DEMOCRACY
IN THE WORLD
ALTERNATIVA ALLA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE
Giovanni De Sio Cesari
Sulla nostra democrazia parlamentare occidentale si riversa una valanga di critiche, dalla corruzione alla inefficienza dallo strapotere dei mass media alla mancanza di coscienza politica Non entriamo nel merito delle critiche: vediamo le alternative Infatti noi possiamo anche abbandonare la democrazia. Si può vivere anche senza democrazia, ci siamo vissuti per millenni ma non si può vivere senza cibo: per questo gli uomini si interessano più al cibo (e al benessere in generale) che alla democrazia. Ad esempio al cinese che vede il suo tenore di vita aumentare in modo insperato fino alla generazione precedente, interessa poco il sistema di governo, la democrazia, la liberta. Come diceva Deng il creatore della Cina moderna: non importa se il gatto sia bianco o nero importante è che acchiappi il topo La democrazia ( parlamentare ) non è l'unica forma di governo e certamente non e' perfetta. Potremmo quindi rigettarla ed orientarci ad esempio sul coerente "emirato islamico" proposto da Bin Laden (magari trasformato in noi come “primato politico del papa” ), oppure la teocrazia del Tibet, pure essa illustre e venerabile o anche un partito unico nazionalista ( come in tanti pesi ex coloniali) o una giunta militare a carattere sud americano : si sarebbe solo l'imbarazzo della scelta Ma si tratta di possibilità puramente teoriche : sono regimi improponibili in Occidente per tante ragioni e infatti nessuno li propone. In realtà non esistono che due possibilità : o la democrazia pluralistica ( come la nostra) oppure il partito unico: la democrazia diretta non è nemmeno teoricamente proponibile .
In effetti nessuno dubita, da oltre un secolo, che la sovranità appartiene al popolo: il problema e' COME essa si manifesta Già nel '700 alcuni teorici contrapponevano la volontà generale alla tirannia del maggior numero:anche una minoranza qualificata può esprimere la vera volontà del popolo E una idea poi sostenuta dai tutti i movimenti antidemocratici di destra, sinistra o centro che si pongono come la VERA volontà del popolo Una volta ammesso che ll governo spetta al popolo , si dirà che la "vera " volontà è espressa da un movimento ( fascisti, nazisti, comunisti, sinistra antagonista, studenti, brigate rosse ) mentre gli altri sono cricche, bande, spie, corrotti, agenti del nemico, provocatori o comunque incapaci e sciocchi Poichè, però, non c’è nessun criterio oggettivo per sapere quale è la vera volontà generale si finisce con la tirannia della minoranza che poi diviene quella di un singolo uomo, come tutti i regimi fascisti e comunisti hanno chiaramente evidenziato
Infatti come si fa a sapere chi rappresenta la vera autocoscienza del popolo e chi no ? In termini più semplici: chi ha ragione e chi no ? Abbiamo la naturale tendenza a credere che chi ha opinioni simili alle nostre ha ragione, chi ne ha di differenti ha torto: ma si tratta di un fatto emotivo non logico In effetti il 98% può avere torto, e il 2 % ragione, nessun dubbio: ma come si fa a saperlo? Se fosse possibile trovare un criterio con cui si possano scegliere uomini capaci ed onesti per governare il mondo, nessun dubbio che ad essi verrebbe affidato il governo. L'inizio della filosofia occidentale coincide con la critica alla democrazia. Diceva Socrate ( Platone): se per fare ginnastica, addestrare cavalli e cucinare ricorriamo a dei maestri esperti perchè mai dobbiamo pensare che tutti siano esperti in politica che è tanto più difficile? La critica era giusta: tuttavia in realtà non pretendiamo di governare direttamente ma solo di scegliere i governanti (e i loro indirizzi generali), una delega insomma e per un tempo definito. In realtà ciò avviene in tutti i campi della società organizzata: se in una società primitiva tutti sanno fare un pò tutto (relativamente), in una società evoluta nascono specializzazioni sempre più numerose a cui deleghiamo i relativi lavori: a volte possiamo sceglierli come avviene per avvocati. idraulici e panettieri; a volta no come per professori, giudici e netturbini. Anche per la politica deleghiamo: in democrazia, però, possiamo anche sceglierli in una rosa abbastanza definita
Nulla è perfetto, tutto è perfettibile: ma se non troviamo il modo di indicare concretamente una alternativa migliore dobbiamo allora pensare che non ci sono alternative e quindi quella sia la soluzione migliore possibile : io credo che una critica ha senso se riusciamo a trovare un sistema per superara il problema La democrazia con tutti i suoi difetti appare sempre la forma migliore di governo non in assoluto certamente ma fino ad ora realizzata Direi pero che il confronto c'è stato nel 900: anzi che tutta la storia del 900 è in realtà è stato proprio caratterizzata dal confronto fra democrazia, fascismi e comunismo Il fatto che la democrazia ( occidentale) sia il sistema di tutti i paesi piu prosperi, evoluti, liberi e potenti mi pare un argomento decisivo per dimostrarne la validità Non ci resta allora logicamente che mantenere la scelta democratica (parlamentare) e fare proposte concrete ed attuabili per migliorarla per dare, ad esempio maggiore visibilità a tutte le opinioni, maggior trasparenza, più efficace lotta alla corruzione. La politica è sempre l'arte del possibile. non del bene e tanto meno della perfezione
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Populism, pluralism,and liberal democracy
Marc F. Plattner (Journal of Democracy Volume 21, Number 1 January 2010)
The first decade of the twenty-first century has not been a happy time for the fortunes of democracy in the world. After a period of extraordinary advances in the final quarter of the twentieth century, the overall spread of democracy came to a halt, and there have even been signs that an erosion of democracy might be getting underway. According to Freedom House’s annual survey, there have now been modest declines in the level of freedom in the world for three consecutive years. Earlier in the decade, democratic hopes had been inspired by the success of the “color revolutions” in Serbia, Georgia, Ukraine, and even Kyrgyzstan, but subsequent developments in these countries have on the whole been disappointing. Moreover, nondemocratic regimes elsewhere became obsessed with the threat of color revolutions, and having learned from thefailures of their fellow autocrats, they launched a set of efforts that have reduced the space for opposition and civil society groups in their own countries—a phenomenon described as the “backlash” or “pushback” against democracy. Another indicator of what Larry Diamond has labeled a “democratic recession” is that the world’s autocratic regimes have begun to show a new élan, leading other commentators to speak of the emergence of an “authoritarian capitalist” alternative to democracy. In the 1990s, political scientists tended to regard authoritarian regimes as transitory, and studied them largely from the perspective of their potential for achieving progress toward democracy. Of late, however, impressed by the staying power of many of these regimes, scholars have begun to focus on what has enabled them to persist and often to display a considerable degree of stability—a phenomenon that Andrew J. Nathan, writing about China, has
dubbed “authoritarian resilience.” There is no question that a large number of other nondemocratic regimes, especially in the Middle East and the former Soviet Union, have demonstrated an impressive ability to maintain their hold on power, and it makes good sense to explore the sources of their survival. At the same time, however, the new focus on the resilience of authoritarianism may have led to a tendency to neglect or undervalue the resilience of democracy—a subject that I believe merits fresh attention. Despite the obstacles that democracy has encountered in recent years, it in fact continues to endure remarkably well. In the first place, in a departure from previous cycles, the “third wave” of democratization that began in 1974 has not yet given way to a third “reverse wave,” in which the number of countries experiencing democratic breakdowns substantially exceeds the number giving birth to new democracies. It is true, as Larry Diamond has noted, that the incidence of democratic break down or backsliding has increased in the last few years, but the democratic regimes that have succumbed have all been of fairly recent vintage. Put differently, no well-established or consolidated democracies have been lost. In particular, in countries that have achieved high levels of per capita GDP, there still has not been a single case of democratic breakdown. Part of the explanation, of course, is that democratic regimes today enjoy a high degree of legitimacy, not only among their own citizens but in the world at large. This can be seen in the endorsement that democracy has been given by international and regional organizations, in the way in which nondemocratic countries try to claim the mantle of democracy for themselves, and in the support for democracy that public opinion surveys find in every region of the world. As Amartya Sen has written, In any age and social climate, there are some sweeping beliefs that seem to command respect as a kind of general rule—like a “default” setting in a computer program; they are considered right unless their
claim is somehow precisely
negated. While democracy is not yet universally practiced nor indeed
universally accepted, in the general climate of world
opinion, democratic
governance has now achieved the status of being taken to be
generally right.
The high degree of legitimacy that democracy enjoys can also be observed in the paucity of support in established democracies for antidemocratic movements and regimes elsewhere. During the twentieth century there were significant sources of support in Western public opinion, especially among academics and intellectuals, not only for Marxism, but for Stalin’s Soviet Union, for Mao’s China, for Castro’s Cuba, and for the Sandinistas’ Nicaragua. In the democratic world today, open backing for the regimes of Russia, China, or Iran is rarely to be found. There is of course, a great deal of criticism of Western and especially U.S. policy toward these regimes, but that is a very different matter from endorsing their ideological claims. Yet although explicit sympathy for antidemocratic alternatives is virtually absent among significant groups of citizens in consolidated democracies, this cannot be taken to reflect widespread satisfaction on their part with political life in their own countries. When viewed from the vantage point of emerging democracies, the advanced democracies may appear to be paragons of successful governance, but that is not generally how it looks from the inside, where dissatisfaction with politics is widespread. This manifests itself in contempt for politicians (especially the people’s chosen representatives in the legislature), frequent outbreaks of scandal and corruption, and declining trust in political institutions. Moreover, across the political spectrum, at least in the United States, one hears heightened expressions of concern about escalating partisanship, a coarsening of political discourse, an inability to get things accomplished, and a broader cultural decline. It would be hard to deny that many of these complaints have a good deal of justification. Yet in the developed world democracy remains, if not exactly robust, seemingly impregnable. This may in part be due to an increasing acceptance of what has been dubbed “the Churchill hypothesis”—that “democracy is the worst form of Government except for all those other forms that have been tried from time to
time.”
It is surely true that the failures and drawbacks of other types of regimes help to shore up the continuing appeal of democracy. Even cases such as the People’s Republic of China, with its remarkable success over the past three decades in achieving economic growth and military power, have not been able to convince citizens in the advanced democracies that they would want to sacrifice their liberties to enjoy the putative benefits of single-party rule. The direction of migration in the world remains overwhelmingly from less free countries to freer ones.
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