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Forum di politica, cultura, società: 2003-2004

 
ASSEDIO DI GERUSALEMME

Estensore
prof. Giovanni De Sio Cesari
www.giovannidesio.it

Anno 70 d.C.
Contesto: guerra Giudaica -Romana
Comandanti: Tito per i Romani, Giovanni e Simone per i Giudei
Consistenza degli eserciti: Romani: 40 mila uomini,
Ebrei circa 40 mila uomini,
Civili coinvolti: forse 500 mila

INTRODUZIONE

L'assedio e la conseguente distruzione di Gerusalemme e soprattutto del suo Tempio hanno avuto nella storia una risonanza enorme molto al di sopra dell'effettivo valore storico della vicenda. Infatti certamente l'episodio ebbe notevole valore politico: tramontò per sempre la possibilità della indipendenza degli Ebrei e con esso in tutto l'Oriente apparve chiaro che era impossibile sfuggire al potere dell'Impero, il comandante romano,Vespasiano diventò imperatore e dopo di lui il figlio Tito : nel foro romano fu erette un arco di trionfo che tuttora ne costituisce uno dei monumenti più insigni.

Ma in fondo si trattava di una delle tante campagne vittoriose dell'esercito romano e non certo una delle più difficili: la vittoria romana non era mai stata minimamente in dubbio. La sua risonanza pero travalica il momento storico e si proietta attraverso i millenni fino ai nostri giorni. Gerusalemme distrutta diviene un simbolo indistruttibile per Ebrei, cristiani e mussulmani

Per gli Ebrei infatti rappresenta un momento centrale della loro storia, un rimpianto mai sopito, un dolore che non può avere termine. Il "muro del pianto" (l'unico manufatto rimasto ) è il posto più sacro degli Ebrei, Il saluto che gli Ebrei si sono scambiati per tanto tempo suonava "l'altro anno a Gerusalemme!". Dalla sua distruzione infatti viene e a mancare una terra per questo popolo e inizia l'infinito errare per terre straniere sempre discriminati e con la minaccia sempre latente o incombente delle persecuzioni

Per i cristiani Gerusalemme è il luogo della crocifissione rappresenta la "civitas dei" (città di Dio), la Gerusalemme Terrena è l'immagine della Gerusalemme Celeste, si carica di infiniti significati mistici : la Crociata, la liberazione del Santo Sepolcro è stato è il mito, purtroppo sanguinoso, di molti secoli.

Per i Mussulmani da Gerusalemme, dal luogo del Tempio il Profeta Maometto è asceso al cielo e anche per essi è, sia pure in modo minore rispetto a Ebrei e cristiani, essa assume aspetti mistici e simbolici.

Quando la Gerusalemme ideale viene confusa con la Gerusalemme reale nascono implacabili guerre:all'ultima di essa stiamo ora assistendo:i negoziati fra Israeliani e Palestinesi si sono bloccati proprio sullo status di Gerusalemme e la lotta ha il carattere estremo che assume sempre quando essa si appunta non su questioni reali e particolari ma su simboli carichi di Assoluto

Vogliamo in questo articolo raccontare l'assedio (uno dei molti) e la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. che ha allargato il suo valore simbolo della città da un piccolo popolo (gli Ebrei) a tanta parte dell'umanità, ai tanti popoli cristiani e mussulmani sparsi nel mondo.

UN ASSEDIO SENZA PIETA'

L'assedio di Gerusalemme ebbe una carattere tragico e terribile,non ci fu posto per la pietà, nel leggere la sua cronaca non possiamo non avere un moto di raccapriccio per avvenimenti tanto terribili . Ma perché i Romani generalmente generosi ,repressero con tanto violenza la rivolta dei Giudei?

Cerchiamo di capirne le ragioni

La Palestina fu sempre per i Romani una provincia difficile da amministrare: gli Ebrei non si integrarono mai nel tessuto dell'impero a differenza degli altri popoli e aspettarono sempre un "messia" un inviato di Dio che li guidasse alla indipendenza:questa aspettativa escatologica rendeva gli Ebrei o meglio una parte più intransigente di essi (noi diremmo gli "integralisti") sorda a ogni valutazione realistica. Era impensabile che gli Ebrei potessero sconfiggere l'Impero Romano, impensabile che l'Impero Romano potesse permettere la indipendenza degli Ebrei: ma queste considerazione apparivano addirittura blasfeme per i movimenti "integralisti" dei Farisei, ,Zeloti, Sicari: Il Dio di Israele che aveva punito il Faraone con le dieci Piaghe d'Egitto e aveva travolto il suo esercito in fondo al mare non temeva certo i Romani. Ogni rovescio per quanto grave veniva considerato come una prova di fede da superare, ogni successo per quanto piccolo un pegno del favore della volontà divina. Quando l'uomo presume di conoscere la volontà di Dio perde la capacità di capire gli avvenimenti : due mila anni fa come adesso si entra in un circolo vizioso per cui qualunque avvenimento favorevole o sfavorevole viene interpretato come un segno divino, dappertutto e qualunque cosa succede si vedono conferme e solo conferme della propria convinzione.

I Romani non potevano permettere l'indipendenza della Palestina non tanto per l'importanza della provincia in se ma soprattutto perchè ,se avessero accettato il principio della secessione delle province, l'Impero si sarebbe presto dissolto: certamente i Romani avevano affrontato ben altre potenze per arrendesi di fronte alle modeste forze giudaiche. Essi pero non avevano alcun interesse a esasperare la guerra, non volevano,distruggere un popolo ma farlo entrare nella compagine dell'Impero: cercarono pertanto sempre sino alla fine il compromesso, mostrando moderazione e clemenza (la proverbiale clemenza di Tito)

Ma il campo avverso era dominato dai ribelli che avevano solennemente giurato davanti al loro Dio che mai si sarebbero arresi ai Romani: non potevano mancare al loro giuramento: la morte o la vittoria:e se la vittoria appariva al momento impossibile tuttavia essa sarebbe arrivata un altro giorno, quando sarebbe piaciuto al Dio SABAOTH ( Dio degli eserciti) :per il momento la morte era la soluzione agognata ,soprattutto ,come i moderni Kamikaze ,se potevano portare nella morte anche qualche nemico : dalla morte sarebbe nata la vittoria e la vita del loro popolo .

I Romani erano abituati a combattere contro nemici che una volta persa la speranza della vittoria cercavano di conservare la vita nella fuga o nella resa: bastava quindi rompere l'ordine dell'esercito nemico perché questo diventasse una massa di fuggitivi e di supplici: i Romani si mostravano in genere clementi e cosi si era formato l'Impero: debellare superbos e parcere subiectis (abbattere i forti ma risparmiare i vinti)

Ma ora i Romani combattevano contro un nemico che aveva giurato di morire,che "voleva" morire: alla fine non ebbero scelta: uccisero tutti i ribelli, distrussero il Tempio, spianarono la città fin dalle fondamenta :spezzarono così per sempre ogni volontà di resistenza e quando ,dopo 70 anni, questa parve ancora rinascere non ebbero esitazione: cacciarono definitivamente i Giudei superstiti dalla loro terra e li dispersero nel mondo.


LA RIVOLTA E LA REPRESSIONE

Nel 66 d. C. le autorità romane misero mano al tesoro del Tempio: questo fatto fu la scintilla di una rivolta generale dei Giudei che ebbe un iniziale successo e anche le forze inviate dai Romani dovettero ritirarsi. Il comando passò quindi a Domiziano che con ingenti forze marciò sulla Palestina. Fu chiaro allora che i Romani non avrebbero ceduto e che la sorte della ribellione dei Giudei era segnata: la maggior parte della Giudea si sottomise ma gli elementi più estremisti continuarono la guerra fino alla fine: Vespasiano divenne nel frattempo imperatore succedendo a Nerone e questo fatto fece interrompere la guerra per circa un anno. Essa riprese quindi sotto il comando di Tito, figlio di Vespasiano e stretto collaboratore del padre che pose nel 70 d.C. l'assedio a Gerusalemme. Poiché il fatto avvenne nel periodo della Pasqua ebraica un gran numero di pellegrini rimasero intrappolati nella città sotto assedio

GIUSEPPE FLAVIO

Durante le operazioni militari i Romani assediarono e presero la città di Jotopata. A capo della guarnigione ribelle si trovava Giuseppe (Joseph) Matatias ,membro di una illustre famiglia. I ribelli preferirono tutti uccidersi vicendevolmente ma Giuseppe ,invece, si consegnò ai Romani. Portato al cospetto di Vespasiano gli predisse che sarebbe diventato imperatore e questo gli salvò la vita. Effettivamente, poco dopo, Vespasiano divenne imperatore. Giuseppe collaborò attivamente con l'esercito romano nel tentativo di convincere i Giudei a sottomettersi ai Romani. Dopo la guerra Giuseppe venne a Roma ,divenne cliente (cioè un protetto) dell'imperatore e assunse il nome dell'imperatore ( Giuseppe Flavio, appunto). Ricevette terre e favori e scrisse una storia della guerra giudaica oltre che una storia generale degli Ebrei in Aramaico e queste opere poi tradotte in greco ci sono pervenute e costituiscono la fonte principale delle nostre conoscenze moderne su quegli avvenimenti.: per questo motivo .e non per l'importanza militare riportiamo l 'episodio


LA FAME

La maggior parte delle vittime dell'assedio non fu dovuta alle armi ma alla fame che può quindi considerarsi forse la vera protagonista dell'assedio. I Romani infatti cinsero d'assedio la città e resero impossibile ogni rifornimento. Le scorte si esaurirono presto e allora la popolazione fu presa dalla disperazione. Tutti si contesero i pochi avanzi: prima con il danaro e poi con a violenza. Lottarono fra di loro gli amici e i parenti e a volte il marito tolse il cibo dalla bocca alla moglie e la moglie al marito e quello che è ancora più terribile, i genitori ai figli. Prevalevano i più forti sui più deboli e i ribelli armati riuscivano a sostenersi perché toglievano il cibo agli inermi, Quando si trovava qualche cosa da mangiare ci si rinchiudeva subito in casa per consumarlo. Ma quando si vedevano le porte chiudere subito irrompevano gente disperata e armata che toglievano ai malcapitati i bocconi ancora in bocca. A volte i bambini restavano attaccati ai bocconi con forza e venivano alzati con essi. Molti armati poi, cominciarono a torturare terribilmente i concittadini nella speranza che essi avessero nascosto da qualche porte un poco di cibo e molti morirono cosi nei tormenti.

Si racconta che una donna impazzita per la fame uccise e cucinò il proprio figlio. Ne mangio una parte e un'altra la conservò per quelli che la tormentavano. Quando questi entrarono in casa offri loro la parte restante: questi pero dall'orrore fuggirono. La storia si riseppe anche nel campo dei Romani che furono presi da orrore e da pietà.

La gente moriva: dapprima i parenti rendevano loro qualche onore funebre ma a volte cadevano essi stessi sui loro cari morti per la debolezza e presto fu impossibile ogni cerimonia. Allora i cadaveri furono lanciati dalle mura nei fossati e Gerusalemme fu circondata da una massa di cadaveri. I ribelli nelle loro sortite erano costretti a camminare su questo orrendo tappeto.

Alla fine fu impossibile anche gettare i cadaveri alle mura e allora si stiparono nelle case e si chiusero le porte .

La maggior parte della gente così moriva orribilmente: ma i ribelli avevano giurato di non arrendersi e mantennero il loro giuramento fino alla fine, sordi e ciechi a ogni pietà


I FUGGITIVI

Molti cittadini tentarono di fuggire dalla città assediata ma pochi ebbero buona fortuna. Innanzi tutto i ribelli non lo permettevano specie all'inizio dell'assedio perché lo consideravano un tradimento

Un maggiorente della città di nome Mattias, che pure aveva aiutato i ribelli, sospettato di volere fuggire, fu immediatamente condannato a morte con i suoi tre figli: implorò che, per i suoi passati meriti ,fosse ucciso prima dei figli: non gli fu accordato: furono prima uccisi i suoi tre figli e per ultimo su di essi cadde anche il padre. Bisognava dare un esempio terribile che scoraggiasse ogni idea di resa.

In seguito pero i ribelli non si opposero più: molti fuggirono dalla città

All'inizio i Romani permettevano loro di passare le linee e allontanarsi ma in seguito sospettarono che fra di essi potessero esserci dei ribelli che poi li avrebbero colpiti alle spalle e anche vollero far capire che volevano la resa generale, unica condizione che avrebbero accettato

I Romani allora crocifissero tutti intorno alle mura della città fino a 500 al giorno: la fila dei crocifissi circonda tutta la città: "non vi era più spazio per le crocifissioni e non più croci per le vittime"

In una fase ulteriore non ci furono più crocifissioni: tuttavia i fuggitivi ebbero ancora sorte terribile: era in uso al tempo ingoiare monete d'oro e pietre preziose per nasconderle e poi recuperarle nelle feci (attualmente una pratica simile viene usata da corrieri della droga). I soldati Romani si accorsero che qualcuno dei Giudei faceva così e allora uccidevano tutti per frugare nelle loro viscere. Pochi trovarono effettivamente qualcosa ma tanti Ebrei persero la vita anche se almeno ufficialmente queste azioni erano severamente vietate .Ma, si sa nell'antichità il saccheggio era la ricompensa più importante che i soldati si aspettavano e nessun comandante accorto le poteva proibire

Alcuni furono accolti dai Romani ma ebbero pure morte orribile: si gettarono sul cibo ma morirono perché "scoppiò loro lo stomaco" dice Giuseppe Flavio:n realtà, secondo i medici moderni, per improvvisa anemia cerebrale dovuto all'improvviso afflusso del sangue allo stomaco o per mancanza di succhi gastrici dovuta alla lunga inattività delle relative ghiandole.

Verso la fine dell'assedio i Romani accettarono i fuggitivi ma per venderli come schiavi

I PRIMI ASSALTI

Gerusalemme aveva poderose fortificazioni. Era circondata da una triplice cinta di mura tranne che sul lato nord che aveva un solo muro ma che era inaccessibile per uno strapiombo. Di rinforzo alle mura vi erano più di cento torri e alcune di esse ,l'Antonia per esempio, erano vere e proprie fortezze .

Tito inviò Giuseppe per offrire la resa promettendo a tutti il perdono ma dalle mura si rispose con insulti e lanci di frecce e di pietre.

I Romani erano maestri nell'arte dell'assedio e iniziarono le operazioni. Presero tutto il legno che trovarono e cominciarono a costruire macchine di assalto e a lanciare contro i Giudei ogni sorta proiettili .I Giudei non sembrarono essere all'altezza di competere in questo con i Romani, tentarono una sortita ma furono, sia pure con difficoltà, respinti. Di notte una delle torri crollò creando grande apprensione nei Romani che credettero all'inizio che fosse opera dei nemici. Individuati un punto debole nel primo muro i Romani lo superarono entrando nei primi quartieri della città. I Romani non intendevano distruggere o infierire sulla popolazione sempre aspettandosi una resa generale dopo che avevano dimostrato l'impossibilità di una difesa. Ma i Giudei invece inaspettatamente tornano all'assalto e piombano dal secondo muro sui Romani. Questi si trovano in difficoltà nelle strette vie che non conoscono e hanno solo una stretta apertura nel primo muro per ricevere rinforzi. Riescono a stento a ricacciare i Giudei e diroccano quindi tutto il primo muro

IL DISCORSO DI GIUSEPPE

Su incarico di Tito, Giuseppe allora tenta di convincere i suoi connazionali con un lungo e appassionato discorso: mostra la impossibilità della vittoria, la potenza imbattibile dell'Impero a cui sarebbe inutile opporsi. promette per tutti clemenza e perdono solo che fossero tornati all'obbedienza di Roma. Con il loro atteggiamento i ribelli saranno essi e non i Romani i responsabile della distruzione di Gerusalemme e soprattutto del Tempio che essi dichiarano di voler difendere , li invita a avere pietà della loro nazione ,dei loro compatrioti, delle loro inutili sofferenze.Visto vano il richiamo alla ragione e alla realtà, Giuseppe passa ad argomenti di carattere religioso che spera possano fare breccia:mostra,in verità molto speciosamente, citando la Bibbia e tradizioni ebraiche, che a Dio spetta la difesa del suo popolo e non alle armi.

Tutto inutile: i ribelli hanno giurato di morire, manterranno il loro giuramento decisi a portare nella morte non solo il maggior numero possibile di nemici ma anche tutti quelli della loro gente che vorrebbero arrendersi e che ai loro occhi sono solo dei traditori che non meritano di vivere. Niente può fare loro cambiare idea: desiderano la morte ,la avranno e trascineranno in essa un piccolo numero di nemici ma una massa immensa della loro gente e per sempre faranno del loro popolo un popolo di senza terra.

Un colpo di pietra scagliato dalle mura dei Giudei tronca il discorso di Giuseppe: questi viene dato per morto ma in effetti è solo stordito e si rimette presto.


IL SECONDO MURO

Riprende con maggiore violenza l'assedio. I Romani costruiscono una grande torre di fronte alla torre- fortezza Antonia:i Giudei però costruiscono un cunicolo che dalle loro linee passa sotto la torre: fanno quindi crollare la volta e la torre romana rovina al suolo. Fanno quindi una sortita disperata che mette in rotta i Romani. I Giudei si precipitano fino agli accampamenti Romani e qui vengono a stento fermati dai reparti messi a loro guardia.

Allora i Romani decidono di costruire un vallo che circondi completamente tutta la città impedendo ogni via di salvezza e ogni sortita. Vengono abbattuti tutti gli alberi della regione e i legionari costruiscono con grande fatica un'opera immensa. Costruiscono altre potenti macchine di guerra e abbattono il secondo muro. Ma dietro di essi i Giudei hanno costruito un altro muro:i Romani lo attaccano in forze ma sono respinti. Di notte tornano pero all'assalto e questa volta ,dopo un accanito combattimento riescono a superarlo.

Ancora Giuseppe tenta di convincere i difensori ad arrendersi ma ,come sempre, inutilmente. Tito si offre di permettere una festa religiosa che doveva tenersi in quei giorni ma tutto è vano

Allora i Romani abbattono l'Antonia e preparano una ampio cammino per attaccare il Tempio e avanzano in forze.


L'INCENDIO DEL TEMPIO

A questo punto i soldati Romani cominciarono a penetrare nell'interno del recinto del Tempio. I Giudei pero riempiono una parete di ingresso di materiale infiammabile.Arretrano quindi e quando i soldati si precipitano dentro essi la incendiano. I soldati finiscono così intrappolati fra il fuoco e nemici e cadono tutti senza che i compagni possano portare loro aiuto. Finito l'incendio i Romani penetrano nel Tempio e appiccano essi il fuoco a tutto il Tempio I soldati massacrano tutti quelli che trovano senza fare alcuna distinzione fra armati e inermi ,fra uomini donne e bambini .Mucchi di cadaveri si formano e crescono man mano ai piedi degli altari, per le sacre scale rotolano corpi e colano rivoli di sangue

I Romani poi passano ai luoghi vicini e tutto incendiano e distruggono .:Tito a stento riuscì a vedere i luoghi santi prima che fossero distrutti completamente

I soldati depredarono tutti gli oggetti che trovarono che furono quindi dispersi: alcuni sacerdoti in seguito, consegnarono a Tito altri oggetti che avevano nascosti in nicchie segrete. Tutti i tesori dell'arte, frutto di secoli di lavoro, andarono irrimediabilmente persi.

Secondo Giuseppe Flavio la distruzione del Tempio fu dovuta all'esasperazione dei soldati e fu fatta contro la volontà di Tito: la cosa però è poco credibile perché l'assedio di Gerusalemme aveva anche lo scopo della distruzione di questo simbolo supremo proprio dell'ebraismo che era sempre un punto di aggregazione della insofferenza verso l'Impero. Giuseppe Flavio vuole addossare ai ribelli tutta la colpa della distruzione del Tempio per motivi di propaganda politica


L'ULTIMO ASSALTO

Tito offre ancora la resa.Ma i ribelli rispondono che hanno giurato di non arrendersi mai e dicono che possono solo accettare di uscire da Gerusalemme. La risposta pare una provocazione a Tito in effetti, però,era l'unica che potevano dare e la tragedia si avvia al suo inevitabile fine.

I Romani danno l'ultimo assalto e investono il terzo muro. La resistenza dei Giudei è debole, si disperdono. I Romani allora si precipitano all'interno del muro e uccidono senza nessuna distinzione tutti quelli che incontrano, incendiano tutti gli edifici. Gli ultimi irriducibili si nascondono nei cunicoli scavati sotto la roccia. Qui alcuni muoiono di fame, altri si uccidono.Quando alla fine i Romani ,sfidando il fetore, che ne esce, si calano all'interno troveranno solo qualcuno ancora vivo

I capi Giovanni e Simone vengono catturati vivi, forse all'ultimo momento è mancato loro il coraggio di uccidersi o forse hanno atteso troppo: vengono incatenati. In seguito saranno portati a Roma per il trionfo di Tito e dopo messi a morte secondo la crudele tradizione romana



LA FINE DI GERUSALEMME

Tutti i superstiti dell'assedio tranne quelli ai quali che all'inizio era stato permesso di andare via , rimasero in potere dei soldati Romani: questi uccisero i deboli, i vecchi e risparmiarono quelli più sani, particolarmente quelli che avevano meno di 17 anni per venderli come schiavi anche se il prezzo ormai era bassissimo.

Altri prigionieri considerati particolarmente "pregiati" furono inviati "in regalo" in tutte le città dell'oriente e molti finirono la loro vita nelle arene degli anfiteatri

Secondo Giuseppe Flavio i prigionieri furono 97.000 ma i morti in tutto l'assedio sarebbero stati un milione e centomila. La seconda cifra appare ai moderni del tutto esagerata mentre forse la prima può avvicinarsi alla realtà: non sapremo mai quante furono effettivamente le vittime.

Tito ordinò quindi che tutta Gerusalemme fosse distrutta. Tutti gli edifici ancora in piedi furono diroccati, tutto fu spianato completamente. Solo alcune torri furono risparmiate per essere usate dai soldati che sarebbero rimasti sul posto

Dice Giuseppe Flavio che un visitatore non avrebbe mai creduto che in quel posto fosse sorta una città. Secondo la predizione evangelica non restò "che pietra su pietra": in realtà non rimasero nemmeno quelle perché tutto fu portato via ed infatti non troviamo praticamente nessuna vestigia della antica città a parte un muro di contenimento della spianata del Tempio, il famoso"muro del pianto".

Nel luogo fu poi fondata una città ellenistica denominata Aelia Capitolina nella quale era interdetto l'ingresso ai Giudei. Solo con l'affermarsi del Cristianesimo Gerusalemme riprese il suo nome e il suo significato religioso e con esso anche purtroppo il tragico destino di simbolo di scontro fra le civiltà.

Estensore
prof. Giovanni De Sio Cesari
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La nascita del sionismo. Molti gruppi ebraici del nostro continente pensavano di realizzare uno stato libero,non confessionale,per il riscatto del proprio popolo, seguendo un cammino non molto diverso da quello del nostro Risorgimento.

Il resoconto del primo Congresso sionista[1],che si aprì il 29 Agosto 1897 a Basilea, fu molto esiguo e si focalizzò prevalentemente su alcune informazioni di carattere organizzativo,come la nomina del presidente,Theodor Herzl,redattore della “Neue Freie Presse”,e l’approvazione di un ringraziamento al sultano per l’ospitalità che accordava agli israeliti nel suo impero[2].Gli oratori principali furono lo stesso Herzl e Max Nordau[3],anch'egli scrittore,che all'inizio della sua attività non si era interessato a questioni ebraiche.Dopo molte discussioni,il Congresso fissò gli scopi e gli intenti del movimento,in quella formula passata alla storia come“ Programma di Basilea”:il Sionismo aspirava alla creazione di una sede nazionale garantita dal diritto pubblico,per il popolo ebraico in Palestina.I mezzi per raggiungere quella meta erano così fissati:1)il ripopolamento della Palestina da parte di contadini,operai
ed artigiani ebrei, in modo corrispondente allo scopo;2)l'organizzazione e il collegamento di tutti gli ebrei per mezzo di istituzioni adatte,locali e generali,in armonia con le leggi di ciascun Paese;3)il rafforzamento del sentimento e della coscienza nazionale;4)passi preliminari onde ottenere l'assenso del governo ottomano.Al di là del programma di Basilea,fu stabilito di convocare di quando in quando altri congressi,affinché il popolo ebraico potesse avere un costante punto di riferimento nel difficile cammino verso la fondazione del nuovo Stato.In occasione del secondo congresso avvenuto il 30 agosto 1898,il giornale si rifece ad una nota dell’agenzia Stefani.Il breve articolo focalizzava la sua attenzione prevalentemente sulla volontà dei sionisti di acquistare il territorio della Palestina

 

 

dal sultano,che non era alieno dal concedere la vendita,ma i capitali necessari non erano ancora raccolti.[4]Il giornale non seguì attentamente il terzo e quarto congresso,tuttavia pubblicò delle note d’agenzia per tenere informato il lettore[5].
Nel 1901 il quotidiano rese nota la risposta negativa della Camera alla domanda del governo ottomano a diversi paesi europei,fra cui l’Italia,per impedire l’emigrazione ebraica[6].È da mettere in risalto che per la prima volta nel 1903 il “Corriere della Sera” inviò un corrispondente, che si firmava J,a seguire i lavori del congresso.Il giornalista dimostrava di avere una discreta conoscenza della storia ebraica recente, esprimendo simpatia e comprensione per le aspirazioni degli israeliti aderenti al movimento.
In quell’anno le proposte di Herzl si fecero più pressanti e si indirizzarono soprattutto verso zone come l’Uganda,il Mozambico,il Congo,coinvolgendo quindi le autorità inglesi,portoghesi e belghe.Il giornale informò in una nota di agenzia dell’abbandono del progetto di colonizzazione di El Arish a causa delle difficoltà di irrigazione[7].Theodor Herzl affermava che i negoziati con l’Inghilterra non avevano dato degli effetti positivi,per cui il progetto del Sinai doveva essere abbandonato; tuttavia l’Inghilterra avrebbe messo a disposizione l’Africa occidentale,a patto che, sia pure amministrata dagli israeliti,tale porzione di territorio rimanesse comunque sotto la sovranità inglese.Negli articoli inerenti le proposte dell’Inghilterra,sia i dispacci dell’agenzia Stefani che il corrispondente alternano Africa occidentale e orientale,nonostante la proposta inglese riguardasse l’Uganda.Nella stessa seduta Herzl notava come sia il sultano sia l’imperatore tedesco Guglielmo avessero espresso la loro simpatia per il movimento sionista.È interessante notare che i progetti e le iniziative sioniste continuavano a trovare dissenziente la maggioranza della comunità ebraica berlinese;infatti un membro del congresso,Davis Triesch[8], mosse vivaci critiche ai dirigenti del congresso stesso.Una parte dei lavori fu dedicata alla discussione del rapporto sulla gestione del comitato d’azione,organo deputato alle iniziative diplomatiche ed economiche per la realizzazione del progetto[9].Molti oratori si mostrarono insoddisfatti della linea di condotta del comitato d’azione,soprattutto per ciò che riguardava le trattative diplomatiche condotte nel completo silenzio.Il corrispondente descriveva l’inizio dei lavori con tono pieno di favore e di fiducia,e sottolineava l’impressione ricevuta che i partecipanti mostrassero aperta solidarietà per gli ebrei oppressi[10].Il numero dei congressisti era particolarmente elevato,circa settecento delegati di associazioni ebraiche e un numero molto maggiore di semplici partecipanti,appartenenti alle più disparate nazionalità.Le discussioni più accese riguardavano l’attuazione del progetto sionista;erano particolarmente importanti i contrasti sulla sede del futuro Stato ebraico;ma-come notava il corrispondente-l’asprezza delle discussioni rivelava la vitalità delle idee e l’immenso interesse con cui gli ebrei seguivano la questione sionista[11].Prima di riuscire a parlare con Herzl e Nordau,il giornalista si soffermò sulla nascita del movimento,definendolo come il più antico e il più nuovo ideale del disperso popolo di Israele dal momento in cui gli israeliti avevano lasciato la loro terra d’origine.Nell’articolo si parla anche di sionismo sentimentale,inteso come aspirazione istintiva del popolo di Israele ad una tradizione di “razza” e di religione, che,per i suoi caratteri non prettamente pratici,poteva avere una parvenza di sogno e di desiderio inappagabile.Tuttavia,si era anche verificata una spinta alla azione pratica,grazie all’appoggio economico e politico fornito agli ebrei dell’Europa orientale,in condizioni assai disagiate e costretti all’esilio.La costituzione della patria ebraica non necessariamente doveva comportare l’emigrazione di tutti gli ebrei europei e d’oltreoceano,poiché in alcune nazioni il popolo ebreo viveva abbastanza liberamente e costituiva parte integrante delle società.Le rivendicazioni del movimento sionista riguardavano essenzialmente gli ebrei orientali,cioè,diceva esagerando,i nove decimi del popolo ebraico;israeliti sottoposti a maggiori
vessazioni politiche ed economiche e per i quali la nuova patria avrebbe rappresentato la possibilità di una nuova vita.Per gli ebrei italiani,ad esempio,“la nuova Sion”avrebbe rappresentato una patria puramente religiosa.Il giornalista esprimeva un’opinione molto comune,secondo la quale il sionismo era rivolto soprattutto agli israeliti di paesi come la Russia,in cui erano sottoposti alle peggiori persecuzioni,frutto di arretratezza culturale,dispotismo politico,scarsa modernizzazione.
Prima della nascita del movimento sionista vi furono vari tentativi di fondare moderne colonie ebraiche in Palestina ad opera di ricchi ebrei,fra i quali il barone Rothschild,Goldschmith,Hirsch.Così nel Paese nacquero alcune comunità agricole ebraiche.Dal 1897,nei congressi sionisti fu sempre discusso il progetto di una fondazione di una colonia ebraica con amministrazione di tipo europeo ma sotto sovranità turca.A partire da quella data,Herzl si era incontrato con il sultano turco -che peraltro non assecondò le richieste ebraiche-e successivamente con il governo russo,che si dichiarò favorevole all’impresa,dato che il progetto avrebbe favorito l’emigrazione degli ebrei russi.Infine-data la difficoltà di ottenere il territorio dal sultano-Herzl si rivolse all’Inghilterra,che accolse favorevolmente la proposta,per vagliare altre possibili soluzioni[12].Una prima dislocazione del nuovo Stato ebraico fu ipotizzata nella penisola del Sinai,ma successivamente questa offerta fu respinta per la mancanza di acqua nella zona;l’Inghilterra aveva poi suggerito l’Africa orientale nell’area dei laghi equatoriali.In ogni caso,l’iniziativa coloniale aveva bisogno di una solida base economica,realizzata attraverso tre istituzioni.Il giornalista si mostrava stupito del fatto che,nonostante la presenza di ebrei benestanti,il capitale in possesso del movimento sionista fosse abbastanza esiguo, e osservava come la maggiore parte degli israeliti ricchi considerasse in maniera
negativa il sionismo,perché esso avrebbe portato ad un aumento dell’antisemitismo e ad ulteriori difficoltà nella assimilazione con altre razze[13].La proposta inglese dell’Africa orientale provocò vari dissensi ed un’ala del congresso insisté per il rifiuto dell’offerta,poiché si giudicava con più favore la soluzione della Palestina,anche se realizzabile solo a lungo termine;i vantaggi della proposta furono invece esaltati da Herzl e Nordau.Herzl era favorevole alla costituzione del“Regno di Gerusalemme” nell’Africa occidentale,come si deduce da una sua lettera che il barone Montefiore, presidente della fondazione sionista inglese,pubblicò alla fine del dicembre del 1903. Il giornale ne diede notizia tuttavia non rese nota la lettera del capo dei sionisti[14].Ma i dissensi non mancavano,il giornale segnalò la lettera al“Times”di un importante personaggio pubblico inglese,il quale, come ebreo,biasimava energicamente le decisioni del congresso sionista di Basilea riguardo al progetto di una colonia nell’Africa Australe.[15]Nello stesso mese si tenne a Londra una assemblea di sionisti,reduci dal congresso di Basilea.I delegati riferirono del progetto di colonizzazione dell’Africa orientale,affermando l’importanza del progetto come primo passo verso la ricostituzione del regno di Sion.[16]L’assemblea espresse il suo ringraziamento all’Inghilterra per l’appoggio concesso al movimento.
La proposta e il progetto di una fondazione di una colonia ebraica nell’Africa orientale trovavano dissenzienti proprio coloro che avrebbero dovuto in teoria trarne il maggior giovamento,ovvero gli ebrei polacchi e russi costretti nelle loro patrie a subire periodiche violenze a carattere antisemita.Il“Times”,che aveva seguito i lavori dell’assemblea,giudicava il progetto irrealizzabile,ed esprimeva l’opinione che il ritiro degli ebrei in massa in una colonia,sia in Uganda che in Palestina,dovesse nuocere alla loro “razza”,perché la parte più eletta di essi avrebbe perso i vantaggi di cui godeva fra le nazioni civili.[17]Al giornale inglese giunsero molte lettere di persone che abitavano in quei territori oggetto della proposta,nelle quali si invitava il governo inglese a ritirare l’offerta,giudicando impossibile il successo di una colonia ebraica.
Il “Corriere della Sera” pubblicò un altro articolo sulla possibile concessione di un territorio agli israeliti da parte dell’Inghilterra[18].Il servizio,non firmato,faceva riferimento al romanzo della scrittrice George Eliot[19],Daniel Deronda,che aveva dato come meta al suo protagonista la fondazione del nuovo regno d’Israele[20]. Le aspettative della scrittrice,in quel periodo duramente criticate,avrebbero potuto essere confermate dal fatto che il governo inglese,se non aveva ancora accettato la proposta,stava comunque vagliando il progetto.La fondazione di una colonia prettamente ebraica avrebbe aperto, in caso di successo,la strada verso la realizzazione di un sogno secolare della “razza” dispersa[21],mentre in caso di insuccesso,una simile iniziativa avrebbe comportato la condanna definitiva di ogni altro progetto analogo e più ampio.Il giornalista notava come sia la stampa sia il governo inglesi si accingessero ad esaminare la questione con molta serenità e senza pregiudizi,anche se si doveva porre attenzione ai commenti dei più alti esponenti inglesi dell’ebraismo,che giudicavano il progetto troppo ardito.Anche ammettendo che vi fosse un’emigrazione dai centri orientali,non comprendevano infatti come fosse pensabile la fondazione di una colonia in un Paese selvaggio.Gli israeliti inglesi prendevano anche in considerazione la pericolosità di immettere colonie estere nei territori dell’Impero britannico.Per quanto concerneva l’aspetto economico,venivano indicate altre difficoltà:un’emigrazione di massa avrebbe comportato spese ingenti per il mantenimento almeno nei primi anni e per la dotazione di attrezzatura adatta.
Gli ebrei inglesi avevano assecondato per un certo periodo le idee del movimento sionista;anche Beniamin Disraeli sembra che avesse pensato alla possibilità di insediare i suoi correligionari[22] in Palestina,ma era proprio la sua vicenda a rendere gli israeliti inglesi scettici di fronte a tale progetto.Disraeli fece cadere le barriere che si ergevano tra le libertà britanniche e i ghetti,e la cittadinanza inglese era considerata dagli ebrei inglesi più preziosa di una autonomia politica,si erano aperte loro molteplici carriere prima interdette.Il progetto aveva avuto una viva accoglienza a Londra,dove vi era un quartiere ebraico povero,formato in prevalenza
da russi e polacchi.Il governo inglese ritenne opportuno ritirare la sua proposta di concedere un territorio nell’Africa occidentale ai sionisti;nel riportare la notizia non vengono menzionati i motivi della ritrattazione,probabilmente ciò fu dovuto alle polemiche che causò l’offerta ed alle difficoltà da affrontare per l’eventuale colonia sionista in un ambiente così diverso da quello europeo[23].Poiché in ambito sionista si continuò a discutere dell’offerta inglese,è molto probabile che la notizia non corrispondesse al vero.Il corrispondente,che seguiva i lavori del congresso, sottolineava l’enorme importanza di questo dibattito,notando come un popolo che voleva accrescere e formare dalle fondamenta la dignità della sua vita collettiva era degno di richiamare l’attenzione universale.[24] Successivamente il giornalista ebbe la possibilità di intervistare Herzl,il quale precisò che la presa in considerazione della proposta del ministro delle colonie inglesi Chamberlain non implicava necessariamente l’abbandono del progetto iniziale;anzi,il comitato continuava a lavorare per condurlo a buon termine,ma sarebbe stato un grave errore opporre un netto e deciso rifiuto alla proposta inglese,negando così ad un cospicuo gruppo di ebrei la possibilità di fuggire da nuove sofferenze e privazioni. Herzl continuava parlando dell’emigrazione ebraica,diretta soprattutto verso l’Inghilterra e gli Stati Uniti,con la consapevolezza che questo fenomeno non sarebbe durato a lungo,poiché entrambi i Paesi erano sul punto di approvare leggi limitative dell’immigrazione.Herzl pensava che,dopo il rifiuto del sultano,l’appoggio russo alle richieste del congresso fosse da prendere in considerazione,auspicando la creazione di uno Stato autonomo entro l’impero ottomano.Si complimentò per l’interesse mostrato dal “Corriere della Sera” ai lavori del congresso,che avrebbe certamente contribuito a procacciare al sionismo nuove simpatie[25].A poche ore dal colloquio con il dottor Herzl,il corrispondente assistette alla votazione per l’affidamento a una commissione tecnica del compito di valutare il territorio offerto dall’Inghilterra,e notò che gli ebrei occidentali si erano espressi favorevolmente, mentre quelli orientali avevano votato contro.Successivamente il corrispondente ebbe un colloquio con Nordau,che lavorava instancabilmente al congresso presiedendo le sedute,intervenendo come oratore e come consigliere.Egli, nell’intervista,si soffermò particolarmente sulle sofferenze che per duemila anni il popolo ebraico aveva dovuto subire,privato sia dei diritti civili che di quelli umani ed esposto al disprezzo generale.Nordau spiegò che l’opposizione degli ebrei orientali alla proposta inglese derivava dal fatto che la loro spiritualità era molto forte- erano più mistici che pratici-ed in loro prevaleva il sentimento religioso,mentre gli altri desideravano migliorare le loro condizioni sociali[26].Per Nordau vi era l’emergere di ambizioni personali sul popolo che avrebbe potuto vivere una vita politica indipendente.Egli era persuaso che l’ora del “Risorgimento” era arrivata anche per il suo popolo,e il termine italiano lo induceva a paragonare la nostra storia con quella degli ebrei,poiché anche il popolo italiano aveva sofferto per secoli la dominazione straniera,nonostante le sue illustre origini.La differenza tra i due popoli era individuata da Nordau nel fatto che il popolo ebraico aveva sopportato sofferenze maggiori e per una superiore causa.Con la fondazione dello Stato ebraico,certamente i problemi non sarebbero finiti,ma probabilmente aumentati.A questo proposito,il corrispondente notava che di certo il popolo ebraico non avrebbe fatto risorgere il tempio di Salomone,“re dei rovi ardenti e dalle vette nebulose dei monti,non avrebbe più parlato Dio ai duci del popolo eletto”,ma avrebbe necessariamente conseguito una vita migliore,più sicura e,per quanto possibile,più serena[27].
Il congresso sionista si chiuse il 30 agosto 1903 con un discorso di Herzl,ascoltato in religioso silenzio da tutto il congresso;il giornalista notò l’entusiasmo dei partecipanti alla fine dei lavori:consapevoli di aver trovato,dopo lunghe sofferenze, una nuova ragione di vita[28].La proposta di insediamento in Uganda degli israeliti provocò reazioni di protesta in questo Paese e,secondo il “Times”,sarebbe stato opportuno invece per gli ebrei assimilarsi completamente nelle nazioni in cui già si trovavano[29].L’ex governatore dell’Uganda affermò che il progetto di insediamento era pericoloso,attuabile solamente in territori molto estesi-come ad esempio il Brasile-e con un clima meno ostile di quello equatoriale africano; icordò tentativi analoghi con esiti decisamente negativi quando i coloni ebrei si erano trasformati in predoni[30].Sempre nello stesso anno il giornale dedicò particolare attenzione ad un attentato nei confronti di Max Nordau[31].Un giovane studente israelita,Chaim- Selik Louran,si era introdotto ad un festa organizzata dai sionisti a Parigi e aveva tentato di ferire lo scrittore con svariati colpi di pistola.Gli altri invitati,accortisi subito delle intenzioni del giovane,lo avevano immobilizzato in attesa dell’arrivo delle forze dell’ordine.Alla polizia il giovane aveva spiegato i motivi del folle gesto; non conosceva personalmente il leader sionista,ma era rimasto negativamente colpito dall’indifferenza da lui mostrata durante il primo congresso verso la futura sede dello Stato ebraico[32].Dopo qualche giorno lo scrittore ebbe modo di parlare con i giornalisti accorsi nella sua casa a Parigi[33].A suo parere, molti ebrei russi erano fermamente convinti che la fondazione di uno Stato in Africa significasse la rinuncia definitiva all’insediamento in Palestina,da costoro i sionisti erano trattati come traditori.Egli personalmente non aveva direttamente proposto il progetto della colonia africana,ma aveva espresso il parere che fosse studiato con attenzione.
Prima dell’attentato,durante la festa,Nordau aveva espresso le sue opinioni su coloro che più avevano in odio i progetti discussi nei congressi sionisti,gli ebrei rivoluzionari[34].Lo scrittore intendeva le correnti socialiste più estreme.I progetti rivoluzionari di questi ebrei non erano riconosciuti dal sionismo,che non presupponeva delle rivendicazioni di carattere sociale.Oltre a queste “frange” contrarie,da cui bisognava guardarsi,altri “nemici” della causa erano indicati dallo scrittore in uomini come Reinach e Rothschild,che predicavano un tipo d’assimilazione che in realtà era una fusione,cioè la scomparsa della comunità ebraica.
Il “Corriere della Sera” seguì con attenzione anche lo svolgimento del Congresso del 1905,pubblicando una serie di articoli che davano indicazioni sullo svolgimento dei lavori nelle diverse giornate.Nel primo,apparso sul numero del 26 luglio,si comunicava l'apertura del Congresso per il giorno seguente e il tema principale discusso:l'accettazione o il rifiuto dell'offerta di un vastissimo territorio nell'Uganda, per un esperimento di colonizzazione ebraica,fatta dal Governo Britannico[35].Il giorno seguente venne data notizia dell'inaugurazione del Congresso e della costituzione ufficiale dell'ufficio di presidenza[36].Sullo stesso numero si legge un interessante articolo riguardante i dissensi all’interno dell’ebraismo sul sionismo[37]. L’articolo era ripreso da una corrispondenza del “Journal des Debats”.Nella prima parte si delineava l’influenza che il sionismo aveva nei paesi europei e negli Stati Uniti,dove aveva ottenuto parecchie adesioni.Il giornalista lo definiva come un rinnovamento del nazionalismo israelita tradizionale,intendendo la consapevolezza da parte degli ebrei di costituire una nazione.Il sionismo era combattuto dall’internazionale operaia al pari degli altri nazionalismi.L’associazione rivoluzionaria israelita più importante in Russia e in Polonia, il Bund[38],ritenendo che gli ebrei dovessero conquistare in ogni Paese la loro autonomia locale,
combatteva il sionismo perché lo considerava come un moto borghese,reazionario e clericale,tendente a trattare coi governi e a favorire l’esodo degli israeliti in Palestina
.Il giornalista notava che il Bund aveva perso una parte dei suoi aderenti passati al sionismo.Un’altra opposizione al movimento veniva dall’alta classe israelita:questa,assimilatasi completamente nei paesi dove risiedeva,trovava imbarazzante che una parte dell’ebraismo proclamasse che le masse ebree,anche se emancipate dalle leggi civili,fossero assolutamente refrattarie ad ogni assimilazione.Le più potenti famiglie ebraiche avevano potuto,grazie alla loro influenza e alle loro possibilità economiche,imparentarsi con le maggiori casate aristocratiche cattoliche[39].Secondo il giornale francese,il sionismo era quindi destinato prettamente alle masse operaie ebree,come possibilità di avere un’educazione,un orgoglio,una speranza che le sollevasse dalla loro degradazione,persuadendole di far parte di una “razza” e di una comunità invincibile,chiamandole a ricostituire la loro autorità e a riconquistare l’indipendenza sul suolo nativo.L'argomento principale continuava ad essere la proposta inglese dell'Uganda,di cui si presentava un rapporto sulle condizioni del territorio,che non apparivano particolarmente favorevoli.Si apriva allora un'accesa discussione tra quelli che volevano accettare un'altra proposta inglese,poiché il territorio proposto era riconosciuto inadatto alla colonizzazione[40],e quelli favorevoli solo alla scelta della Palestina.Nel numero del 31 luglio un articolo trattava la risoluzione stabilita sulla questione Uganda:il Congresso manteneva fermamente i principii del suo programma,tendenti a stabilire una patria per tutti gli Israeliti in Palestina e respingeva qualsiasi colonizzazione fuori della Palestina o dei paesi vicini. Ringraziava il Governo inglese per la sua offerta di un territorio nell'Africa Orientale e dopo aver preso visione dei rapporti dichiarava l'affare chiuso e costatava con gran soddisfazione l'approvazione data dall'Inghilterra alla soluzione della questione sionista,sperando che il Governo inglese accordasse i suoi buoni uffici ovunque l'applicazione del programma di Basilea fosse stato possibile.[41]La risoluzione fu approvata a gran maggioranza,anche se il gruppo socialista abbandonava l'assemblea per protesta.Nonostante la relazione presentata al congresso giudicasse non idonea l’Africa Orientale,nell’agosto dell’anno successivo il giornale diede notizia che duemila israeliti avevano votato una risoluzione in cui si affermava che lo stabilimento di una colonia israelita nell’Africa orientale britannica era il solo mezzo per procurare la libertà ai correligionari russi[42].Nella stessa seduta fu letta una dichiarazione dell’alto commissario inglese del Sud-Africa Lord Selborne,in cui esprimeva la sua indignazione per i fatti verificatisi in Russia(pogrom degli anni 1903-1906),ribadendo altresì la convinzione di ammettere la futura colonia israelita fra i paesi membri dell’impero britannico.La sensibilità mostrata verso le tematiche ebraiche può considerarsi uno dei segni dell’ispirazione liberale, che animava il moderatismo conservatore del “Corriere della Sera”.

Ali
FONTI STORICHE

[i]Anteriormente il primo congresso, il giornale pubblicò due articoli sul movimento sionista. Entrambi dimostrano una scarsa conoscenza della sua storia e delle varie correnti dell’ebraismo. In ogni modo, assumono molta importanza data la loro pubblicazione in prima pagina. Cfr. Il sionismo, “Corriere della Sera”, 31 marzo-1 aprile 1896.

Contro il sionismo, “ Corriere della Sera”, 9-10 luglio 1897.

[ii]Gli israeliti in cerca di una patria. “Corriere della Sera”, 31 agosto-1 settembre 1897.

[iii] Pseudonimo di Simon Maximilian Suedfeld nato a Budapest nel 1849 da una famiglia ungherese di origine ebraica. Fu un tipico rappresentante del positivismo, sottoponendo ad aspra critica la società e la cultura della fine del XIX secolo. Furono assai lette le sue opere in lingua tedesca: Die Konventionellen Lugen der Kulturmenscheit (1883), Paradoxe (1885). Come romanzi scrisse Entartung (1892), Das Recth zu lieben (1894).

Cfr. AA. VV., Encyclopaedia Judaica, op. cit., pp. 1211-1214.

[iv]Il secondo congresso dei sionisti, ”Corriere della Sera”, 30 agosto-1 settembre 1898.

[v] Il congresso dei sionisti .” Corriere della Sera”, 16-17 agosto 1899.

[vi] Gli israeliti in Palestina, “Corriere della Sera”, 5-6 maggio 1901.

L’impero ottomano si era reso conto dall’inizio del carattere del movimento sionista, allarmandosi per le possibili conseguenze sul piano politico, ed era ufficialmente contrario ai progetti sionisti. Questo non era dovuto a sentimenti antisemiti, ma a calcoli politici. Alla fine dell’ottocento l’impero doveva affrontare all’interno movimenti nazionalisti e secessionisti delle popolazioni soggette e all’esterno l’interferenza della grandi potenze europee. Se l’insediamento in Palestina avesse avuto successo, avrebbe creato una nuova minoranza con tendenze autonomiste, come succedeva in Armenia e in Macedonia. Inoltre, la maggioranza degli ebrei aveva la protezione delle potenze europee e godeva di privilegi extraterritoriali, quindi probabilmente l’interferenza degli altri Stati sull’impero ottomano sarebbe aumentata. Per opporsi all’insediamento sionista, le autorità agirono in due modi: proibirono l’immigrazione ebraica in Palestina e il trasferimento di terre agli ebrei non ottomani. Questi divieti di fatto non sortirono effetti: il divieto riguardava solo la residenza permanente in Palestina, e gli ebrei poterono sempre entrarvi liberamente per affari o per pellegrinaggio. La corruzione e la confusione burocratica, la complicità di venditori e intermediari arabi e soprattutto l’interferenza dei consoli stranieri a protezione dei diritti dei loro concittadini invalidarono anche le norme sulla vendita della terra. I consoli avevano il pieno diritto di intervenire per la protezione dei propri connazionali: il calcolo politico delle ingerenze sollecitò persino le società più apertamente antisemite, come quella Russa, ad adoperarsi in favore dei propri sudditi ebrei, che così godettero in Palestina della protezione che non avevano ottenuto in patria. Il governo ottomano si spinse fino all’invito alle potenze straniere di impedire l’emigrazione ebraica dai loro paesi, ottenendo ovviamente delle risposte negative, come questa del governo italiano. Nel 1901 le autorità, per tentare di regolamentare la futura immigrazione, concessero un’amnistia che dava diritti permanenti di residenza agli immigrati illegali che già vi risiedevano da lungo tempo. Cfr. Lewis Bernard, Semiti e antisemiti: indagine su un conflitto e un pregiudizio, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 185-187.

[vii] Il IV congresso dei sionisti.” Corriere della Sera”, 25 agosto 1903.

[viii] Davis Trietsch (1870-1935). Leader sionista e scrittore. Nato a Dresda, studiò a Berlino e a New York, approfondendo particolarmente i problemi dell’immigrazione. Si oppose alla politica di Theodor Herzl, insistendo per trovare praticamente un territorio quanto più vicino alla Palestina. Egli cercò invano di convincere il movimento ad adottare la sua idea di una “grande Palestina” che comprendesse la Palestina, Cipro ed El- Arish.

Cfr. AA.VV., Encyclopaedia Judaica, op. cit., pp. 1394- 1395.

[ix]Il congresso sionista, “ Corriere della Sera”, 25 agosto 1903.

[x]Il congresso di una razza, “ Corriere della Sera”, 26 agosto 1903.

[xi] Il regno di Sion, “ Corriere della Sera”, 27 agosto 1903.

[xii]Ibidem.

[xiii]Ibidem.

[xiv] Una lettera del capo dei sionisti, “Corriere della Sera”, 23 dicembre 1903.

[xv] La campagna contro il sionismo, “ Corriere della Sera”, 5 settembre 1903.

[xvi] Assemblea di sionisti, “ Corriere della Sera”, 8 settembre 1903.

[xvii]Ibidem.

[xviii]Intorno alla colonia anglo- sionista, “Corriere della Sera”, 23 settembre 1903.

[xix]Mary Ann Evans. Cfr. Mayer Hans, I Diversi, Milano, Garzanti, 1992, pp. 91-97.

[xx]Il romanzo a cui si riferisce il corrispondente è Daniel Deronda, pubblicato nel 1876; un giovane è educato in Inghilterra da un parente che gli nasconde la sua identità ebraica, alla fine ritorna all’ebraismo sposando una giovane ebrea francese. Presso gli ebrei inglesi il protagonista del romanzo rappresentò una possibilità di identificazione, che gli avrebbe portati ad una maggiore integrazione. Per quanto riguardava i non ebrei essi provavano una sorta di disagio e di inferiorità verso le alte qualità intellettuali e morali del protagonista. Cfr. Mayer H., op. cit., pp. 375-380.

[xxi] Intorno alla colonia anglo- sionista, “Corriere della Sera”, 23 settembre 1903.

[xxii] Invero, Disraeli si era convertito molto giovane all’anglicanesimo e quindi il politico inglese aveva soltanto delle origini ebraiche.

[xxiii]L’Inghilterra rifiuta il territorio ai sionisti, “Corriere della Sera”, 29 dicembre 1903.

[xxiv]Ibidem.

[xxv]Per la libertà e per la Palestina, “ Corriere della Sera”, 18 agosto 1903.

[xxvi]Un colloquio con Max Nordau, “ Corriere della Sera”, 29 agosto 1903.

[xxvii]Ibidem.

[xxviii]La chiusura del congresso sionista. Cerimonia solenne, “Corriere della Sera”, 30 agosto 1903.

[xxix]In Uganda non vogliono gli ebrei, “ Corriere della Sera”, 30 agosto 1903.

[xxx]L’Uganda contro il sionismo, “Corriere della Sera”, 1 settembre 1903.

[xxxi] Tentato assassinio di Max Nordau durante una festa di sionisti, “Corriere della Sera”, 20 dicembre 1903.

[xxxii] L’attentato di un sionista contro Marx Nordau. L’interrogatorio di Chain Selik Louran. “ Corriere della Sera”, 21 dicembre 1903.

[xxxiii] L’attentato di un sionista contro Marx Nordau. L’interrogatorio di Chain Selik Louran. “ Corriere della Sera”, 21 dicembre 1903.

[xxxiv] Marx Nordau e la questione semita, “ Corriere della Sera”, 24 dicembre 1903.

[xxxv]Il congresso sionista a Basilea, “Corriere della Sera”, 26 luglio 1905.

[xxxvi]Il congresso sionista, “Corriere della Sera”, 27 luglio 1905.

[xxxvii]Il sionismo e l’opposizione dell’alta classe israelita, “Corriere della Sera”, 27 luglio 1905.

[xxxviii] Con il termine tedesco Bund, che significa associazione, si è soliti indicare in forma abbreviata il movimento socialista ebraico Algemeiner Jidisher Arbeterbund in Lite, Poilen un Russland (espressione jiddisch che significa Federazione generale dei lavoratori ebrei in Lituania, Polonia e Russia). Il Bund fu fondato a Vilna nel 1897 soprattutto come sindacato operaio, ma in seguito svolse una funzione di vero e proprio movimento politico. Tenace avversario del sionismo, si batteva per la salvaguardia della lingua jiddisch e per i diritti degli operai ebrei nell’Europa orientale. Mentre in Russia, nel 1921, confluì nel partito bolscevico, in Polonia continuò a esercitare un importante e autonomo ruolo fino all’invasione nazista.

Cfr. Frankel Jonathan, Gli ebrei russi tra socialismo e nazionalismo (1862-1917), Torino, Einaudi, 1990, pp. 268-393.

[xxxix] Esempio di questa situazione ne I Moncalvo di Enrico Castelnuovo, pubblicato nel 1908.

[xl]Il congresso sionista, “ Corriere della Sera”, 28 luglio 1905.

[xli]Il congresso dei sionisti, “Corriere della Sera”, 31 luglio 1905.

[xlii]Per una colonia israelita in Sud- Africa, “ Corriere della Sera”, 2 agosto 1905.
Ali
Origine storica del sionismo

Agli inizi del XIX secolo apparvero i primi fautori di una nuova tradizione che si esprimeva sia in una critica della società contemporanea sia nel progetto di una società futura perfetta;già nel decennio 1830-40,per essa era stato coniato il nome di socialismo.Le radici di questo nuovo entusiasmo si potevano trovare nel pensiero del 18° secolo,nella sua umanità e nel suo secolarismo,nella sua fiducia, nella possibilità dell'edificazione umana e sociale e,in alcuni scrittori illuministi,nella sua fede sulla perfettibilità umana,e nella rivoluzione francese.Tuttavia, la rivoluzione francese appartiene alla preistoria del socialismo;la sua storia vera e propria ha origine dalla nuova realtà economica europea.Non basterà riferirsi alla rivoluzione industriale e spiegarsi tutto in questa chiave.Il problema allora più attuale era quello dell'espansione dell'economia preindustriale.
La fondazione dei grandi partiti socialisti copre gli ultimi 30 anni del secolo:ebbe inizio in Germania e finì in Gran Bretagna,con l'affermazione del Partito Laburista, avvenuta tra il 1900 e il 1906,sebbene quest'ultimo non sia diventato un partito dichiaratamente socialista fino al 1918.Questa politicizzazione del socialismo ebbe profondi effetti sulla politica sociale dei Paesi europei e sul socialismo stesso.In un paese dopo l'altro furono adottati vasti programmi legislativi di previdenza sociale, regolamenti di fabbrica,indennità per gli operai,assicurazioni sulla salute,sulla vecchiaia e sulla disoccupazione.Tra i vari movimenti,sorti dopo la pubblicazione del Manifesto di Marx ed Engels,se ne formarono anche alcuni per gli operai ebrei.Nel 1897 viene fondata a Vilna la"Unione Generale degli Operai Ebrei,Lituani,Polacchi e Russi",comunemente designata Bund.Questo partito riunisce i diversi nuclei operai ebrei che si erano venuti costituendo nell'Impero zarista fin dagli inizi degli anni 90. Dal 1910 in poi il partito riconosce ufficialmente l'Yiddish come lingua nazionale ebraica.Dopo la fallita rivoluzione del 1905(quando davanti al Palazzo dello Zar i soldati avevano fatto una strage di civili manifestanti)il Bund si indebolì notevolmente,tanto che gli iscritti passarono da un numero di 40.000 a 500.Il Bund, pur opponendosi ferocemente al sionismo,scivola gradualmente su posizioni sempre più nazionalistiche sotto l'urto del risveglio nazionale dei Paesi dell'Europa Orientale. Il Bund si scisse in seguito all'emigrazione massiccia degli operai ebrei soprattutto verso gli Stati Uniti.La sezione russa,fortemente rinvigorita con la rivoluzione di ottobre,confluirà nel partito comunista nel 1920.In seguito le posizioni politiche del Bund cambieranno in favore di un programma nazionalista,questo perchè gli ebrei dell'Europa Orientale ed in special modo gli ebrei russi,erano oggetto di persecuzioni (pogrom) che di certo non li facevano sentire parte integrante della società e non li facevano produrre (vedi i tessitori ebrei di Belstok ammessi nell'industria dai lavoratori polacchi solo in numero limitato)in modo sufficiente per rivendicare dei diritti.
Dopo gli anni di isolamento del Medio Evo abbiamo già detto che gli ebrei cominciarono a cercare un'emancipazione,una via che li portasse a contatto con il resto del mondo,al di là delle porte del Ghetto.Si iniziò allora un processo di assimilazione motivato dal desiderio di contatto con le società circostanti,processo difficile per gli Ebrei,i quali non solo dovevano fare uno sforzo per uscire dallo stato di prigionia culturale nel quale si erano ridotti,ma dovevano anche affrontare l'ostilità e l'insofferenza opposte dalle altre popolazioni nei loro confronti.Sopratutto
in Russia sia ebbero reazioni violente a questo processo,ma l'emancipazione avvenne lo stesso,anche nelle assurde condizioni cui gli Ebrei erano stati portati. L'assimilazione non favorì però lo spegnersi dell'antisemitismo,che avrebbe potuto essere vinto solo rinunciando a tutto ciò che differenziava il popolo ebraico dagli altri:la storia dimostra che l'antisemitismo ha radici molto profonde,che non permetterebbero mai l'assimilazione totale del popolo ebraico.La risposta a questa intolleranza fu data dal sionismo:quando un uomo ha una terra dove tornare,che gli copre le spalle,che lo protegge con la sua sola esistenza,è più difficile che egli venga perseguitato.Il sionismo è stato,se così si può definire,non tanto un movimento politico ma una forza spirituale che ha ridato agli Ebrei una volontà non più conservatrice ma creatrice,una nuova dignità.Esso è prima che la tendenza del popolo a tornare nella sua antica sede,la tendenza della civiltà ebraica a ritrovare quell'intima unità che la diaspora aveva spezzato e disperso.Questo sentimento nazionale aveva il potere di coinvolgere tutti gli strati della popolazione,non era il risultato,come accadde per altri movimenti politici,di elucubrazioni intellettuali,ma proprio l'espressione dell'anima popolare.Con questo tipo di ideologia vengono a coincidere per gli Ebrei,l'unità etnica e psichica che fino ad allora avevano rese ambigue le loro posizioni all'interno della società moderna,ricrea la figura dell'individuo valorizzandolo e rivoluziona le teoria antisemite.
Il sionismo,con il suo tentativo di normalizzazione del popolo,con la creazione di uno status civicus,svolgeva un ruolo fondamentale,compiva una vera e propria rivoluzione spirituale,rivalutava i valori fondamentali della civiltà ebraica.Ciò che ha dato al sionismo una capacità realizzatrice è stato il chalutzismo,il movimento pionieristico ebraico.Esso è l'espressione concretizzata del popolo ebraico della volontà di riconquistarsi da solo la propria indipendenza e la propria dignità.Infatti,in pochi anni il sionismo,e per lui il chalutzismo,hanno saputo creare un vero e proprio proletariato ebraico legato alla terra e alle macchine,ma allo stesso tempo appassionato cultore della vita e dello spirito.Questo spirito dissipò la soffocante atmosfera del ghetto,che l'emancipazione non era riuscita a dissipare.I principi fondamentali del chalutzismo sono:

1) aliyà

2) lavoro organizzato su basi collettive

3) riconquista della lingua

Che l'aliyà,l'immigrazione in Israele con tutti i mezzi,quelli cosiddetti legali e quelli cosiddetti illegali,sia il principio fondamentale è logico.Un sionismo realizzatore,quale è il chalutzismo,non può concentrarsi su platoniche affermazioni;una volta riconquistata la coscienza nazionale,la via è una sola:raggiungere la terra d'Israele e contribuire con tutte le proprie forze alla rinascita del Paese.Qui entra in gioco il secondo principio:non basta l'aliyà,ci vuole anche e soprattutto la volontà di ricostruire,per questo i chalutzim si autoeducano ai valori del lavoro.E' questa la grande rivoluzione creata nell'animo dell'ebreo dal sionismo chalutzistico.I pionieri della prima ondata di colonizzazione ebraica sono originari della Romania e della Russia.Entusiasti e pieni di buona volontà,essi ignorano purtroppo le nozioni più elementari dell'agricoltura.Scampati ai pogrom,non si aspettano le difficoltà che le attendono.Le condizioni geografiche e climatiche sono penose,le autorità sono ostili,per di più gli immigrati devono difendersi dai briganti.Iniziato in questo condizioni,l'insediamento sionista si trasforma rapidamente in una specie di catastrofe.I coloni furono costretti a chiedere aiuti finanziari dall'estero già il primo anno.Questi aiuti vennero soprattutto dal Barone Rotschild che non era proprio un filantropo e intendeva investire convenientemente il suo danaro:inviò ai pionieri una amministrazione burocratica incaricata di irregimentare le colonie.Questo,dopo poco tempo suscitò una rivolta da parte degli "amministrati" che erano costretti a subire le prepotenze dei tirannelli del Barone.Questa organizzazione provocò,non solo frequenti rivolte ma anche l'imborghesimento degli idealisti,che mandarono i propri figli in Francia a studiare,sfruttando la mano d'opera araba a buon mercato!
Dal 1900 al 1914 la colonizzazione sionista prosegue con tre direttrici:insediamento di nuove colonie agricole orientate verso la cerealicoltura;i primi passi di una colonizzazione pianificata della stessa organizzazione sionista;sviluppo degli aranceti ad opera dei capitalisti ebrei privati.In tutti e tre i casi la colonizzazione sionista implica un investimento di capitali notevole.Seguendo la logica del profitto, è chiaro che gli agricoltori ebrei arrivarono a sfruttare sistematicamente la mano d'opera agricola locale.Gli immigrati ebrei che sbarcarono in Terra Santa nel 1904,si accorsero che le colonie ebraiche erano tali solo di nome in quanto su poche decine di ebrei vi erano centinaia di arabi.E' proprio nel 1904 che ha inizio una nuova ondata di immigrazione (la seconda);essa si intensifica dopo il fallimento della rivoluzione russa,che porta al sionismo numerosi giovani ebrei.I giovani pionieri sionisti,profondamente influenzati dal populismo russo e da Aaron David Gordon, predicavano il ritorno alla terra.Erano giovani che appartenevano alla piccola borghesia,costretti a lasciare l'Europa Orientale per assenza di sbocchi nei loro paesi di origine:la classe operaia ebraica in Palestina presenta ancora nel 1927 la straordinaria particolarità di essere composta da ex studenti dell'università o degli Istituto Tecnici.Per rendere accettabile questa situazione,essi crearono la parola d'ordine Kibush avodà:conquista del lavoro.Questo motto porta alla formazione di una classe operaia ebraica in Palestina,che si afferma in quasi tutti i settori, escludendo gli arabi e volgendosi a proteggere l'occupazione degli immigrati.
Quando l'immigrazione sionista si riversò in Palestina all'inizio del secolo,non fu possibile ignorare il fatto che il Paese era già popolato:come ogni società colonizzatrice,i coloni sionisti dovettero definire una politica ben precisa nei confronti delle popolazioni indigene.A questo punto bisogna riconoscere che la colonizzazione fu molto diversa da tutte le altre:i coloni ebrei non volevano solo sfruttare le ricchezze del Paese o del lavoro degli indigeni ma volevano creare nel Paese stesso uno stato nazionale,un nuovo stato.Di conseguenza gli arabi non erano destinati ad essere sfruttati,ma ad essere completamente sostituiti.
E' giustificabile la colonizzazione ebraica?E' giustificabile che dei coloni pretendano di sostituirsi alla popolazione autoctona?E' logico che gli Ebrei,perchè sulla Bibbia c'è scritto che Israele è la loro terra,tornino dopo migliaia di anni e rivendichino dei diritti?Gli Ebrei che fecero l'aliyà alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX,
lasciavano una terra che non li voleva,una popolazione che li perseguitava,una povertà e una umiliazione quasi continue,una prigionia forzata nei ghetti ed erano certamente passati da una condizione peggiore ad una migliore.L'aliyà oggi è un problema molto più grande per coloro che hanno la convinzione che sia giusto farla, perchè oggi si tratta di lasciare una famiglia,di rinunciare ad una lingua ad una certa agiatezza economica alla facilità di vita;si tratta di ricominciare in un altro paese,con condizioni climatiche molto differenti,con gente diversa:senza la spinta di un forte antisemitismo è molto difficile fare questo passo.Parallelamente a questa colonizzazione fanno la loro comparsa le prime organizzazioni operaie,in Europa si sviluppano i primi nuclei del Partito Poalè Sion,fondato in Austria ed Ungheria nel 1903.Questo partito sionista-socialista diventa in breve tempo di portata mondiale mentre in Palestina sorge l'Apoel Hatzair,che non ha aspirazioni vere e proprie ma rispecchia le aspirazioni dei giovani immigrati in cerca di lavoro.La fine della prima guerra mondiale coincide con la scomparsa dell'Impero Zarista e di quello Austro-Ungarico.Nasce nell'Europa Orientale una serie di stati nazionali dove vivono fitte popolazioni ebraiche e la Polonia è la più importante fra essi.
Gli Ebrei sperano in una nuova libertà ed uguaglianza, ma i regimi al potere sono reazionari,semi-militaristi,appoggiano una politica antisemita che boicotta economicamente e socialmente gli Ebrei e che spesso sconfina in pogrom.Con la terza aliyà arrivarono i primi immigrati della H.H.Essi presero parte attiva al movimento e si presentarono alle elezioni del primo Congresso con una lista unitaria chiamata "Nuovi Immigrati",assieme ai gruppi Hechalutz.La maggior parte del pensiero del H.H. in quei giorni fu dedicata al miglioramento dell'uomo,l'educazione di personalità che fossero in grado di lottare per la liberazione dalla falsa moralità del mondo borghese e di costruire una società fondata sui kibbutzim,nella quale i rapporti tra gli individui e la società sarebbero stati migliori.H.H. si sviluppò durante il grande risveglio nazionale e sociale che seguì la I Guerra Mondiale e la Rivoluzione d'Ottobre,e le speranze di pace e di progresso che agitavano gli animi di tutto il mondo dopo la guerra.E' in questo periodo che fioriscono la filosofia e la letteratura,nasce la psicologia e si afferma l'ideologia marxista:non si può dire che l'H.H. rimase avulso dai rivolgimenti ideologici.Infatti,pur avendo non ancora subito totalmente l'influenza del pensiero marxista,si possono già trovare delle relazioni con esso,relazioni che in seguito costituiranno un punto di partenza teorico generale ed una guida nella svolta della direzione come è oggi.Anche se molti di questi principi coincidevano con quelli dell'Apoel Hatzair,i coloni della seconda aliyà, che così tanto si erano affidati alla concezione di lavoro ed avevano esaltato la Terra Santa,entrarono in conflitto con le nuove esigenze e le nuove aspirazioni,se vogliamo meno fanatiche,della terza aliyà.Il conflitto creò una scissione:gli shomrim si dispersero e con essi l'unità del movimento sorgente di forza e di collettivismo.
Una volta iniziata l'attività lavorativa gli immigrati cozzarono contro i conflitti reali tra lavoratore e datore di lavoro;a questo punto non fu più possibile limitare l'attenzione a problemi interni della società kibutzistica,data la gran massa dei lavoratori e le varie tendenze politiche.L'H.H. approdava ad una visione socialista e a conclusioni marxiste,in quanto i giovani,alla ricerca delle ragioni delle cose,erano meno inclini ad accogliere la versi ne riformistica del compromesso piuttosto che quella rivoluzionaria.Il sionismo pionieristico era dunque un risultato diretto delle origini e delle esperienze di educazione collettiva del movimento.Alla metà degli anni venti,si vengono a delineare le caratteristiche del particolare aspetto ideologico dell'H.H.:

1) la sintesi di sionismo pionieristico e di socialismo rivoluzionario

2) la sintesi di costruzione e lotta di classe

L'H.H. presentò,con l'appoggio del Gdud Avodà la lista dei kibbutzim per le elezioni al terzo Congresso della Histadrut(organo che avrebbe dovuto occuparsi di tutte le attività riguardanti la colonizzazione,l'immigrazione,l'assorbimento e la preparazione degli immigrati).Uno dei punti fondamentali del terzo Congresso era proprio la distinzione delle funzioni in seno all'Histadrut:infatti si sosteneva che la concentrazione delle funzioni apportava un danno alla lotta di classe ed alla lotta sindacale,unici compiti di un'organizzazione operaia quale l'Histadrut.Gli ideali fondamentali dell'H.H. portarono ad una nuova via israeliana al socialismo,il che non manco di suscitare vaste polemiche a destra e a sinistra.Proprio sulla linea di tali ideali si fondò nel 1927 l'organizzazione kibutzistica del Kibbutz Artzì,che si dichiarò teoricamente e politicamente distinto all'interno dell'Histadrut,sottolineando le sue funzioni di centro di educazione.L'etichetta di sionismo socialista e di kibbutzismo diede vita ai termini "sionismo pionieristico e "socialismo rivoluzionario",per il fatto che questi termini sono simili ma non identici ci si deve ricondurre alla teoria delle fasi.Nella prima fase l'elemento sionista è quello dominante,inclusi gli imperativi della solidarietà nazionale e simili,anche se la lotta di classe è naturalmente già iniziata. Nella seconda fase, che si ha nel periodo dell'accentuazione della lotta di classe e della lotta per un governo socialista dei lavoratori.Con la quinta aliyà le fila dell'H.H. si allargarono notevolmente ma dovettero lottare contro l'azione riformistica dell'Hadut Avodà e dell'Apoel Hatzair.La risposta dell'H.H. alla richiesta di questi due Partiti di unificazione inclusiva,fu affermata in linea di principio,ma insisteva sull'esistenza di certe condizioni programmatiche e sulla necessità di concedere un'ampia autonomia sia educativa che teorica ai kibbutzim
deborah
Quale è il significato del termine Sion?
Sion - una collina di Gerusalemme - è uno dei nomi attraverso i quali gli ebrei si sono sempre riferiti alla loro madrepatria, la Terra d'Israele (Eretz Israel).
Sion è il termine usato dalla Bibbia sia per la Terra d'Israele, che per la sua capitale nazionale e spirituale, Gerusalemme.

Quale è il legame tra popolo ebraico e Sion?
Sion è il luogo di nascita della nazione ebraica. Qui la nazione è stata politicamente sovrana, o, almeno, autonoma sul piano culturale, per 1500 anni, durante i quali ha creato e sviluppato quella che è nata come la civiltà ebraica.
Sion ha avuto una popolazione ebraica permanente per migliaia di anni. È il solo posto sulla terra abitato oggi dalla stessa nazione, con la stessa religione e cultura e con la stessa lingua di coloro che vi abitarono 3000 anni fa.
Per molti secoli la maggioranza del popolo ebraico ha vissuto dispersa in vari paesi di tutto il mondo. Eppure potenti vincoli spirituali e nazionali - espressi principalmente nella liturgia e nella letteratura - hanno costantemente legato queste comunità ebraiche con la ancestrale madrepatria.
Dopo secoli di declino ed abbandono sotto diverse occupazioni straniere, Sion sta nuovamente fiorendo, con il grande aumento della popolazione ebraica degli ultimi 10 anni, e con la restaurazione della sua indipendenza politica nel 1948.

Quale è il significato del termine sionismo?

Il sionismo è il movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico.
Il sionismo è l'espressione moderna del sogno, vecchio di 1900 anni, di ricostruire Israele, dopo che Roma aveva messo fine all'indipendenza ebraica in Terra d'israele.
Il sionismo è la convinzione che il popolo ebraico abbia diritto alla libertà ed all'indipendenza politica nella sua madrepatria.
Il sionismo è il continuo sforzo per sviluppare ed assicurare l'esistenza nazionale del popolo ebraico in Terra d'Israele attraverso mezzi politici.
Il sionismo riconosce che il popolo ebraico è caratterizzato da taluni valori comuni legati alla religione, alla cultura, al linguaggio, alla storia e ad aspirazioni ideali basilari.

Tutti gli ebrei sono sionisti?
Gli ebrei sono sionisti nel senso che il ritorno del popolo ebraico alla sua madrepatria è un principio fondamentale dell'ebraismo.
La maggior parte degli ebrei sostengono lo Stato d'Israele - la realizzazione basilare del sionismo.
Alcuni ebrei, tuttavia, non accettano il sionismo quale movimento politico.

Come è diventato il sionismo un movimento politico organizzato?

Il sionismo si è sviluppato in movimento politico organizzato in un periodo caratterizzato dal crescente riconoscimento dei movimenti nazionali in Europa, quando gli ebrei sentirono che i tempi erano maturi per la riaffermazione dell'identità nazionale ebraica.
Il sionismo, quale movimento, fu ulteriormente spronato dalla crescita dell'antisemitismo in Europa nell'ultima parte del diciannovesimo secolo.
Il sionismo si organizzò formalmente quale movimento nazionale nel 1897, con l'appello alla restaurazione di un focolare nazionale ebraico.

Gli ebrei della diaspora sostengono il sionismo?

Gli ebrei della diaspora, nel complesso, sostengono il sionismo in un modo o nell'altro, attraverso la partecipazione a varie attività del movimento stesso od attraverso il sostegno pubblico o finanziario ad Israele.
Alcuni ebrei della diaspora concretizzano il loro credo sionista immigrando in Terra d'Israele per partecipare all'impresa collettiva di ricostruzione della nazione.
Gli ebrei della diaspora, associati o meno ad attività sioniste, sono stati arricchiti culturalmente, socialmente e spiritualmente dal reinsediamento di Israele nella sua madrepatria ancestrale.

Il sionismo ha esaurito il suo compito con la rifondazione dello stato d'Israele?

La rifondazione dello stato d'Israele ha rappresentato la realizzazione del maggior elemento dell'ideologia sionista: la restaurazione della sovranità ebraica in Terra d'Israele.
L'ideale sionista, tuttavia, include aspetti che sono ancora in via di realizzazione. Esso aspira a:
- una Israele in pace con i suoi vicini
- una Israele pienamente indipendente sotto il profilo economico e politico
- garantire il benessere sociale ed economico di tutti i cittadini e le comunità residenti in Israele.

Antisionismo ed antisemitismo sono la stessa cosa?
V'è una pericolosa convergenza fra antisionismo ed antisemitismo, sebbene i due concetti non siano sempre identici.
L'antisionismo è indirizzato oggi contro la realizzazione politica del sionismo - lo stato d'Israele
L'antisionismo è anche divenuto lo slogan moderno dietro cui si cela l'antisemitismo di vecchio stampo, ed ha consentito agli antisemiti di nascondere con una comoda copertura il loro odio nei confronti degli ebrei.
L'antisionismo è un tipo di antisemitismo nel senso che cerca di negare al popolo ebraico il diritto alla autoespressione nazionale.

tratto da:
http://www.litos.it/hhitalia/DOMANDE.html

Maurizio Rotaris

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Ali
Theodor (Binyamin Ze’ev)Herzl (1860-1904)

In Basle I founded the Jewish state . . . Maybe in five years,certainly in fifty, everyone will realize it.

Theodor (Binyamin Ze’ev) Herzl,the visionary of Zionism,was born in Budapest in 1860.He was educated in the spirit of the German­-Jewish Enlightenment of the period,learning to appreciate secular culture.In 1878 the family moved to Vienna, and in 1884 Herzl was awarded a doctorate of law from the University of Vienna. He became a writer,a playwright and a journalist.The Paris correspondent of the influential liberal Vienna newspaper Neue Freie Presse was none other than Theodor Herzl.
Herzl first encountered the anti-Semitism that would shape his life and the fate of the Jews in the twentieth century while studying at the University of Vienna (1882).Later,during his stay in Paris as a journalist,he was brought face-to-face with the problem.At the time,he regarded the Jewish problem as a social issue and wrote a drama,The Ghetto (1894),in which assimilation and conversion are rejected as solutions.He hoped that The Ghetto would lead to debate and ultimately to a solution,based on mutual tolerance and respect between Christians and Jews.

The Dreyfus Affair

In 1894,Captain Alfred Dreyfus,a Jewish officer in the French army,was unjustly accused of treason,mainly because of the prevailing anti-Semitic atmosphere.Herzl witnessed mobs shouting “Death to the Jews” in France,the home of the French Revolution,and resolved that there was only one solution:the mass immigration of Jews to a land that they could call their own.Thus,the Dreyfus Case became one of the determinants in the genesis of Political Zionism.Herzl concluded that anti-Semitism was a stable and immutable factor in human society,which assimilation did not solve.He mulled over the idea of Jewish sovereignty,and,despite ridicule from Jewish leaders,published Der Judenstaat (The Jewish State, 1896).Herzl argued that the essence of the Jewish problem was not individual but national.He declared that the Jews could gain acceptance in the world only if they ceased being a national anomaly.The Jews are one people,he said,and their plight could be transformed into a positive force by the establishment of a Jewish state with the consent of the great powers.He saw the Jewish question as an international political question to be dealt with in the arena of international politics.
Herzl proposed a practical program for collecting funds from Jews around the world by a company to be owned by stockholders,which would work toward the practical realization of this goal.(This organization,when it was eventually formed,was called the Zionist Organization.)He saw the future state as a model social state,basing
his ideas on the European model of the time,of a modern enlightened society.It would be neutral and peace-seeking,and of a secular nature.
In his Zionist novel,Altneuland (Old New Land, 1902),Herzl pictured the future Jewish state as a socialist utopia.He envisioned a new society that was to rise in the Land of Israel on a cooperative basis utilizing science and technology in the development of the Land.He included detailed ideas about how he saw the future state's political structure,immigration,fund­raising,diplomatic relations,social laws and relations between religion and the state.In Altneuland,the Jewish state was foreseen as a pluralist,advanced society,a “light unto the nations.”This book had a great impact on the Jews of the time and became a symbol of the Zionist vision in the Land of Israel.

A Movement Is Started

Herzl's ideas were met with enthusiasm by the Jewish masses in Eastern Europe, although Jewish leaders were less ardent.Herzl appealed to wealthy Jews such as Baron Hirsch and Baron Rothschild,to join the national Zionist movement,but in vain.He then appealed to the people,and the result was the convening of the First Zionist Congress in Basle,Switzerland,on August 29­31,1897.The Congress was the first interterritorial gathering of Jews on a national and secular basis.Here the delegates adopted the Basle Program,the program of the Zionist movement,and declared “Zionism seeks to establish a home for the Jewish people in Palestine secured under public law.”At the Congress the World Zionist Organization was established as the political arm of the Jewish people,and Herzl was elected its first president.Herzl convened six Zionist Congresses between 1897 and 1902.It was here that the tools for Zionist activism were forged:Otzar Hityashvut Hayehudim; the Jewish National Fund and the movement's newspaper Die Welt.After the First Zionist Congress,the movement met yearly at an international Zionist Congress.In 1936 the center of the Zionist movement was transferred to Jerusalem.

Uganda Isn't Zion

Herzl saw the need for encouragement by the great powers of the aims of the Jewish people in the Land.Thus,he traveled to the Land of Israel and Istanbul in 1898 to meet with Kaiser Wilhelm II of Germany and the Sultan of the Ottoman Empire.When these efforts proved fruitless,he turned to Great Britain,and met with Joseph Chamberlain,the British colonial secretary and others.The only concrete offer he received from the British was the proposal of a Jewish autonomous region in east Africa,in Uganda.The 1903 Kishinev pogrom and the difficult state of Russian Jewry,witnessed firsthand by Herzl during a visit to Russia,had a profound effect on him.He requested that the Russian government assist the Zionist Movement to transfer Jews from Russia to Eretz Yisrael.At the Sixth Zionist Congres (1903),Herzl proposed the British Uganda Program as a temporary refuge for Jews in Russia in immediate danger.While Herzl made it clear that this program would not affect the ultimate aim of Zionism,a Jewish entity in the Land of Israel,
the proposal aroused a storm at the Congress and nearly led to a split in the Zionist movement.The Uganda Program was finally rejected by the Zionist movement at the Seventh Zionist Congress in 1905.
Herzl died in Vienna in 1904,of pneumonia and a weak heart overworked by his incessant efforts on behalf of Zionism.By then the movement had found its place on the world political map.In 1949,Herzl's remains were brought to Israel and reinterred on Mount Herzl in Jerusalem.Herzl's books Der Judenstaat (“The Jewish State”) and Altneuland (“Old New Land”),his plays and articles have been published frequently and translated into many languages.His name has been commemorated in the Herzl Forests at Ben Shemen and Hulda,the world's first Hebrew gymnasium,
“Herzlia”,which was established in Tel Aviv,the town of Herzliya in the Sharon and neighborhoods and streets in many Israeli towns and cities.Herzl coined the phrase
“If you will,it is no fairytale,”which became the motto of the Zionist movement. Although at the time no one could have imagined it,Zionism led,only fifty years later,to the establishment of the independent State of Israel.
Ali
David Ben-Gurion(1886-1973)

David Ben-Gurion was born in Plonsk,Poland in 1886 and educated in a Hebrew school established by his father,an ardent Zionist.By his mid-teens,Ben-Gurion led a Zionist youth group,"Ezra,"whose members spoke only Hebrew among themselves.
At the age of 18 he became a teacher in a Warsaw Jewish school and joined the Socialist-Zionist group "Poalei Zion" (Workers of Zion).Arriving in the Land of Israel in 1906,he became involved in the creation of the first agricultural workers' commune (which evolved into the Kvutzah and finally the Kibbutz),and helped establish the Jewish self-defense group,“Hashomer” (The Watchman).
Following the outbreak of World War I he was deported by the Ottoman authorities with Yitzhak Ben-Zvi (later,Israel's second President).Ben-Gurion traveled on behalf of the Socialist-Zionist cause to New York,where he met and married Paula Monbesz,a fellow Poalei Zion activist.He returned to Israel in the uniform of the Jewish Legion,created as a unit in the British Army by Zionist leader Vladimir Jabotinsky.
Ben-Gurion was a founder of the trade unions,and,in particular,the national federation,the Histadrut,which he dominated from the early 1920's.He also served as the Histadrut's representative in the World Zionist Organization and Jewish Agency,and was elected chairman of both organizations in 1935.Having led the struggle to establish the State of Israel in May 1948,Ben-Gurion became Prime Minister and Defense Minister.As Premier,he oversaw the establishment of the state's institutions.He presided over various national projects aimed at the rapid development of the country and its population:“Operation Magic Carpet,”the airlift of Jews from Arab countries,the construction of the national water carrier,rural development projects and the establishment of new towns and cities.In particular, he called for pioneering settlement in outlying areas,especially in the Negev.
In late 1953,Ben-Gurion left the government and retired to Kibbutz Sde Boker in the Negev.He returned to political life,after the Knesset elections in 1955,assuming the post of Defense Minister and later the premiership.Continuing as Prime Minister, Ben-Gurion supported the establishment of relations with West Germany,despite bitter opposition.He also led the country during the 1956 Sinai campaign,in which Israeli forces temporarily secured the Sinai peninsula.In June 1963 Ben-Gurion resigned as Prime Minister,citing “personal reasons.”Levi Eshkol took over the posts of Prime Minister and Defense Minister.But Ben-Gurion remained active politically, with a rivalry developing between him and Eshkol.In June 1965,the Mapai Party split,with Ben-Gurion establishing Rafi (List of Israeli Workers),which won ten Knesset seats in the following election.In 1968,Rafi rejoined Mapai and Ahdut Ha'avoda,to form the Israel Labor Party,while Ben-Gurion formed a new party, Hareshima Hamamlachtit (The State List),which won four Knesset seats in the 1969 elections.In June 1970, Ben-Gurion retired from political life and returned to Sde Boker where he passed away in 1973.
Ali
Ze'ev (Vladimir) Jabotinsky(1880-1940)

Ze'ev (Vladimir) Jabotinsky was born on October 18,1880,in the city of Odessa, Russia.At the age of 18,he left for Italy and Switzerland to study law,and served as a correspondent for several well­known Russian newspapers.His reports and articles were widely read and soon became recognized as one of the brilliant exponents of Russian journalism.All his reports and articles were signed with his literary pseudonym “Altalena.”The pogrom against the Jews of Kishinev in 1903 spurred Jabotinsky to undertake Zionist activity.He organized self­defense units and fought for Jewish minority rights in Russia.Jabotinsky was elected as a delegate to the 6th Zionist Congress,the last in which Theodore Herzl participated.During this period,Jabotinsky was active in spreading the Hebrew language and culture throughout Russia,and the establishment of the Hebrew University in Jerusalem.
Following the outbreak of World War I in 1914,he left for the front as a newspaper correspondent.While in Alexandria,he met Joseph Trumpeldor and,from then onward,worked for the establishment of the Jewish Legion.Jabotinsky was not interested in the creation of an auxiliary unit,and,upon reaching London,took energetic steps until the final confirmation was received in August 1917 of the creation of the first Jewish Legion.Jabotinsky also served as a Lieutenant and participated in the assault of the Jordan River crossings and the conquest of E­salt in the campaign to free Eretz Israel (Palestine) from Turkish rule.During Passover in 1920,Jabotinsky stood at the head of the Haganah in Jerusalem against Arab riots and was condemned by the British Mandatory Government to 15 years hard labor. Following the public outcry against the verdict,he received amnesty and was released from Acre prison.
From 1921 onwards,Jabotinsky was a member of the Zionist Executive and one of the founders of “Keren Hayesod.”After a series of policy disagreement on the direction of the Zionist Movement,he seceded and,in 1925,established the Union of Zionists ­Revisionists (Hatzohar)which called for the immediate establishment of a Jewish State.In 1923,the youth movement Betar (Brith Joseph Trumpeldor)was created.The new youth movement aimed at educating its members with a military and nationalistic spirit and Jabotinsky stood at its head.During the years 1928­-1929
he resided in Palestine and edited the Hebrew daily Doar Hayom while,at the same time,undertaking increased political activity.In 1929,he left the country on a lectour
tour after which the British administration denied him re­entry into the country.From then onwards he lived in the Diaspora until his death.In 1935,after the Zionist Executive rejected his political program and refused to clearly define that “the aim of Zionism was the establishment of a Jewish state,”Jabotinsky decided to resign from the Zionist Movement.He founded the New Zionist Organization (N.Z.O) to conduct independent political activity for free immigration and the establishment of a Jewish State.In 1937,the Irgun Tzvai Leumi (I.Z.L) became the military arm of the Jabotinsky movement and he became its commander.The three bodies headed by Jabotinsky,The New Zionist Organization (N.Z.O),the Betar youth movement and the Irgun Tzvai Leumi (I.Z.L) were three extensions of the same movement. The New Zionist Organization was the political arm that maintained contacts with governments and other political factors,Betar educated the youth of the Diaspora for the liberation and building of Eretz Israel and the Irgun Tzvai Leumi (I.Z.L) was the military arm that fought against the enemies of the Zionist enterprise.These bodies cooperated in the organization of Af Al Pi illegal immigration.Within this framework,more than 40 ships sailed from European ports bringing to Eretz Israel tens of thousands of illegal immigrants.
Throughout this period of intense political activity, abotinsky continued to write poetry,novels,short stories and articles on politics,social and economic problems. From among his literary creations,The Jewish Legion,Prelude to Delilah (Samson) and The Five,served as an inspiration for Jews of the Diaspora.Jabotinsky was fluent in many languages and translated into Hebrew some of the best-known classics of world literature.During 1939-­1940,Jabotinsky was active in Britain and the United States in the hope of establishing a Jewish army to fight side by side with the Allies against Nazi Germany.On August 4,1940,while visiting the Betar camp in New York,he suffered a massive heart­attack.In his will he requested that his remains may only be interred in Eretz Israel at the express order of the Hebrew Government of the Jewish State that shall arise.His will was fulfilled by Levi Eshkol, Israel's third Prime Minister.In 1964, Jabotinsky's remains and those of his wife Jeanne were reinterred on Mount Herzl in Jerusalem.
deborah
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Ali
Cento anni fa moriva il giornalista che creò il sionismo per combattere l'antisemitismo.Herzl,un sogno chiamato Israele.Inventò lo Stato degli ebrei combattendo da solo contro tutti.(a cura di Avraham B.Jehoshua)

FINO a che punto i processi storici dipendono dalla personalità di questo o di quel personaggio?È una domanda che molti si sono posti e le risposte sono varie e complesse.C'è chi attribuisce un'enorme importanza alle personalità storiche,senza le quali determinati eventi non avrebbero avuto luogo,e c'è chi le ritiene un elemento importante ma non indispensabile allo sviluppo dei processi storici.La seconda guerra mondiale si sarebbe svolta in modo diverso se a capo del governo britannico non ci fosse stato un personaggio così assertivo e combattente come Winston Churchill ma qualcuno di più conciliante e irresoluto?Secondo il mio punto di vista,per quanto il governo Churchill fosse importante nella conduzione della guerra,le forze alleate avrebbero sconfitto in ogni caso la Germania e la vittoria sarebbe stata assicurata.Se Charles de Gaulle non avesse gestito con perizia il ritiro della Francia dall'Algeria,quest'ultima sarebbe ancora sotto il suo controllo?
Ovviamente no.Dubito però che lo stato di Israele esisterebbe oggi se non fosse comparso negli anni ottanta del diciannovesimo secolo un giovane intellettuale di nome Theodor Herzl che non solo concepì la creazione di uno stato ebraico,ma si sforzò di realizzarla,ponendo le basi organizzative per un nuovo movimento:il movimento sionista.È vero,forse col tempo altri personaggi sarebbero apparsi sulla scena della storia per proclamare l'urgenza di normalizzare la situazione del popolo ebreo con la creazione di un suo stato sovrano.Ma quell'unica occasione storica, quello spiraglio apertosi tra il colonialismo turco e quello inglese all'inizio del XX°
secolo e prima del risveglio nazionale palestinese,sarebbe stata mancata se Herzl non fosse esistito.E tutte le encomiabili idee di altri intellettuali sarebbero rimaste solo sulla carta.
Molte biografie sono state scritte su Herzl e non voglio ripetere qui la storia della sua breve vita(1860-1904).Al di là di ciò che fece per il suo popolo egli rappresenta un esempio universale della capacità di un unico intellettuale di cambiare i processi storici.Herzl creò il movimento sionista dal nulla,senza basarsi su alcuna organizzazione o senza essere legato ad alcuna comunità.È quasi impossibile che un simile evento si verifichi nel mondo moderno,tanto incatenato a schemi globali complessi.Ma può ancora dimostrare la forza del singolo.Qual era il segreto di questo
giovane giornalista che all'età di trentaquattro anni trovò il perno su cui appoggiarsi per cambiare la storia ebraica?Herzl era un ebreo laico e assimilato.Conosceva profondamente il mondo dei gentili e ciò gli permise di diagnosticare con precisa e profonda comprensione un fenomeno patologico che si andava rafforzando tra il mondo ebreo e quello gentile.Una comprensione che altri ebrei,chiusi nel loro mondo,
rabbini,leader di comunità o altri ancora,non possedevano.E così,in seguito alla falsa accusa di tradimento nei confronti di Alfred Dreyfuss,ufficiale ebreo assimilato,
e della reazione antisemita che si scatenò in molti ambienti della Parigi e della Francia del 1894,Herzl capì che i movimenti nazionalisti,laici e moderni,ancora rappresentavano un pericolo per il popolo ebreo molto più grande delle teologie del cristianesimo.Questo perché la figura dell'ebreo assimilato,personaggio dai contorni poco chiari,può risvegliare nella mente dei gentili fantasie omicide,in grado di provocare grandi tragedie.Non bastava perciò educare i gentili europei a valori di liberalità e tolleranza ma era necessario allontanare gli ebrei da un'interazione pericolosa con loro e normalizzarne la situazione mediante la creazione di una realtà ebraica territoriale e sovrana.Non solo quindi continuare a educare il non ebreo ma soprattutto cambiare l'ebreo.Herzl capì,e questo va detto a suo merito,che la questione ebraica,o come veniva definita dai sionisti stessi,il «problema» ebraico,
non riguardava solo gli israeliti ma il mondo intero.
L'antisemitismo infatti rappresenta una tragedia anche per i popoli in mezzo ai quali gli ebrei vivono,e un chiaro esempio di ciò lo si è avuto durante la seconda guerra mondiale,quando la Germania portò su di sé un’immane catastrofe per via della sua ossessione antisemita.Il mondo doveva dunque collaborare con gli ebrei per raggiungere uno scopo grande e comune:correggere il problema ebraico e trasformare gli israeliti da popolo disperso e esiliato in una nazione sovrana con un proprio territorio.Da qui l'impegno di Herzl-nel corso dei pochi anni in cui servì come leader del movimento sionista-nel cercare di ottenere l'approvazione della comunità internazionale a un insediamento ebraico in Palestina e nel porre il problema ebraico nell'agenda europea.Egli corse dal kaiser tedesco al sultano turco,da esponenti politici inglesi al Papa,e in virtù del suo fascino personale,della sua conoscenza delle lingue e della sua comprensione della politica europea,riuscì a ottenere,con sforzi sovrumani,dei primi risultati che portarono,nel 1917,tredici anni dopo la sua morte,alla pubblicazione della dichiarazione Balfour,un documento che concedeva legittimazione alla creazione di un entità nazionale ebraica in Palestina.Tale concessione venne ratificata nel 1947 dalle Nazioni Unite.A quel tempo,dopo la scoperta degli orrori della Shoà e dagli abissi di odio nei cuori dei gentili,il mondo capi' che il problema ebraico riguardava tutti e con una rara azione comune il blocco
comunista e quello occidentale si accordarono,al culmine della guerra fredda,per dividere la Palestina in due stati:palestinese ed ebreo.
Il successo di Herzl nel mettere in moto un intero movimento era anche legato al fatto che egli non dovette sottostare alla scelta del popolo ebreo.E questo si può dire di tutto il movimento sionista ai suoi albori.È forse infatti l'unico movimento rivoluzionario che non agì all'interno del popolo che cercava di condurre su una nuova via.I sionisti diedero vita a una nuova realtà in una terra deserta,lontana dalla realtà ebraica del tempo,e per giungere alla quale non avevano bisogno della approvazione dei loro connazionali.Se Herzl e il movimento sionista avessero dovuto prendere parte a elezioni generali all'interno delle comunità ebraiche degli inizi del ventesimo secolo,avrebbero forse ottenuto il dieci,il quindici per cento dei voti.Ma per loro fortuna,e per quella dello stato di Israele,tale approvazione non fu loro necessaria.E così come Herzl fu sulle prime un cavaliere solitario,così i sionisti giunti nella Terra d'Israele nei primi anni del ventesimo secolo furono rivoluzionari solitari che posero le basi per il popolo che li avrebbe seguiti.Come ebreo laico e assimilato,
profano della lingua e della cultura ebraica,Herzl possedeva anche una certa misura di ingenuità nei confronti del popolo che voleva guidare.Pensava che nel momento in cui avesse spiegato agli israeliti,in modo logico,la necessità esistenziale e morale di normalizzare la loro vita,costoro gli avrebbero prestato ascolto.Non capiva quanto profondamente fosse radicata in loro l'esperienza della diaspora.E quanto sarebbe stato difficile convincerli a compiere il passo che li avrebbe portati a condurre una vita normale in un loro territorio sovrano.
Herzl morì relativamente giovane,all'età di quarantaquattro anni,e non ebbe il tempo di sperimentare delusioni e conflitti interni al suo movimento,come molti altri leader.E così è rimasto nella memoria nazionale:un principe amato.Se lo volete,non è una favola.Così dichiarò nel corso del primo congresso sionista tenuto a Basilea,in Svizzera,nel 1897.E preconizzò che uno stato ebraico sarebbe sorto entro
cinquant'anni,anche se non immaginava che il popolo ebreo avrebbe mancato l'opportunità di crearlo prima della Shoà,limitando così le proporzioni di quell'immane tragedia.
deborah
Martin Buber e l'Ateismo.


MARTIN BUBER

A cura di Diego Fusaro

Martin Buber nasce a Vienna e studia in svariate università europee, annoverando fra i suoi maestri pensatori del calibro di Simmel e Dilthey, che molto incideranno sulla sua formazione. Dopo un periodo di "dispersione", egli tornò nel seno dell’ebraismo, aderendo al movimento sionista. Docente a Francoforte, dopo l’avvento del nazismo perse la sua cattedra e nel 1938 si trasferì a Gerusalemme, dove ricoprì la cattedra di Filosofia sociale e difese l’ideale di una pacifica convivenza fra Arabi ed Ebrei. La morte lo colse nel 1965. Nel 1923 pubblicò una delle opere più famose, Io e Tu, proprio nell’anno in cui cominciò ad insegnare a Francoforte. Nel 1925 incontrò Franz Rosenzweig, con il quale tradurrà la Bibbia (impresa che porterà a termine nel 1962). Fra gli scritti successivi, meritano senz’altro di esser ricordati: Il problema dell’uomo (1943) ed Eclissi di Dio (1952), oltrechè i suoi interessantissimi studi sullo hassidismo, ovvero su quel movimento dell’ebraismo europeo orientale sorto nel XVIII secolo e caratterizzato dall’importanza attribuita all’azione. Buber elabora innanzitutto una prospettiva di pensiero il cui cardine sono i temi del dialogo e della relazione: infatti, a partire dall’idea secondo cui l’uomo non è una sostanza, ma una fitta trama di rapporti e di relazioni, egli è pervenuto a quella che si potrebbe definire una sorta di relazionismo personalista. Ad avviso di Buber, il mondo è duplice, giacchè l’uomo può porsi dinanzi all’essere in due modi distinti, richiamati dalle due parole-base (Grundworte) che può pronunciare al suo cospetto: Io-Tu e Io-Esso. Di primo acchito, si potrebbe essere indotti a pensare che la parola Io-Tu alluda ai rapporti con gli altri uomini e la parola Io-Esso si riferisca invece a quelli con le cose inanimate. In realtà la questione è più complessa, in quanto l’Esso può comprendere anche Lui o Lei. L’Io-Esso, allora, finisce piuttosto per coincidere con l’esperienza, concepita come l’ambito dei rapporti impersonali, strumentali e superficiali con l’alterità – sia umana sia extraumana -; tale schema dualistico – corrispondente almeno in parte a quello propsettato da Marcel tra essere e avere – presuppone che l’Io dell’Io-Esso sia l’individuo, mentre l’Io dell’Io-Tu sia la persona: con la precisazione, però, che "nessun uomo è pura persona, nessuno è pura individualità. […] Ognuno vive nell’Io dal duplice volto" (Io e Tu). Agli occhi di Buber, l’Ioa utentico (la persona) si costituisce unicamente rapportandosi con le altre persone – sullo sfondo vi è la lezione hegeliana (Fenomenologia dello Spirito) dell’autocoscienza che si relaziona ad altre autocoscienze -, giacchè l’Io "si fa Io solo nel Tu". Ma asserire che la realtà umana è costitutivamente relazione equivale a dire che essa è costitutivamente dialogo, per cui, se la dimensione dell’Io-Esso è la superficiale dimensione del possesso e dell’avere, la dimensione dell’Io-Tu, di contro, è la profonda ed intima dimensione del dialogo e dell’essere: Io-Tu corrisponde all’essere, Io-Esso all’avere. Tale dialogo trova la sua compiuta manifestazione nel rapporto teandrico, ovvero nel Rapporto instaurantesi fra l’Io e Dio stesso: "ogni singolo Tu è un canale di osservazione verso il Tu eterno. Attraverso ogni singolo Tu la parola-base si indirizza all’eterno" (Io e Tu). Un Tu eterno – precisa Buber – che non può esser ridotto in nessun caso all’Esso, ossia ad oggetto di possesso e di conoscenza: "guai a colui che è invasato a tal punto da credere di possedere Dio", ammonisce Buber. Di conseguenza, il Dio-oggetto della teologia è un falso Dio: il vero Dio, quello vivente della Bibbia, è un Tu con cui si parla e non un Tu di cui si parla, è un Dio a cui l’uomo rende testimonianza non già con la scienza, bensì con il suo impegno nel mondo a favore del prossimo:

"Quando io ero bambino, lessi una vecchia leggenda ebraica che allora non potevo capire. Raccontava nient’altro che questo: ‘dinanzi alle porte di Roma sta seduto un mendicante lebbroso ed aspetta. E’ il messia’. Mi recai allora da un vecchio e gli chiesi: ‘che cosa aspetta?’ e il vecchio mi dette la risposta ch’io allora non capii e che ho imparato a capire molto più tardi. Egli mi disse: ‘Te’". (Sette discorsi sull’ebraismo)

Nel suo scritto Eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, Buber nota come attraverso i tempi si sia eccessivamente abusato della parola "Dio", a tal punto che il suo significato è diventato opaco e vuoto; ciò non toglie, tuttavia, che tutte le volte che qualcuno la impiega per riferirsi al Tu assoluto, allora essa acquista un insostituibile valore esistenziale:

"‘Sì’, risposi, è la parola più sovraccarica di tutto il linguaggio umano. Nessun’altra è stata tanto insudiciata e lacerata. Proprio per questo non devo rinunciare ad essa. Generazioni di uomini hanno lacerato questo nome con la loro divisione in partiti religiosi; hanno ucciso e sono morti per questa idea e il nome di Dio porta tutte le loro impronte digitali e il loro sangue. Dove potrei trovare una parola che gli assomigliasse per indicare l'Altissimo? Se prendessi il concetto più puro e più splendido dalla tesoreria più riposta dei filosofi, vi potrei trovare soltanto una pallida idea ma non la presenza di colui che intendo, di colui che generazioni di uomini con le loro innumerevoli vite e morti hanno onorato e denigrato. Intendo parlare di quell’Essere a cui si rivolge l’umanità straziata ed esultante. Certamente essi designano caricature e scrivono sotto ‘Dio’; si uccidono a vicenda e lo fanno ‘in nome di Dio’. Ma quando scompare ogni illusione e ogni inganno, quando gli stanno di fronte nell’oscurità più profonda e non dicono più ‘Egli, Egli’, ma sospirano ‘Tu, Tu’ e implorano ‘Tu’, intendono lo stesso essere; e quando vi aggiungono ‘Dio’, non invocano forse il vero Dio, l’unico vivente, il Dio delle creature umane?" (L’eclissi di Dio).

Ciò non toglie, però, che proprio il Dio vivente appaia, oggigiorno, irrimediabilmente perduto, quasi come se si fosse eclissato: e questo in virtù del prevalere della relazione Io-Esso e dell’esaltazione soggettivistica della filosofia moderna: l'essere è stato scalzato dall'avere, Dio dall’uomo. A proposito del primo punto, Buber così si esprime:

"Nel nostro tempo la relazione Io-Esso si è molto gonfiata e, quasi incontrastata, ha assunto la direzione e il comando. Signore di quest’ora è l’Io di tale relazione, un Io che tutto possiede, tutto fa e a tutto si adatta, incapace di pronunciare il Tu e di andare incontro a un’esistenza con autenticità. Questo Ego (Ichheit) ormai onnipotente, con tutto quell’Esso intorno a sé, non può naturalmente riconoscere né Dio, né un reale Assoluto, che manifesta la sua origine non-umana all’uomo. L’Ego si inserisce in mezzo, oscurandoci la luce del cielo" (L’eclissi di Dio).

A proposito del secondo punto, poi, Buber nota:

"il soggetto, che sempre apparve annesso all’essere per prestargli il servigio della contemplazione, dichiara di aver generato e di generare esso stesso l’essere […] lo spirito umano dice di essere il signore delle sue opere e annichila concettualmente l'’ssolutezza e l'Assoluto"(L'eclissi di Dio).

Contrapponendosi con forza a Nietzsche e al nichilismo moderno, sfociante nell’ateismo, Buber dichiara che Dio non è definitivamente morto, ma si è solo temporaneamente eclissato (non del tutto diversamente, Horkheimer – di fronte alle atrocità del nazismo – aveva parlato di "eclissi della ragione"): da ciò nasce la fiducia nel Suo ritorno. "L’eclissi della luce di Dio non è l’estinguersi, già domani ciò che si è frapposto potrebbe ritirarsi" (L’eclissi di Dio): in particolare, ciò che si è temporaneamente frapposto tra noi e Dio, eclissandolo, è – per così dire – la nube dell’Esso e dell’Ego, nube che fa sì che il profondo rapporto Io-Tu sia oscurato da quello superficiale Io-Esso. Buber ha riproposto inoltre, con grande attenzione, la questione dell'identità ebraica. Quali sono le caratteristiche dell'ebraismo? Una prima caratteristica è la coscienza della scissione e l'anelito all'unità; una seconda è la ricerca di una relazione tra morale e religione, intendendo la religiosità come azione e come spinta messianica verso il futuro. Questi princìpi - unità, azione e futuro - sono i princìpi validi anche per l'umanità: un autentico ritorno all'ebraismo coincide per lui ad un ritorno verso la vera umanità.

SUL DIALOGO: "L’autentico dialogo e quindi ogni reale compimento della relazione interumana significa accettazione dell’alterità. […] L’umanità e il genere umano divengono in incontri autentici. Qui l’uomo si apprende non semplicemente limitato dagli uomini, rimandato alla propria finitezza, parzialità, bisogno di integrazione, ma viene esaudito il proprio rapporto alla verità attraverso quello distinto, secondo l’individuazione, dell’altro, distinto per far sorgere e sviluppare un rapporto determinato alla stessa verità. Agli uomini è necessario e a essi concesso di attestarsi reciprocamente in autentici incontri nel loro essere individuale". (Separazione e relazione)

IO, TU E ESSO: "Lo scopo della relazione è la sua stessa essenza, ovvero il contatto con il Tu; poiché attraverso il contatto ogni Tu coglie un alito del Tu, cioè della vita eterna. Chi sta nella relazione partecipa a una realtà, cioè a un essere, che non è puramente in lui né puramente fuori di lui. Tutta la realtà è un agire cui io partecipo senza potermi adattare a essa. Dove non v’è partecipazione non v’è nemmeno realtà. Dove v’è egoismo non v’è realtà. La partecipazione è tanto piú completa quanto piú immediato è il contatto del Tu. È la partecipazione alla realtà che fa l’Io reale; ed esso è tanto piú reale quanto piú completa è la partecipazione" (Io e tu).

http://www.filosofico.net/martinbuber.htm
deborah
MOSES MONTEFIORE





UN MOSE'
DEL 1800
CONTRO...
...IL MOSTRO
ANTISEMITA


Partì giovanissimo da Livorno per andare a cercare lavoro in Inghilterra.
Raggiunto il successo, conquistato il titolo di lord, dedicò tempo e denaro
alla difesa del popolo ebreo, perseguitato in tutto il mondo


Un ritmico e angosciante esplodere di atroci slogans antisemiti, centinaia
di volti contratti da un odio irrazionale dalle millenarie radici, l'ondeggiare
sempre più minaccioso di una folla, progressivamente eccitata dai suoi stessi
clamori, che assedia il Gran Hotel affacciato sulla vasta piazza di Bucarest.
E' un torrido 29 agosto del 1867. Scostando le cortine di seta che riparano
le finestre dell'albergo, sir Moses Montefiore osserva quella massa urlante.
Sul volto patriarcale, reso solenne dalla folta barba bianca, si fondono
tristezza e determinazione.

Sir Montefiore, ottantrè anni, il Mosè del 1800 che da decenni percorre
il mondo per accorrere là dove il suo popolo, il popolo ebreo, ha bisogno
di essere difeso da persecuzioni, da ingiustizie, da incursioni sanguinarie,
da spoliazioni, anche questa volta non riesce a difendersi dalla profonda
tristezza che si impadronisce di lui quando si trova davanti ai violenti
rituali con i quali s'invoca il sacrificio di una comunità ebraica nel ruolo
del capro espiatorio dei mali del momento. Che possono essere il cattivo
raccolto o le vessazioni di un signorotto o di un regime, una crisi economica
o un'epidemia. Tuttavia sir Moses si sottrae alla trappola della tristezza,
che spesso é inibizione all'azione, conscio che soltanto la determinazione,
la capacità di reagire, il coraggio di resistere possono esorcizzare il
delirio dell'antisemitismo che obnubila la mente di milioni di persone in
molte parti della terra, dalla Santa Russia all'Islam, dagli Stati tedeschi
alla cattolicissima Spagna, a questa Romania, nazione appena nata dalla
fusione della Moldavia e della Valacchia, dove una crociata contro gli ebrei
rimuove i profondi malumori esplosi dopo l'iniziale e difficile processo
di democratizzazione che ha portato all'incameramento dei beni ecclesiastici,
alla riforma agraria alla creazione di una seconda camera. Alcune ore prima
sir Montefiore ha parlato con il nuovo principe della Romania, Carlo di
Hohenzollern Sigmaringen, parente di Napoleone III di Francia da parte di
madre. Gli ha rimproverato i risultati dell'ultima persecuzione nel centro
di Jassy: ventimila famiglie ebree in pericolo di vita e circa trecento
ridotte alla rovina.

Non può andarsene dal Paese senza aver parlato anche a quella massa in preda
al demone di un'aggressività che nasce da primitive paure. Lentamente comincia
a dischiudere i battenti della grande finestra. Dal basso lampeggia il riflesso
metallico di un'arma da fuoco. Qualcuno del seguito tenta di rinchiudere.
"La supplico sir Moses, la uccideranno". Ma il patriarca ha deciso. E qualche
secondo dopo la sua biblica figura si staglia nel vano della finestra. E'
un'immagine dalla quale si sprigiona una forza incoercibile ma anche una
grande serenità. Quel vegliardo senza paura forse evoca nella mente di ognuno
l'infantile desiderio, frustrato, di avere un padre severo ma non tiranno,
giusto, tenero, e rassicurante. Il muro di odio e di urla si sgretola d'improvviso
e sulla piazza scende un silenzio quasi chiesastico. La voce di sir Montefiore
risuona alta: "Sparatemi pure se volete. Sono venuto qua in nome della giustizia
e dell'umanità per sostenere la causa di innocenti che soffrono".

Null'altro. Ma gli occhi del nuovo Mosè restano fissi per qualche minuto
sulla folla. E lentamente la piazza si svuota. Uno dei capi della comunità
ebraica di Bucarest, che già gli aveva sconsigliato il viaggio in Romania,
ha le lacrime agli occhi a causa della tensione. Tremando lo prega di non
commettere più imprudenze di quel genere. Sir Moses risponde con fermezza:
"Mi faccia preparare una carrozza scoperta per cortesia". Per due ore, senza
protezione alcuna, in compagnia del suo segretario, il dottor Loewe, percorre
le strade principali e i sobborghi della città. Il giorno seguente egli
riceve una lettera del principe Carlo che, pur contenendo una menzogna diplomatica
sulla realtà verificata da Montefiore, dimostra che la missione non é stata
del tutto inutile: "Gli israeliti sono oggetto di tutta la mia sollecitudine
e di quella del mio Governo e sono lieto che siate venuto in Romania, per
convincervi che la persecuzione, della quale la malevolenza ha fatto tanto
chiasso, non esiste. Considererò sempre un onore far rispettare la libertà
religiosa e sorveglierò sempre che siano rispettate le leggi che proteggono
gli israeliti, come tutti gli altri rumeni, nelle loro persone e nei loro
beni".

Da questo episodio (uno dei tanti che lo hanno visto protagonista nei luoghi
della sofferenza ebraica e nei luoghi della speranza come Gerusalemme, che
egli visitò sette volte) sia pur indicativo, esce soltanto in parte la grandiosità
di questa figura che il popolo ebreo ha celebrato in tutto il mondo in occasione
del bicentenario della nascita (1784) e nel centenario della morte (1885).
Ripercorrendo le tappe della sua vita ci si rende conto essere legittimo
l'accostamento di Montefiore all'archetipo di Mosè. Pur se il titolo di
baronetto (conferitogli dalla regina Vittoria nel 1837) e una vita intera
passata in Gran Bretagna come leale suddito possono trarre in inganno, il
cognome non lascia dubbi: Moses Montefiore è figlio di italiani ed è nato
in Italia, nella grande e operosa comunità ebraica di Livorno. Nei registri
delle nascite custoditi negli archivi dell'università israelitica l'evento
è così annotato: "9 Heshvan 5545 (24 ottobre 1784) a Joseph di Moise Haim
e Raquel Montefiore nacque un figlio che chiamarono Moise Haim". In via
Reale al 7, sulla casa poi demolita nel 1963, una lapide ricordava i suoi
centouno anni di vita: "Sia perpetuo ricordo/ che ai 24 ottobre 1784 qui
nacque/ sir Moses Montefiore/ in Siria in Russia al Marocco in Romania/
indefesso apostolo di tolleranza/ ad ogni sorta di sventure/ senza distinzione
di gente e di fede/ largamente pietoso/ morto in Ramsgate ai 28 luglio 1885/
onorato dai potenti dai miseri benedetto".

Oriunda di Pesaro e Ancona, la grande famiglia dei Montefiore si ramifica
in direzione di varie città italiane. Alcuni membri si stabiliscono a Livorno.
Da uno di questi nasce Moshe Haim, nel 1712. Dopo il matrimonio con Ester
Racah (quella dei Racah era una nota e agiata famiglia livornese dalla quale
discende il professor Giulio Racah, fisico di fama e discepolo di Enrico
Fermi, che fu rettore dell'università ebraica di Gerusalemme) Moshe Haim
lascia I'Italia e continua la sua attività in Gran Bretagna. Ma i rapporti
d'affari con Livorno e con gli altri familiari rimasti in Italia continuano
e le puntate verso la vecchia patria sono frequenti. E' durante uno di questi
rientri che a Joseph, quarto dei diciassette figli di Moshe, nasce quel
bambino che un giorno diventerà, con un tocco di spada della regina Vittoria,
il primo baronetto di origine italiana.

Il piccolo Moses passa alcuni mesi della sua vita nella città toscana. Poi
il rientro in quella che sarà la sua nuova e definitiva patria d'elezione.
Fatte le scuole elementari, conseguito un grado di istruzione medio nella
scuola ebraica, entra nel mondo produttivo - affari e commercio, queste
erano le sole attività aperte agli ebrei dell'ultimo Settecento - prima
come apprendista poi come impiegato. A vent'anni Moses dimostra l'alto grado
della sua intelligenza riuscendo a conquistarsi una licenza di agente di
cambio alla Borsa di Londra, dove i posti disponibili per gli ebrei sono
soltanto dodici, e ad affermarsi solidamente sul mercato e non soltanto
su quello borsistico: businessman capace di grandi visioni ed estremamente
attento al futuro di un secolo in rapida evoluzione, dedica molte delle
sue energie a due imprese che i suoi contemporanei considerano pionieristiche,
la "Imperial gas association" e la "Alliance insurance company" che guida
con mano sicura fino al suo ultimo giorno di vita.

La carriera di Moses Montefiore è trionfale, ma il futuro baronetto conosce
anche l'acre sapore della sconfitta, dell'imprevedibile crac. Perde tutto
il suo patrimonio e rimane schiacciato dai debiti. Tuttavia nel giro di
due anni è di nuovo sul ring, paga tutti i creditori, recupera le perdite,
riprende il suo posto nell'empireo dei big della finanza. La "Montefiore
brothers" (in società c'è il fratello Abraham) è più forte ed apprezzata
di prima. E' il 1824, Moses ha quarant'anni. Il giovane uomo d'affari ebreo
ha raggiunto le vette del successo in una società che, pur essendo più liberale
di altre, porta ancora nel suo bagaglio culturale e legislativo delle riserve
antisemite. La vittoria di un uomo, l'affermazione delle sue qualità in
un contesto difficile. Ma è una vittoria che Moses Montefiore, il quale
sente profondamente la sua ebraicità, considera appartenente a quel popolo
dal quale ha ereditato la vivacità e la duttilità mentale, la capacità di
adattarsi alle situazioni più difficili (e spesso inumane) conservando la
propria dignità, la forza di mantenere la personalità culturale ed etnica
pur nella bimillenaria tempesta della diaspora.

E' nel terreno di questa concezione che ha radice la scelta di vita che
sbalordisce amici, pubblico, la Londra dell'alta finanza: Moses Montefiore
decide di ritirarsi dagli affari. D'ora in poi, aiutato dalla moglie Judith
(figlia di Levi Barenth Cohen uno dei più ricchi ebrei inglesi dell'epoca,
sposata nel 1812), egli dedicherà il suo tempo, la sua intelligenza, le
sue energie, i suoi mezzi alle attività sociali e filantropiche ma soprattutto
"a servire la causa dei suoi fratelli ebrei, a sostenerne i diritti nei
vari Paesi e ad aiutarli in tutto quanto le sue forze gli consentono, a
partecipare ad ogni genere di attività filantropiche destinate a lenire
miserie di uomini di ogni credo e di ogni nazione" (Umberto Nahon ne "La
provincia di Livorno" 1963-1964 in un saggio dedicato a sir Moses Montefiore,
"Una vita al servizio dell'ebraismo"). Il giovane ex finanziere (che tuttavia,
dopo aver intestato al fratello la licenza di agente di cambio alla borsa
di Londra, conserva il controllo di alcune società e gestisce in modo redditizio
il proprio robusto patrimonio) inizia la sua nuova attività con lo stesso
slancio mentale e fisico che lo ha portato a raggiungere il successo nel
difficile campo degli affari.

L'esordio avviene nella stessa Londra, dove prendono corpo i problemi creati
dalla legislazione che limita l'attività degli ebrei e li emargina in parte
dalla vita politica. Riferendosi a quest'ultimo punto Nahon ricorda che
"gli ebrei, invero, potevano essere eletti al Parlamento, ma fin quando
non fu loro permesso di prestare giuramento soltanto sul Vecchio Testamento
e fino a quando la formula del giuramento comprendeva le parole 'come vero
cristiano' gli ebrei non potevano occupare il loro seggio alla Camera. Moses
Montefiore e Nathan M. Rothschild (cognato di Moses : n.d.r.) furono a capo
di non poche delegazioni che si recarono presso deputati, lords, ministri,
per ottenere la possibilità per gli ebrei di far parte del parlamento" Nel
1883 la Camera dei Lords respinge la proposta di "annullare tutte le disuguaglianze
civili concernenti i sudditi di Sua Maestà di religione ebraica".

Nel 1837 Moses Montefiore, al quale si associa sir George Carrel, non ebreo,
si reca alla Camera dei Comuni latore di una petizione del Lord Major di
Londra ma anche in questa occasione il veto della Camera Alta nega il riconoscimento
dei diritti richiesti. Soltanto nel 1851, dopo una lunga serie di battaglie,
il primo ebreo inglese occupa il suo seggio alla Camera dei Comuni: è Lionel
de Rotschild, figlio di Nathan e di Anne Cohen, sorella della moglie di
Montefiore. Nel 1885, un mese prima di morire, sir Moses avrà l'immensa
soddisfazione di cogliere un altro grande frutto del suo lungo e tenace
lavoro: il primogenito di Lionel de Rotschild, Nathaniel, viene nominato
lord e diventa il primo lord ebreo. Nel 1840 accade a Damasco un episodio
che vede la comunità ebraica bersaglio di un'accusa atroce e non insolita:
quella di "omicidio rituale", E' in questa occasione che Montefiore esordisce
con la serie delle sue brillanti missioni all'estero.

Prima di dare una sintesi dell'episodio va precisato che l'accusa di omicidio
rituale - vecchia di secoli e secoli e profondamente radicata nelle culture
musulmane e cristiana - attribuisce agli ebrei la consuetudine di uccidere
un cristiano per servirsi del suo sangue nella preparazione del pane azzimo
(ossia il pane non lievitato) tradizionalmente consumato durante la Pasqua,
in ricordo dell'esodo dall'Egitto. L'accusa - meglio usare il termine calunnia
- è priva di fondamento e appare assurda a chiunque abbia conoscenza, sia
pur vaga, dei riti ebraici. "Non mangerai il sangue perché nel sangue è
l'anima" comanda la Bibbia in diversi passi ed è in base a questa precisa
norma che sono state elaborate le istruzioni rituali per l'uccisione degli
animali con jugulazione in modo che il sangue sgorghi completamente. Tuttavia
questa orrenda calunnia - definita tale già nel 1248 da papa Innocenzo IV
e in seguito da altri pontefici e sovrani - continua a perseguitare gli
ebrei anche in pieno illuminismo e all'inizio dell'età industriale.

Il caso di Damasco è esemplare. Dalla città sparisce in circostanze misteriose
(rapito e ucciso per poter montare l'imputazione a carico degli odiati giudei?)
il cappuccino padre Tommaso che da molti anni esercita anche la funzione
di medico; con lui scompare anche il suo servitore Ibrahim. Scatta immediatamente
l'accusa e la macchina persecutoria si mette in moto. Nel quartiere ebraico
(6000 abitanti) vengono effettuati numerosi arresti di "sospetti", vengono
demolite diverse case per cercare i cadaveri degli scomparsi, viene innescato
il meccanismo dell'odio popolare e della spinta all'eccidio. Gli arrestati
vengono atrocemente torturati. Due di essi muoiono. Un povero barbiere ebreo,
dopo lunghe ore di tormenti che gli hanno dilaniato il corpo, esce quasi
di senno, "confessa" e accusa dell'immaginario delitto alcuni capi della
comunità ebraica. L'assurdo si raggiunge quando alle autorità si presenta
un astrologo il quale sostiene che, tramite la sua "scienza", ha scoperto
i colpevoli. E fa i nomi di sette ebrei fra i quali due appartengono alla
più nota famiglia della Comunità, quella dei Farchi. Seguono gli arresti.
Nel quadro di questo dramma perdono la vita quattro ebrei. Quasi nello stesso
periodo un'accusa di omicidio rituale viene formulata anche a Rodi.

Per mettere fine all'atroce vicenda e scongiurare l'inasprirsi di persecuzioni
antisemite in Siria e in altri Paesi dell'impero ottomano, Moses Montefiore
e Lionel de Rothschild si recano dal ministro degli Esteri lord Palmerston
a chiedere l'intervento ufficiale del Foreign Office. Il ministro s'impegna
a porre il problema al governatore d'Egitto Mohamed Alì e al sultano di
Costantinopoli e con essi a cercarne la soluzione. Tuttavia Montefiore,
che nel frattempo è diventato presidente del "Board of deputies of british
jews" (Consiglio dei delegati degli ebrei inglesi), non dà molto affidamento
alle promesse di Palmerston e preferisce agire in prima persona. Cosi l'ex
finanziere, con un gruppo di collaboratori, fra i quali c'è anche un alto
rappresentante della Comunità ebraica francese, e le migliori credenziali
del Foreign Office, piomba sul luogo della tragedia e mette sotto assedio,
con una fitta serie di incontri, richieste di garanzie, trattative, argomentazioni,
sia il governatore d'Egitto (che praticamente è re) che il sultano di Costantinopoli.
Con Mohamed Alì segna la prima vittoria. Quando questi è pronto a rilasciare
i nove ebrei ancora in stato di arresto e scrive nel testo del decreto la
parola "perdono", Montefiore si oppone duramente e pretende, ottenendola,
che ad essa venga sostituita la formula "onorevole liberazione".

L'abilità diplomatica, la capacità di convincimento, la sottigliezza di
argomentazioni di Moses piegano anche la resistenza del capo dell'impero
ottomano, il sultano Abdul Mejid. Questi dichiara, nel "firmano" sottoscritto
il 16 novembre 1840 e depositato negli archivi dell'Impero : "E' corrente
un antico pregiudizio contro gli ebrei. Gli ignoranti credono che gli ebrei
abbiano l'abitudine di sacrificare un essere umano per fare uso del sangue
di esso nella loro festa di Pasqua. In conseguenza di questa credenza gli
ebrei di Damasco e di Rodi sono stati perseguitati. I libri religiosi degli
ebrei sono stati esaminati da dotte persone, ben versate nella loro letteratura
teologica e il risultato di questo esame è stato che agli ebrei è severamente
proibito di servirsi non solo di sangue umano ma perfino del sangue degli
animali. Ne consegue pertanto che le accuse contro di loro altro non sono
che pura calunnia... La nazione ebraica deve possedere gli stessi vantaggi
e godere gli stessi privilegi che sono accordati alle altre numerose nazioni
sottoposte alla nostra autorità. La nazione ebraica deve essere protetta
e difesa".

Dopo un'assenza di sette mesi Montefiore rientra in Inghilterra. Fra gli
onori che gli vengono tributati, anche le congratulazioni della regina Vittoria,
che lo riceve a Buckingham Palace. Nel 1863 un'altra notizia dal Marocco,
dove l'antisemitismo è feroce e radicato come nella restante parte del mondo
arabo: due giovani ebrei sono stati giustiziati senza processo e altri nove
sono stati arrestati e tormentati in vario modo. Anche in questo caso mancanza
totale di prove, accusa costruita sul preconcetto. Il fatto. José Montilla,
recaudador (esattore), del viceconsole spagnolo a Saffi, una città del Marocco,
muore inaspettatamente il 30 luglio, dopo tre giorni di forti dolori. Il
diplomatico sospetta un avvelenamento e immediatamente le autorità locali
arrestano il servitore di Montilla, Jacob Benyuda, un ragazzo di quindici
anni che viene accusato di aver somministrato al padrone una pozione mortale
in complicità con altri ebrei.

Bastonatura delle piante dei piedi, flagellazioni continue, schiacciamento
in un apposito torchio, principio di impalamento... e il ragazzo "confessa",
fa il nome di un altro giovane, Eliahou Lalouche. Immediatamente catturato
- e con lui finiscono in carcere il padre, la madre e i fratelli - anche
Lalouche subisce le stesse torture fino alla "confessione". Il 13 e il 14
settembre Lalouche e Benyuda vengono decapitati. Naturalmente, sotto la
spinta emotiva scatenata dalla vicenda, le angherie della popolazione musulmana
nei confronti della comunità ebraica aumentano notevolmente: pestaggi, danneggiamenti,
insulti non si contano. Poiché la situazione minaccia di degenerare e di
rendere ancor più difficile la condizione dei cinquecentomila ebrei che
vivono in Marocco, Moses Montefiore decide ancora una volta di intervenire
personalmente. Per prima cosa, accompagnato dai membri della sua missione,
si ferma a Madrid per discutere del problema con la regina Isabella di Spagna,
sull'aiuto della quale egli conta, considerata la grande influenza che la
Spagna ha sul Marocco. Da Madrid a Tangeri dove le autorità marocchine e
spagnole, messe alle strette dalle argomentazioni di sir Moses e dalle credenziali
che egli ha ottenuto dal Foreign Office e dalla regina Isabella, si piegano
alle richieste e liberano i nove ebrei ancora detenuti. Ma il capo della
missione non è ancora soddisfatto. Egli vuole maggiori garanzie sulla sicurezza
dei suoi correligionari marocchini, vuole che per essi venga garantito anche
un miglioramento delle condizioni di vita. Per ottenere questo è necessario
incontrare il sultano del Marocco, che vive nella capitale, Marrakesh. La
città si trova a otto giorni di viaggio, un viaggio che il "Mosé del 1800"
ormai ottuagenario, compie intrepidamente alla testa di una carovana di
muli e cammelli sotto il sole bruciante e nelle notti gelide.

Il primo giorno di febbraio del 1864 c'è l'udienza con il sovrano. Anche
in questo caso la dialettica di Montefiore, (il quale peraltro non omette
di ricordare agli interlocutori di essere non soltanto il rappresentante
della comunità ebraica inglese ma anche il portavoce di un Paese che è una
grande potenza militare ed economica) supera ogni resistenza, raggiunge
l'obiettivo stabilito. Il 5 febbraio il sultano fa pervenire a sir Moses
un "firmano" così concepito: "E' nostro comando che tutti gli ebrei residenti
nei nostri dominii siano trattati in modo conforme alle ben equilibrate
bilance della giustizia, che nei procedimenti davanti ai tribunali essi
occupino una posizione di perfetta uguaglianza con tutti gli altri sudditi,
che gli ebrei godano in avvenire maggiore sicurezza di quanto sia stato
fin'ora e che il timore di far loro torto sia grandemente aumentato". Durante
il viaggio di ritorno Montefiore si ferma a Madrid e a Parigi per consegnare
copia del "firmano" a Isabella di Spagna e all'imperatore di Francia Napoleone
III. A Londra un altro trionfo e altro incontro con la regina Vittoria.
Dalle comunità ebraiche dei vari Paesi del mondo, più di duemila messaggi
di plauso e di ringraziamento.

Oltre a questi episodi, che abbiamo riportato per la loro indicatività,
molti altri ne dovremmo ricordare ma sarebbe necessario lo spazio di un
libro (e infatti un libro c'è, "Il centenario di Moses Montefiore", edito
nel 1985 in Inghilterra da Sonia e Vivian Lipman per i tipi della Oxford
University Press) per fare una cronaca sia pur contenuta della frenetica
e intensa attività che questo ormai mitico personaggio svolge nell'arco
di sessant'anni, dal 1824, quando si vota completamente alla sua missione,
al 1885, anno della sua morte. Tuttavia è impossibile concludere questa
breve storia senza ricordare che il suo protagonista è l'uomo che mette
la prima pietra per trasformare in realtà il "grande sogno": la costruzione
della nuova Gerusalemme (che sorge a accanto all'antica Città Santa) nella
quale i figli di Israele ritorneranno per ricostruire la loro nazione.

L'attrazione che la città degli avi esercita su Montefiore è profonda, una
specie di "richiamo della foresta". Lo dimostra il fatto che egli - in tempi
non molto adatti per i viaggi di questo tipo, visto che in mare s'incontravano
ancora i pirati - fa ben sette pellegrinaggi, il primo nel 1827 e l'ultimo
nel 1875 alla bella età di 91 anni. Ma le visite a Gerusalemme (dalla quale
sir Moses resta incantato e dirà "Nessuna città al mondo ha una migliore
posizione di Gerusalemme, né esiste un clima migliore") non sono soltanto
mistiche. Durante il secondo soggiorno, nel 1838-39, studia attentamente
la situazione degli ebrei sparsi nella città e occupati dispersivamente
in mille piccole attività, promuove un censimento "dei figli di Israele
viventi nella Terra Santa nell'anno 5599 (1839)".

Fatto il punto in chiave strettamente pragmatica, come si conviene a un
abile businessman, Montefiore, d'accordo con i rabbini e i capi laici delle
singole comunità locali, elabora un progetto preciso: "Se il mio piano riuscirà,
sono certo che esso varrà ad apportare felicità e abbondanza nella Terra
Santa. In primo luogo chiederò a Mohamed Alì una concessione di terreni
per cinquant'anni; cento o duecento villaggi che gli rendano il dieci o
il venti per cento più di ora... Ma il terreno e i villaggi dovranno essere
liberi, per la durata della concessione, da ogni tassa e balzello al Pashà
o al governatore dei vari distretti e devono avere la libertà di disporre
dei prodotti in ogni angolo del mondo. Ottenuta questa concessione formerò,
piaccia al Cielo, una compagnia per la coltivazione del suolo e per incoraggiare
i nostri fratelli d'Europa a tornare in Palestina. Sono sicuro che essi
saranno felici nel godimento dell'osservanza della nostra santa religione
in un modo che è impossibile in Europa".

Il piano non può essere attuato a causa di inceppi provocati da alcuni cambiamenti
della situazione politica egiziana. Tuttavia sir Moses riesce - nei viaggi
successivi - a realizzare alcuni progetti significativi. Fondazione di una
tessitura. Istituzione di una scuola femminile con indirizzo pratico: sartoria,
ricamo, economia domestica erano le materie che venivano insegnate alle
114 allieve oltre alle normali materie scolastiche. Acquisto di un terreno
presso Giaffa che viene coltivato ad aranceto, il primo aranceto ebraico
in terra d'Israele. Ma fra tutte le realizzazioni la più importante per
il mondo ebraico è quella che nel 1860-61 permette agli ebrei di Gerusalemme
di andare ad abitare in un quartiere-villaggio, nuovo di zecca, costruito
fuori dalle mura. Realizzando questo quartiere all'esterno della città vecchia
sir Montefiore si propone di assicurare alcune abitazioni salubri agli ebrei
di Gerusalemme e nello stesso tempo di incoraggiarli ad una vita più attiva
e produttiva: il piccolo orto accanto alla casa è l'embrione di un lavoro
agricolo, il mulino costruito nell'area del quartiere costituisce il punto
di partenza di una piccola attività industriale. Il vecchio sir Moses, a
cose fatte, guarda con soddisfazione il quartiere, le bianche casette fra
le quali già giocano i bambini, ma non si rende conto del valore storico
della sua opera. Egli non si rende conto di aver messo le prime pietre della
nuova Gerusalemme, della città ora popolata da centinaia di migliaia di
ebrei, della futura capitale dello Stato di Israele.

Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente)
il direttore di Storia in network

deborah
L'ANNO 70

VEDI ANCHE "L'ASSEDIO DI GERUSALEMME)

Dopo i drammatici avvenimenti in Italia e a Roma, Vespasiano rientrato dall'Egitto, vorrebbe subito iniziare a governare prima ancora dell'investitura. Roma ne avrebbe la necessità, dopo un periodo così anarchico; avrebbe bisogno di una guida energica, autorevole, saggia e intelligente.

Questo a Roma ma, da tempo, con il potere centrale assente o quasi, nelle popolazioni delle province, soprattutto in Gallia, scoppiano contemporaneamente varie rivolte che sono a fatica domate dai piccoli presidi romani dislocati permanentemente nei vari territori conquistati.
Ma in una di queste nella Germania renana, troviamo un principe Batavo romanizzato, GIULIO CIVILE, che approfitta anche lui dell'assenza degli eserciti romani impegnati in Italia, e da' inizio a un movimento secessionista, ponendosi a capo dei Batavi, che fra l'altro sono infiammati da una loro profetessa, VELLEDA. Hanno però vita breve, non hanno fortuna, viene a stento domata la rivolta da Petilio Ceriale.

Ma non è la sola. Seguono l'esempio le tribù di un'altra zona della stessa Gallia; vi troviamo tre condottieri che vogliono anche loro dar vita a un movimento secessionista, crearsi se non proprio un impero (Imperrium Galliarum) almeno uno Stato indipendente dai romani. Sono i condottieri Giulio Classico, Giulio Tutore, Giulio Sabino, e Giulio Valentino. Falliscono anche a loro, a Treviri; Petilio Ceriale e Annio Gallo li vogliono riportare alla ragione, non ci riescono, li sbaragliano sul campo, e sono subito eliminati.

Ma la rivolta più drammatica - non priva di conseguenze che dureranno 2000 anni - avviene in Palestina, a Gerusalemme. Qui abbiamo lasciato lo scorso anno Vespasiano che aveva posto in assedio la città da un anno intero dopo i tumulti e le ribellioni giudaiche che erano scoppiate fin dal 68. Per le vicende di Roma, seguita poi dalla sua nomina a imperatore, all'inizio di questo anno 70, in FEBBRAIO, Vespasiano aveva lasciato la Palestina, ed era partito per la capitale per ricevere sia il consolato che la corona d'imperatore.

Sul posto a far proseguire l'assedio della città fino all'espugnazione completa, ha lasciato il figlio TITO con l'ordine di domare le rivolte, e con una raccomandazione: una volta caduta la città doveva distruggerla completamente. Radere al suolo soprattutto il Tempio; una volta per tutte doveva eliminare e cacciare tutti gli Ebrei dalla Palestina, nessuno escluso.

TITO ligio agli ordini esegue con molto zelo il suo compito, scrupolosamente e da' inizio a una delle piu' contestate dispute territoriali di un popolo che durerà fino al Trattato del 1947, quando verrà creato lo STATO DI ISRAELE; ma come sappiamo in certe zone continuano tutt'oggi tale dispute. Ma non fu solo una disputa questa del 70, fu una strage, uno dei più grandi crimini dell'umanità. Una ferocia inaudita si accanì contro questo popolo che non voleva ingerenze di altri popoli e sovrani, aveva la sua già millenaria Legge e intendeva osservare solo quella.

Gli Ebrei già ripetutamente sconfitti all'esterno della città da Vespasiano, approfittarono del breve intervallo causato dal caos a Roma che tenne impegnato il neo imperatore, per riorganizzarsi, per rafforzare la difesa e anche per allargare la guerra sul resto del loro territorio.
Ma non erano organizzati in un modo sufficiente e tale da opporsi ai romani. Nella primavera, in APRILE, fra gli stessi capi ebrei scoppiarono delle discordie con eliminazioni reciproche di capi che avevano una diversa visione della situazione. C'era chi voleva i compromessi e la pace che invece voleva combattere ad oltranza. O vincere o morire tutti.
Gerusalemme era circondata da tre poderose cerchia di mura. In MAGGIO cadde in mano ai romani il terzo muro, cinque giorni dopo anche il secondo, non rimaneva che il primo muro per penetrare nella città, dove nel grande tempio si erano radunati tutti gli ebrei, decisi a difenderlo o morirci.

In AGOSTO il 9, i romani abbatterono anche l'ultimo muro, penetrarono nella città e appiccarono il fuoco al tempio, poi iniziarono il massacro. Alcuni vollero arrendersi, ma Tito ignorò la pena dell'esilio che gli aveva suggerito suo padre Vespasiano, li volle tutti morti. (Simone Giora il migliore capo degli Ebrei che aveva organizzato la resistenza, venne poi portato a Roma e ucciso ai piedi del Campidoglio nel corso del trionfo di Tito, dove sfoggiò il bottino, che per lui erano comuni oggetti, ma per gli ebrei erano i preziosi simboli della loro religione: la Tavola degli Azimi e il Candelabro a sette braccia.
Alcuni, durante il massacro si rifugiarono e resistettero a Masada fino all'aprile del 73 (ci ritorneremo poi sopra), poi furono sopraffatti, e vista inutile ogni resistenza si suicidarono tutti. Quelli che scamparono, fuggirono all'estero spargendo i germi dell'ingiustizia subita. E mai un popolo così disunito... rimase così unito. Questo cozza contro quella logica di alcuni sociologi che affermano che solo la popolazione etnica di un territorio può far nascere una coscienza nazionale, e non la cultura o una religione.

DIASPORA EBRAICA Ha inizio proprio dopo gli avvenimenti di sopra, dalla "dispersione" (migrazione - "diaspora" ) in varie parti del mondo del popolo che ha dovuto abbandonare suo malgrado il proprio territorio e nello stesso tempo a non essere accettati da altri popoli. Portando sempre con sé il radicato desiderio di ritornare un giorno nella propria terra.

FONDAZIONE DI BONN In Germania da una guarnigione lasciata ancora da DRUSO nel 10 a.C. sulle rive del Reno viene fondata in questa data la citta' di Bonn che con la vicina Colonia presto diventerà una importante citta' strategica. In seguito la linea di demarcazione di due mondi, quello dei Franchi e quello dei Germani. Quindi anche la sede di frequenti scenari di guerre (160) fino all'ultima, la Seconda Guerra Mondiale.

VANGELO CRISTIANO in questa data viene tradizionalmente indicata la composizione del VANGELO piu' antico che si conosca, quello di MARCO (prima si credeva essere quella di MATTEO). Alcuni studiosi indicano l'anno nel periodo 64-70 altri invece lo considerano posteriore al 70. Il luogo, sempre in una forma tradizionale più che storica, viene fissato in Roma, altri lo danno originario in Oriente o in Siria, scritto in Aramaico. Seguiranno i Vangeli di LUCA con materiali comune ai primi due, poi quello di GIOVANNI di molto posteriore e che si stacca in maniera rilevante per il suo contenuto, per la sua struttura, per la forma letteraria e per l'ambiente storico-culturale dal quale emerge, e contribuisce all'impronta originaria della sua teologia che ne fa ancora oggi un problema interpretativo particolare (Questione Giovannea). Altri Vangeli sono quelli Apocrifi e sinottici. Numerosi furono scritti dagli Ebrei, dai Nazerei, dagli Egiziani, dell'infanzia secondo Tommaso, e altri ancora. Poche informazioni ci hanno fino ad oggi fornito il ritrovamento dei "MANOSCRITTI DEL MAR MORTO", che sono attualmente in restauro e finora solo 45 righe sono apparse decifrabili con una sofisticata tecnica spaziale (laser radente) ed é quindi ancora poca cosa per fare congetture storiche. Si ritiene che fossero di una comunità ascetica di Qumran, una setta giudaica degli Esseni.



 
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