotel affacciato sulla vasta piazza di Bucarest. E' un torrido 29 agosto del 1867. Scostando le cortine di seta che riparano le finestre dell'albergo, sir Moses Montefiore osserva quella massa urlante. Sul volto patriarcale, reso solenne dalla folta barba bianca, si fondono tristezza e determinazione.
Sir Montefiore, ottantrè anni, il Mosè del 1800 che da decenni percorre il mondo per accorrere là dove il suo popolo, il popolo ebreo, ha bisogno di essere difeso da persecuzioni, da ingiustizie, da incursioni sanguinarie, da spoliazioni, anche questa volta non riesce a difendersi dalla profonda tristezza che si impadronisce di lui quando si trova davanti ai violenti rituali con i quali s'invoca il sacrificio di una comunità ebraica nel ruolo del capro espiatorio dei mali del momento. Che possono essere il cattivo raccolto o le vessazioni di un signorotto o di un regime, una crisi economica o un'epidemia. Tuttavia sir Moses si sottrae alla trappola della tristezza, che spesso é inibizione all'azione, conscio che soltanto la determinazione, la capacità di reagire, il coraggio di resistere possono esorcizzare il delirio dell'antisemitismo che obnubila la mente di milioni di persone in molte parti della terra, dalla Santa Russia all'Islam, dagli Stati tedeschi alla cattolicissima Spagna, a questa Romania, nazione appena nata dalla fusione della Moldavia e della Valacchia, dove una crociata contro gli ebrei rimuove i profondi malumori esplosi dopo l'iniziale e difficile processo di democratizzazione che ha portato all'incameramento dei beni ecclesiastici, alla riforma agraria alla creazione di una seconda camera. Alcune ore prima sir Montefiore ha parlato con il nuovo principe della Romania, Carlo di Hohenzollern Sigmaringen, parente di Napoleone III di Francia da parte di madre. Gli ha rimproverato i risultati dell'ultima persecuzione nel centro di Jassy: ventimila famiglie ebree in pericolo di vita e circa trecento ridotte alla rovina.
Non può andarsene dal Paese senza aver parlato anche a quella massa in preda al demone di un'aggressività che nasce da primitive paure. Lentamente comincia a dischiudere i battenti della grande finestra. Dal basso lampeggia il riflesso metallico di un'arma da fuoco. Qualcuno del seguito tenta di rinchiudere. "La supplico sir Moses, la uccideranno". Ma il patriarca ha deciso. E qualche secondo dopo la sua biblica figura si staglia nel vano della finestra. E' un'immagine dalla quale si sprigiona una forza incoercibile ma anche una grande serenità. Quel vegliardo senza paura forse evoca nella mente di ognuno l'infantile desiderio, frustrato, di avere un padre severo ma non tiranno, giusto, tenero, e rassicurante. Il muro di odio e di urla si sgretola d'improvviso e sulla piazza scende un silenzio quasi chiesastico. La voce di sir Montefiore risuona alta: "Sparatemi pure se volete. Sono venuto qua in nome della giustizia e dell'umanità per sostenere la causa di innocenti che soffrono".
Null'altro. Ma gli occhi del nuovo Mosè restano fissi per qualche minuto sulla folla. E lentamente la piazza si svuota. Uno dei capi della comunità ebraica di Bucarest, che già gli aveva sconsigliato il viaggio in Romania, ha le lacrime agli occhi a causa della tensione. Tremando lo prega di non commettere più imprudenze di quel genere. Sir Moses risponde con fermezza: "Mi faccia preparare una carrozza scoperta per cortesia". Per due ore, senza protezione alcuna, in compagnia del suo segretario, il dottor Loewe, percorre le strade principali e i sobborghi della città. Il giorno seguente egli riceve una lettera del principe Carlo che, pur contenendo una menzogna diplomatica sulla realtà verificata da Montefiore, dimostra che la missione non é stata del tutto inutile: "Gli israeliti sono oggetto di tutta la mia sollecitudine e di quella del mio Governo e sono lieto che siate venuto in Romania, per convincervi che la persecuzione, della quale la malevolenza ha fatto tanto chiasso, non esiste. Considererò sempre un onore far rispettare la libertà religiosa e sorveglierò sempre che siano rispettate le leggi che proteggono gli israeliti, come tutti gli altri rumeni, nelle loro persone e nei loro beni".
Da questo episodio (uno dei tanti che lo hanno visto protagonista nei luoghi della sofferenza ebraica e nei luoghi della speranza come Gerusalemme, che egli visitò sette volte) sia pur indicativo, esce soltanto in parte la grandiosità di questa figura che il popolo ebreo ha celebrato in tutto il mondo in occasione del bicentenario della nascita (1784) e nel centenario della morte (1885). Ripercorrendo le tappe della sua vita ci si rende conto essere legittimo l'accostamento di Montefiore all'archetipo di Mosè. Pur se il titolo di baronetto (conferitogli dalla regina Vittoria nel 1837) e una vita intera passata in Gran Bretagna come leale suddito possono trarre in inganno, il cognome non lascia dubbi: Moses Montefiore è figlio di italiani ed è nato in Italia, nella grande e operosa comunità ebraica di Livorno. Nei registri delle nascite custoditi negli archivi dell'università israelitica l'evento è così annotato: "9 Heshvan 5545 (24 ottobre 1784) a Joseph di Moise Haim e Raquel Montefiore nacque un figlio che chiamarono Moise Haim". In via Reale al 7, sulla casa poi demolita nel 1963, una lapide ricordava i suoi centouno anni di vita: "Sia perpetuo ricordo/ che ai 24 ottobre 1784 qui nacque/ sir Moses Montefiore/ in Siria in Russia al Marocco in Romania/ indefesso apostolo di tolleranza/ ad ogni sorta di sventure/ senza distinzione di gente e di fede/ largamente pietoso/ morto in Ramsgate ai 28 luglio 1885/ onorato dai potenti dai miseri benedetto".
Oriunda di Pesaro e Ancona, la grande famiglia dei Montefiore si ramifica in direzione di varie città italiane. Alcuni membri si stabiliscono a Livorno. Da uno di questi nasce Moshe Haim, nel 1712. Dopo il matrimonio con Ester Racah (quella dei Racah era una nota e agiata famiglia livornese dalla quale discende il professor Giulio Racah, fisico di fama e discepolo di Enrico Fermi, che fu rettore dell'università ebraica di Gerusalemme) Moshe Haim lascia I'Italia e continua la sua attività in Gran Bretagna. Ma i rapporti d'affari con Livorno e con gli altri familiari rimasti in Italia continuano e le puntate verso la vecchia patria sono frequenti. E' durante uno di questi rientri che a Joseph, quarto dei diciassette figli di Moshe, nasce quel bambino che un giorno diventerà, con un tocco di spada della regina Vittoria, il primo baronetto di origine italiana.
Il piccolo Moses passa alcuni mesi della sua vita nella città toscana. Poi il rientro in quella che sarà la sua nuova e definitiva patria d'elezione. Fatte le scuole elementari, conseguito un grado di istruzione medio nella scuola ebraica, entra nel mondo produttivo - affari e commercio, queste erano le sole attività aperte agli ebrei dell'ultimo Settecento - prima come apprendista poi come impiegato. A vent'anni Moses dimostra l'alto grado della sua intelligenza riuscendo a conquistarsi una licenza di agente di cambio alla Borsa di Londra, dove i posti disponibili per gli ebrei sono soltanto dodici, e ad affermarsi solidamente sul mercato e non soltanto su quello borsistico: businessman capace di grandi visioni ed estremamente attento al futuro di un secolo in rapida evoluzione, dedica molte delle sue energie a due imprese che i suoi contemporanei considerano pionieristiche, la "Imperial gas association" e la "Alliance insurance company" che guida con mano sicura fino al suo ultimo giorno di vita.
La carriera di Moses Montefiore è trionfale, ma il futuro baronetto conosce anche l'acre sapore della sconfitta, dell'imprevedibile crac. Perde tutto il suo patrimonio e rimane schiacciato dai debiti. Tuttavia nel giro di due anni è di nuovo sul ring, paga tutti i creditori, recupera le perdite, riprende il suo posto nell'empireo dei big della finanza. La "Montefiore brothers" (in società c'è il fratello Abraham) è più forte ed apprezzata di prima. E' il 1824, Moses ha quarant'anni. Il giovane uomo d'affari ebreo ha raggiunto le vette del successo in una società che, pur essendo più liberale di altre, porta ancora nel suo bagaglio culturale e legislativo delle riserve antisemite. La vittoria di un uomo, l'affermazione delle sue qualità in un contesto difficile. Ma è una vittoria che Moses Montefiore, il quale sente profondamente la sua ebraicità, considera appartenente a quel popolo dal quale ha ereditato la vivacità e la duttilità mentale, la capacità di adattarsi alle situazioni più difficili (e spesso inumane) conservando la propria dignità, la forza di mantenere la personalità culturale ed etnica pur nella bimillenaria tempesta della diaspora.
E' nel terreno di questa concezione che ha radice la scelta di vita che sbalordisce amici, pubblico, la Londra dell'alta finanza: Moses Montefiore decide di ritirarsi dagli affari. D'ora in poi, aiutato dalla moglie Judith (figlia di Levi Barenth Cohen uno dei più ricchi ebrei inglesi dell'epoca, sposata nel 1812), egli dedicherà il suo tempo, la sua intelligenza, le sue energie, i suoi mezzi alle attività sociali e filantropiche ma soprattutto "a servire la causa dei suoi fratelli ebrei, a sostenerne i diritti nei vari Paesi e ad aiutarli in tutto quanto le sue forze gli consentono, a partecipare ad ogni genere di attività filantropiche destinate a lenire miserie di uomini di ogni credo e di ogni nazione" (Umberto Nahon ne "La provincia di Livorno" 1963-1964 in un saggio dedicato a sir Moses Montefiore, "Una vita al servizio dell'ebraismo"). Il giovane ex finanziere (che tuttavia, dopo aver intestato al fratello la licenza di agente di cambio alla borsa di Londra, conserva il controllo di alcune società e gestisce in modo redditizio il proprio robusto patrimonio) inizia la sua nuova attività con lo stesso slancio mentale e fisico che lo ha portato a raggiungere il successo nel difficile campo degli affari.
L'esordio avviene nella stessa Londra, dove prendono corpo i problemi creati dalla legislazione che limita l'attività degli ebrei e li emargina in parte dalla vita politica. Riferendosi a quest'ultimo punto Nahon ricorda che "gli ebrei, invero, potevano essere eletti al Parlamento, ma fin quando non fu loro permesso di prestare giuramento soltanto sul Vecchio Testamento e fino a quando la formula del giuramento comprendeva le parole 'come vero cristiano' gli ebrei non potevano occupare il loro seggio alla Camera. Moses Montefiore e Nathan M. Rothschild (cognato di Moses : n.d.r.) furono a capo di non poche delegazioni che si recarono presso deputati, lords, ministri, per ottenere la possibilità per gli ebrei di far parte del parlamento" Nel 1883 la Camera dei Lords respinge la proposta di "annullare tutte le disuguaglianze civili concernenti i sudditi di Sua Maestà di religione ebraica".
Nel 1837 Moses Montefiore, al quale si associa sir George Carrel, non ebreo, si reca alla Camera dei Comuni latore di una petizione del Lord Major di Londra ma anche in questa occasione il veto della Camera Alta nega il riconoscimento dei diritti richiesti. Soltanto nel 1851, dopo una lunga serie di battaglie, il primo ebreo inglese occupa il suo seggio alla Camera dei Comuni: è Lionel de Rotschild, figlio di Nathan e di Anne Cohen, sorella della moglie di Montefiore. Nel 1885, un mese prima di morire, sir Moses avrà l'immensa soddisfazione di cogliere un altro grande frutto del suo lungo e tenace lavoro: il primogenito di Lionel de Rotschild, Nathaniel, viene nominato lord e diventa il primo lord ebreo. Nel 1840 accade a Damasco un episodio che vede la comunità ebraica bersaglio di un'accusa atroce e non insolita: quella di "omicidio rituale", E' in questa occasione che Montefiore esordisce con la serie delle sue brillanti missioni all'estero.
Prima di dare una sintesi dell'episodio va precisato che l'accusa di omicidio rituale - vecchia di secoli e secoli e profondamente radicata nelle culture musulmane e cristiana - attribuisce agli ebrei la consuetudine di uccidere un cristiano per servirsi del suo sangue nella preparazione del pane azzimo (ossia il pane non lievitato) tradizionalmente consumato durante la Pasqua, in ricordo dell'esodo dall'Egitto. L'accusa - meglio usare il termine calunnia - è priva di fondamento e appare assurda a chiunque abbia conoscenza, sia pur vaga, dei riti ebraici. "Non mangerai il sangue perché nel sangue è l'anima" comanda la Bibbia in diversi passi ed è in base a questa precisa norma che sono state elaborate le istruzioni rituali per l'uccisione degli animali con jugulazione in modo che il sangue sgorghi completamente. Tuttavia questa orrenda calunnia - definita tale già nel 1248 da papa Innocenzo IV e in seguito da altri pontefici e sovrani - continua a perseguitare gli ebrei anche in pieno illuminismo e all'inizio dell'età industriale.
Il caso di Damasco è esemplare. Dalla città sparisce in circostanze misteriose (rapito e ucciso per poter montare l'imputazione a carico degli odiati giudei?) il cappuccino padre Tommaso che da molti anni esercita anche la funzione di medico; con lui scompare anche il suo servitore Ibrahim. Scatta immediatamente l'accusa e la macchina persecutoria si mette in moto. Nel quartiere ebraico (6000 abitanti) vengono effettuati numerosi arresti di "sospetti", vengono demolite diverse case per cercare i cadaveri degli scomparsi, viene innescato il meccanismo dell'odio popolare e della spinta all'eccidio. Gli arrestati vengono atrocemente torturati. Due di essi muoiono. Un povero barbiere ebreo, dopo lunghe ore di tormenti che gli hanno dilaniato il corpo, esce quasi di senno, "confessa" e accusa dell'immaginario delitto alcuni capi della comunità ebraica. L'assurdo si raggiunge quando alle autorità si presenta un astrologo il quale sostiene che, tramite la sua "scienza", ha scoperto i colpevoli. E fa i nomi di sette ebrei fra i quali due appartengono alla più nota famiglia della Comunità, quella dei Farchi. Seguono gli arresti. Nel quadro di questo dramma perdono la vita quattro ebrei. Quasi nello stesso periodo un'accusa di omicidio rituale viene formulata anche a Rodi.
Per mettere fine all'atroce vicenda e scongiurare l'inasprirsi di persecuzioni antisemite in Siria e in altri Paesi dell'impero ottomano, Moses Montefiore e Lionel de Rothschild si recano dal ministro degli Esteri lord Palmerston a chiedere l'intervento ufficiale del Foreign Office. Il ministro s'impegna a porre il problema al governatore d'Egitto Mohamed Alì e al sultano di Costantinopoli e con essi a cercarne la soluzione. Tuttavia Montefiore, che nel frattempo è diventato presidente del "Board of deputies of british jews" (Consiglio dei delegati degli ebrei inglesi), non dà molto affidamento alle promesse di Palmerston e preferisce agire in prima persona. Cosi l'ex finanziere, con un gruppo di collaboratori, fra i quali c'è anche un alto rappresentante della Comunità ebraica francese, e le migliori credenziali del Foreign Office, piomba sul luogo della tragedia e mette sotto assedio, con una fitta serie di incontri, richieste di garanzie, trattative, argomentazioni, sia il governatore d'Egitto (che praticamente è re) che il sultano di Costantinopoli. Con Mohamed Alì segna la prima vittoria. Quando questi è pronto a rilasciare i nove ebrei ancora in stato di arresto e scrive nel testo del decreto la parola "perdono", Montefiore si oppone duramente e pretende, ottenendola, che ad essa venga sostituita la formula "onorevole liberazione".
L'abilità diplomatica, la capacità di convincimento, la sottigliezza di argomentazioni di Moses piegano anche la resistenza del capo dell'impero ottomano, il sultano Abdul Mejid. Questi dichiara, nel "firmano" sottoscritto il 16 novembre 1840 e depositato negli archivi dell'Impero : "E' corrente un antico pregiudizio contro gli ebrei. Gli ignoranti credono che gli ebrei abbiano l'abitudine di sacrificare un essere umano per fare uso del sangue di esso nella loro festa di Pasqua. In conseguenza di questa credenza gli ebrei di Damasco e di Rodi sono stati perseguitati. I libri religiosi degli ebrei sono stati esaminati da dotte persone, ben versate nella loro letteratura teologica e il risultato di questo esame è stato che agli ebrei è severamente proibito di servirsi non solo di sangue umano ma perfino del sangue degli animali. Ne consegue pertanto che le accuse contro di loro altro non sono che pura calunnia... La nazione ebraica deve possedere gli stessi vantaggi e godere gli stessi privilegi che sono accordati alle altre numerose nazioni sottoposte alla nostra autorità. La nazione ebraica deve essere protetta e difesa".
Dopo un'assenza di sette mesi Montefiore rientra in Inghilterra. Fra gli onori che gli vengono tributati, anche le congratulazioni della regina Vittoria, che lo riceve a Buckingham Palace. Nel 1863 un'altra notizia dal Marocco, dove l'antisemitismo è feroce e radicato come nella restante parte del mondo arabo: due giovani ebrei sono stati giustiziati senza processo e altri nove sono stati arrestati e tormentati in vario modo. Anche in questo caso mancanza totale di prove, accusa costruita sul preconcetto. Il fatto. José Montilla, recaudador (esattore), del viceconsole spagnolo a Saffi, una città del Marocco, muore inaspettatamente il 30 luglio, dopo tre giorni di forti dolori. Il diplomatico sospetta un avvelenamento e immediatamente le autorità locali arrestano il servitore di Montilla, Jacob Benyuda, un ragazzo di quindici anni che viene accusato di aver somministrato al padrone una pozione mortale in complicità con altri ebrei.
Bastonatura delle piante dei piedi, flagellazioni continue, schiacciamento in un apposito torchio, principio di impalamento... e il ragazzo "confessa", fa il nome di un altro giovane, Eliahou Lalouche. Immediatamente catturato - e con lui finiscono in carcere il padre, la madre e i fratelli - anche Lalouche subisce le stesse torture fino alla "confessione". Il 13 e il 14 settembre Lalouche e Benyuda vengono decapitati. Naturalmente, sotto la spinta emotiva scatenata dalla vicenda, le angherie della popolazione musulmana nei confronti della comunità ebraica aumentano notevolmente: pestaggi, danneggiamenti, insulti non si contano. Poiché la situazione minaccia di degenerare e di rendere ancor più difficile la condizione dei cinquecentomila ebrei che vivono in Marocco, Moses Montefiore decide ancora una volta di intervenire personalmente. Per prima cosa, accompagnato dai membri della sua missione, si ferma a Madrid per discutere del problema con la regina Isabella di Spagna, sull'aiuto della quale egli conta, considerata la grande influenza che la Spagna ha sul Marocco. Da Madrid a Tangeri dove le autorità marocchine e spagnole, messe alle strette dalle argomentazioni di sir Moses e dalle credenziali che egli ha ottenuto dal Foreign Office e dalla regina Isabella, si piegano alle richieste e liberano i nove ebrei ancora detenuti. Ma il capo della missione non è ancora soddisfatto. Egli vuole maggiori garanzie sulla sicurezza dei suoi correligionari marocchini, vuole che per essi venga garantito anche un miglioramento delle condizioni di vita. Per ottenere questo è necessario incontrare il sultano del Marocco, che vive nella capitale, Marrakesh. La città si trova a otto giorni di viaggio, un viaggio che il "Mosé del 1800" ormai ottuagenario, compie intrepidamente alla testa di una carovana di muli e cammelli sotto il sole bruciante e nelle notti gelide.
Il primo giorno di febbraio del 1864 c'è l'udienza con il sovrano. Anche in questo caso la dialettica di Montefiore, (il quale peraltro non omette di ricordare agli interlocutori di essere non soltanto il rappresentante della comunità ebraica inglese ma anche il portavoce di un Paese che è una grande potenza militare ed economica) supera ogni resistenza, raggiunge l'obiettivo stabilito. Il 5 febbraio il sultano fa pervenire a sir Moses un "firmano" così concepito: "E' nostro comando che tutti gli ebrei residenti nei nostri dominii siano trattati in modo conforme alle ben equilibrate bilance della giustizia, che nei procedimenti davanti ai tribunali essi occupino una posizione di perfetta uguaglianza con tutti gli altri sudditi, che gli ebrei godano in avvenire maggiore sicurezza di quanto sia stato fin'ora e che il timore di far loro torto sia grandemente aumentato". Durante il viaggio di ritorno Montefiore si ferma a Madrid e a Parigi per consegnare copia del "firmano" a Isabella di Spagna e all'imperatore di Francia Napoleone III. A Londra un altro trionfo e altro incontro con la regina Vittoria. Dalle comunità ebraiche dei vari Paesi del mondo, più di duemila messaggi di plauso e di ringraziamento.
Oltre a questi episodi, che abbiamo riportato per la loro indicatività, molti altri ne dovremmo ricordare ma sarebbe necessario lo spazio di un libro (e infatti un libro c'è, "Il centenario di Moses Montefiore", edito nel 1985 in Inghilterra da Sonia e Vivian Lipman per i tipi della Oxford University Press) per fare una cronaca sia pur contenuta della frenetica e intensa attività che questo ormai mitico personaggio svolge nell'arco di sessant'anni, dal 1824, quando si vota completamente alla sua missione, al 1885, anno della sua morte. Tuttavia è impossibile concludere questa breve storia senza ricordare che il suo protagonista è l'uomo che mette la prima pietra per trasformare in realtà il "grande sogno": la costruzione della nuova Gerusalemme (che sorge a accanto all'antica Città Santa) nella quale i figli di Israele ritorneranno per ricostruire la loro nazione.
L'attrazione che la città degli avi esercita su Montefiore è profonda, una specie di "richiamo della foresta". Lo dimostra il fatto che egli - in tempi non molto adatti per i viaggi di questo tipo, visto che in mare s'incontravano ancora i pirati - fa ben sette pellegrinaggi, il primo nel 1827 e l'ultimo nel 1875 alla bella età di 91 anni. Ma le visite a Gerusalemme (dalla quale sir Moses resta incantato e dirà "Nessuna città al mondo ha una migliore posizione di Gerusalemme, né esiste un clima migliore") non sono soltanto mistiche. Durante il secondo soggiorno, nel 1838-39, studia attentamente la situazione degli ebrei sparsi nella città e occupati dispersivamente in mille piccole attività, promuove un censimento "dei figli di Israele viventi nella Terra Santa nell'anno 5599 (1839)".
Fatto il punto in chiave strettamente pragmatica, come si conviene a un abile businessman, Montefiore, d'accordo con i rabbini e i capi laici delle singole comunità locali, elabora un progetto preciso: "Se il mio piano riuscirà, sono certo che esso varrà ad apportare felicità e abbondanza nella Terra Santa. In primo luogo chiederò a Mohamed Alì una concessione di terreni per cinquant'anni; cento o duecento villaggi che gli rendano il dieci o il venti per cento più di ora... Ma il terreno e i villaggi dovranno essere liberi, per la durata della concessione, da ogni tassa e balzello al Pashà o al governatore dei vari distretti e devono avere la libertà di disporre dei prodotti in ogni angolo del mondo. Ottenuta questa concessione formerò, piaccia al Cielo, una compagnia per la coltivazione del suolo e per incoraggiare i nostri fratelli d'Europa a tornare in Palestina. Sono sicuro che essi saranno felici nel godimento dell'osservanza della nostra santa religione in un modo che è impossibile in Europa".
Il piano non può essere attuato a causa di inceppi provocati da alcuni cambiamenti della situazione politica egiziana. Tuttavia sir Moses riesce - nei viaggi successivi - a realizzare alcuni progetti significativi. Fondazione di una tessitura. Istituzione di una scuola femminile con indirizzo pratico: sartoria, ricamo, economia domestica erano le materie che venivano insegnate alle 114 allieve oltre alle normali materie scolastiche. Acquisto di un terreno presso Giaffa che viene coltivato ad aranceto, il primo aranceto ebraico in terra d'Israele. Ma fra tutte le realizzazioni la più importante per il mondo ebraico è quella che nel 1860-61 permette agli ebrei di Gerusalemme di andare ad abitare in un quartiere-villaggio, nuovo di zecca, costruito fuori dalle mura. Realizzando questo quartiere all'esterno della città vecchia sir Montefiore si propone di assicurare alcune abitazioni salubri agli ebrei di Gerusalemme e nello stesso tempo di incoraggiarli ad una vita più attiva e produttiva: il piccolo orto accanto alla casa è l'embrione di un lavoro agricolo, il mulino costruito nell'area del quartiere costituisce il punto di partenza di una piccola attività industriale. Il vecchio sir Moses, a cose fatte, guarda con soddisfazione il quartiere, le bianche casette fra le quali già giocano i bambini, ma non si rende conto del valore storico della sua opera. Egli non si rende conto di aver messo le prime pietre della nuova Gerusalemme, della città ora popolata da centinaia di migliaia di ebrei, della futura capitale dello Stato di Israele.
Ringraziamo per l'articolo (concesso gratuitamente) il direttore di Storia in network
deborah
Jul 31 2004, 13:13
L'ANNO 70
VEDI ANCHE "L'ASSEDIO DI GERUSALEMME)
Dopo
i drammatici avvenimenti in Italia e a Roma, Vespasiano rientrato
dall'Egitto, vorrebbe subito iniziare a governare prima ancora
dell'investitura. Roma ne avrebbe la necessità, dopo un periodo così
anarchico; avrebbe bisogno di una guida energica, autorevole, saggia e
intelligente.
Questo a Roma ma, da tempo, con il potere
centrale assente o quasi, nelle popolazioni delle province, soprattutto
in Gallia, scoppiano contemporaneamente varie rivolte che sono a fatica
domate dai piccoli presidi romani dislocati permanentemente nei vari
territori conquistati. Ma in una di queste nella Germania renana,
troviamo un principe Batavo romanizzato, GIULIO CIVILE, che approfitta
anche lui dell'assenza degli eserciti romani impegnati in Italia, e da'
inizio a un movimento secessionista, ponendosi a capo dei Batavi, che
fra l'altro sono infiammati da una loro profetessa, VELLEDA. Hanno però
vita breve, non hanno fortuna, viene a stento domata la rivolta da
Petilio Ceriale.
Ma non è la sola. Seguono l'esempio le tribù di
un'altra zona della stessa Gallia; vi troviamo tre condottieri che
vogliono anche loro dar vita a un movimento secessionista, crearsi se
non proprio un impero (Imperrium Galliarum) almeno uno Stato
indipendente dai romani. Sono i condottieri Giulio Classico, Giulio
Tutore, Giulio Sabino, e Giulio Valentino. Falliscono anche a loro, a
Treviri; Petilio Ceriale e Annio Gallo li vogliono riportare alla
ragione, non ci riescono, li sbaragliano sul campo, e sono subito
eliminati.
Ma la rivolta più drammatica - non priva di
conseguenze che dureranno 2000 anni - avviene in Palestina, a
Gerusalemme. Qui abbiamo lasciato lo scorso anno Vespasiano che aveva
posto in assedio la città da un anno intero dopo i tumulti e le
ribellioni giudaiche che erano scoppiate fin dal 68. Per le vicende di
Roma, seguita poi dalla sua nomina a imperatore, all'inizio di questo
anno 70, in FEBBRAIO, Vespasiano aveva lasciato la Palestina, ed era
partito per la capitale per ricevere sia il consolato che la corona
d'imperatore.
Sul posto a far proseguire l'assedio della città
fino all'espugnazione completa, ha lasciato il figlio TITO con l'ordine
di domare le rivolte, e con una raccomandazione: una volta caduta la
città doveva distruggerla completamente. Radere al suolo soprattutto il
Tempio; una volta per tutte doveva eliminare e cacciare tutti gli Ebrei
dalla Palestina, nessuno escluso.
TITO ligio agli ordini esegue
con molto zelo il suo compito, scrupolosamente e da' inizio a una delle
piu' contestate dispute territoriali di un popolo che durerà fino al
Trattato del 1947, quando verrà creato lo STATO DI ISRAELE; ma come
sappiamo in certe zone continuano tutt'oggi tale dispute. Ma non fu
solo una disputa questa del 70, fu una strage, uno dei più grandi
crimini dell'umanità. Una ferocia inaudita si accanì contro questo
popolo che non voleva ingerenze di altri popoli e sovrani, aveva la sua
già millenaria Legge e intendeva osservare solo quella.
Gli
Ebrei già ripetutamente sconfitti all'esterno della città da
Vespasiano, approfittarono del breve intervallo causato dal caos a Roma
che tenne impegnato il neo imperatore, per riorganizzarsi, per
rafforzare la difesa e anche per allargare la guerra sul resto del loro
territorio. Ma non erano organizzati in un modo sufficiente e tale
da opporsi ai romani. Nella primavera, in APRILE, fra gli stessi capi
ebrei scoppiarono delle discordie con eliminazioni reciproche di capi
che avevano una diversa visione della situazione. C'era chi voleva i
compromessi e la pace che invece voleva combattere ad oltranza. O
vincere o morire tutti. Gerusalemme era circondata da tre poderose
cerchia di mura. In MAGGIO cadde in mano ai romani il terzo muro,
cinque giorni dopo anche il secondo, non rimaneva che il primo muro per
penetrare nella città, dove nel grande tempio si erano radunati tutti
gli ebrei, decisi a difenderlo o morirci.
In AGOSTO il 9, i
romani abbatterono anche l'ultimo muro, penetrarono nella città e
appiccarono il fuoco al tempio, poi iniziarono il massacro. Alcuni
vollero arrendersi, ma Tito ignorò la pena dell'esilio che gli aveva
suggerito suo padre Vespasiano, li volle tutti morti. (Simone Giora il
migliore capo degli Ebrei che aveva organizzato la resistenza, venne
poi portato a Roma e ucciso ai piedi del Campidoglio nel corso del
trionfo di Tito, dove sfoggiò il bottino, che per lui erano comuni
oggetti, ma per gli ebrei erano i preziosi simboli della loro
religione: la Tavola degli Azimi e il Candelabro a sette braccia. Alcuni,
durante il massacro si rifugiarono e resistettero a Masada fino
all'aprile del 73 (ci ritorneremo poi sopra), poi furono sopraffatti, e
vista inutile ogni resistenza si suicidarono tutti. Quelli che
scamparono, fuggirono all'estero spargendo i germi dell'ingiustizia
subita. E mai un popolo così disunito... rimase così unito. Questo
cozza contro quella logica di alcuni sociologi che affermano che solo
la popolazione etnica di un territorio può far nascere una coscienza
nazionale, e non la cultura o una religione.
DIASPORA EBRAICA Ha
inizio proprio dopo gli avvenimenti di sopra, dalla "dispersione"
(migrazione - "diaspora" ) in varie parti del mondo del popolo che ha
dovuto abbandonare suo malgrado il proprio territorio e nello stesso
tempo a non essere accettati da altri popoli. Portando sempre con sé il
radicato desiderio di ritornare un giorno nella propria terra.
FONDAZIONE
DI BONN In Germania da una guarnigione lasciata ancora da DRUSO nel 10
a.C. sulle rive del Reno viene fondata in questa data la citta' di Bonn
che con la vicina Colonia presto diventerà una importante citta'
strategica. In seguito la linea di demarcazione di due mondi, quello
dei Franchi e quello dei Germani. Quindi anche la sede di frequenti
scenari di guerre (160) fino all'ultima, la Seconda Guerra Mondiale.
VANGELO
CRISTIANO in questa data viene tradizionalmente indicata la
composizione del VANGELO piu' antico che si conosca, quello di MARCO
(prima si credeva essere quella di MATTEO). Alcuni studiosi indicano
l'anno nel periodo 64-70 altri invece lo considerano posteriore al 70.
Il luogo, sempre in una forma tradizionale più che storica, viene
fissato in Roma, altri lo danno originario in Oriente o in Siria,
scritto in Aramaico. Seguiranno i Vangeli di LUCA con materiali comune
ai primi due, poi quello di GIOVANNI di molto posteriore e che si
stacca in maniera rilevante per il suo contenuto, per la sua struttura,
per la forma letteraria e per l'ambiente storico-culturale dal quale
emerge, e contribuisce all'impronta originaria della sua teologia che
ne fa ancora oggi un problema interpretativo particolare (Questione
Giovannea). Altri Vangeli sono quelli Apocrifi e sinottici. Numerosi
furono scritti dagli Ebrei, dai Nazerei, dagli Egiziani, dell'infanzia
secondo Tommaso, e altri ancora. Poche informazioni ci hanno fino ad
oggi fornito il ritrovamento dei "MANOSCRITTI DEL MAR MORTO", che sono
attualmente in restauro e finora solo 45 righe sono apparse decifrabili
con una sofisticata tecnica spaziale (laser radente) ed é quindi ancora
poca cosa per fare congetture storiche. Si ritiene che fossero di una
comunità ascetica di Qumran, una setta giudaica degli Esseni.
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