Pubblicato da luglio 2005. HOME
nel Cristianesimo, nell’islam, nell'Ebraismo
Giovanni De Sio Cesari
( http://www.giovannidesio.it/ )
Sommario: La figura del mercante Nel Cristianesimo Nell'islam Nell'ebraismo
Nel Medio Evo la figura del mercante fu una delle più importanti e significative. Essa pero assunse diversa connotazione etica e religiosa nel mondo cristiano, in quello islamico e nell'ebraismo
Nel mondo cristiano il mercante è visto sempre con sospetto dal punto di vista etico: non viene propriamente condannato ma la sua figura mal si accorda con gli ideali etici e religiosi. Nell'Islam invece il mercante assume un diversa considerazione: non vi è alcuna riserva o preclusione nei suoi riguardi, anzi diventa una personaggio centrale della vita sociale e politica, con grande prestigio anche morale. Nell'ambito ebraico invece assistiamo quasi a una identificazione del mercante con la unica figura di rilievo
In questo lavoro esamineremo le motivazione filosofiche e religiose che portano a tali diverse valutazioni
Nella cultura europea, in linea generale, la figura del mercante è considerata meno prestigiosa di quella del proprietario terriero. Il concetto si trova gia in Roma nella quale l’ordine senatoriale (formato da proprietari terrieri) era considerato superiore a quello equestre (di quelli che si occupavano di traffici e commerci) ed era anzi vietato ai senatori occuparsi di affari Ma la figura del mercante viene dequalificata propriamente nel medioevo cristiano.
Gia nei vangeli vi è, se non condanna, almeno una certa repulsione verso la ricchezza. Il cristiano non deve avere eccessiva preoccupazione per i beni di sussistenza ma confidare soprattutto in Dio:
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Il ricco non è propriamente visto con benevolenza che è invece riservata agli afflitti e ai sofferenti :
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la
vostra consolazione... |
E soprattutto la ricchezza è vista come un ostacolo sulla via della perfezione:
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Da qui la conclusione di Gesù con il famoso paragone del cammello :
Marco 23-25 |
In seguito nel cristianesimo, in linea generale, la povertà fu considerato uno stato eticamente preferibile alla ricchezza : non è vietato propriamente al cristiano possedere ricchezze ma se vuole veramente percorrere il cammino della santità è preferibile che si spogli di essa. I monaci non possono possedere nulla. almeno personalmente (anche se i monasteri spesso sono ricchissimi). Tutti i riformatori religiosi insistono sulla condanna della ricchezza. Non a caso i francescani abbracciano soprattutto "sorella povertà".In questo contesto il lavoro eticamente accettato era quello dei campi mentre veniva respinto quello del mercante.
Il lavoro, o meglio, la fatica nei campi era vista come penitenza o come espiazione dei propri peccati: la mano dell’uomo semina e Dio si compiace quindi di benedire il suo lavoro facendo crescere frutti e messi : la carestia è segno che l’uomo ha troppo peccato e Dio non lo ha ancora perdonato. l’abbondanza è pegno della benevolenza divina.
Il concetto benedettino “ora et labora” non contrappone la preghiere e il lavoro: vi è continuità fra le due attività perchè anche il lavoro è un ringraziamento, una preghiera a Dio: ma si intende il lavoro dei campi non certo la mercatura che anzi è severamente interdetta ai religiosi ai quali viene comminata la scomunica per “baratteria” ,
La figura del mercante viene vista sempre almeno con sospetto quando non è addirittura chiaramente ed esplicitamente condannata.
Il mercante infatti è colui il quale cerca la ricchezza, è quindi avido e avaro, tendente inevitabilmente all’inganno e al raggiro. Non chiede a Dio attraverso la natura il suo sostentamento: se lo procura da solo togliendo i frutti agli altri uomini.
Si aggiunga poi che nel Medio Evo il commercio verteva su beni di lusso, superflui e in contrasto a una esistenza semplice e virtuosa. Anche se non mancava, ad esempio, il commercio di granaglie, infatti la difficoltà dei trasporti, l’insicurezza generale rendeva conveniente trattare soprattutto beni di lusso molto costosi: panni pregiati, le spezie, la seta, l’ artigianato artistico, tutte cose che il pio e il virtuoso disprezzava .
E così Dante nel paradiso condanna la avidità dei mercanti che porta a lussi che corrompono la vita semplice e virtuosa, che toglie gli uomini alla cura della propria famiglia esponendo i coniugi alle gravi tentazioni dell'adulterio :
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il Decamerone del Boccaccio può essere considerato, come mostra il massimo critico, il Branca, il poema del mercante: esso entra pertanto in conflitto insanabile con le virtù etiche e religiose. In verità Boccaccio non nega certo la fede, anzi continuamente la richiama nel Decamerone ma lo spirito del mercante (la furbizia, lo strattagemma) al quale è improntata la sua opera viene in contrasto irrimediabile con la semplicità richiesta al cristiano.
Tutto ciò porta a vedere nel mercante una figura in negativo; anche se in molti epoche e in molti luoghi il mercante assume grande importanza e considerazione sociale e spesso anche la direzione dello Stato (si pensi per esempio alla Firenze delle corporazioni o alle repubbliche marinare ) tuttavia il vero “signore”, il vero nobile è il proprietario terriero che non lavora i campi ma che, comunque, dai campi trae la sua forza. E infatti i mercanti appena hanno raggiunto un certo livello di vita abbandonano la mercatura per diventare proprietari terrieri, acquistano ville in campagna e palazzi in città .
Si dice comunemente che i grandi palazzi che si affacciano sul Canal Grande a Venezia siano il segno della grandezza di quella repubblica. In realtà storicamente è il contrario: sono i segni della decadenza. Infatti i mercanti veneziani quando raggiungevano un grado che essi ritenevano sufficiente di ricchezza smettevano di commerciare, compravano latifondi, si costruivano ville splendide e soprattutto erigevano grandi e sontuosi palazzi. Praticamente smettevano di creare ricchezze e si limitavano a sfruttare il lavoro dei contadini iniziando cosi la parabola della decadenza. Il fatto non riguarda solo Venezia ovviamente, ma un pò tutte le grandi città rinascimentali. Cosi i nostri avi ci hanno lasciato un grande patrimonio artistico e una notevole povertà.
Il Manzoni, nei Promessi Sposi, nel raccontare i natali di Fra Cristoforo mostra quando fosse ancora una grave vergogna per l’Italia del 600 essere di origine mercantile. Solo dopo la rivoluzione industriale il mercante divenuto imprenditore assume un ruolo diverso e prestigioso: anche tuttora per altro non manca diffidenza non verso l’imprenditore in quanto tale ma verso il ricco. Ma questo è altro discorso
Non vi è nell’Islam rigetto verso la ricchezza come nel cristianesimo. L’islam infatti non predica come supremo momento religioso la ascesi. Vero è che essa è messa in risalto dai Sufi, dai Dervisci ma essi sono considerati "deviati" ( in pratica eretici ) dall’islam nel suo complesso che se ne tiene lontano considerandoli di derivazione cristiana. L’islamico ortodosso non ritiene di poter attingere una comunione con Dio nè in questa nè nell’altra vita : il paradiso islamico è un luogo di delizia allietato da conviti e da uri ( fanciulle) dai grandi occhi, non è confusione impossibile con Dio.
Il compito dell’uomo quindi non è un unione mistica con Dio ma l’operare secondo la Shari'ah ( via mostrata da Dio) cioè secondo i suoi precetti. Da questo punto di vista la ricchezza non è condannata, non è ostacolo alla elevazione spirituale ma un fatto assolutamente lecito e anzi vista come una benedizione di Dio. Ciò che viene condannato non è la ricchezza ma la avarizia cioè il non far partecipi gli altri delle propria ricchezza. Infatti l’islam prescrive fra i doveri fondamentali ( uno dei cinque) la elemosina per i poveri e naturalmente più si è ricchi più l’aiuto fraterno nell’ambito della Umma (comunità dei fedeli) sarà consistente. L'elemosina codificata viene definita zakât, che significa propriamente “probità” o “purità " distinta dalla quella volontaria, privata detta detta sadaqa:
Silvia Introvigne L'elemosina secondo l'islam |
Notevole pure notare che la Zikkat poteva esser pagata, oltre che in danaro e frutti della terra, anche in mercanzie destinate al commercio.
Anche nel diritto successorio vige il principio della solidarietà. Nel diritto europeo infatti i discendenti escludono dalla linea successoria i collaterali e altri parenti: la sostanza dei genitori spetta tutta ai figli e anzi nel mondo feudale vi era la tendenza che tutta la proprietà ricadesse per intera sul primo figlio maschio escludendo anche fratelli e sorelle per non spezzettare il feudo. Nel diritto mussulmano invece la eredità viene distribuita più ampiamente a tutti i membri della famiglia secondo complicati calcoli la cui base si trova nel Cirano stesso.
Ad esempio_:
An-Nisâ'(Le Donne ) 11-13 |
In questa concezione quindi è estranea la diffidenza propria del cristianesimo verso il mercante che accumula ricchezza.
Il Corano pone chiaramente la differenza fra usura (proibita ) e commercio ammesso e anzi onorato
Al-Baqara (La Giovenca) |
e inoltre :
ll Creatore |
Lo stesso Muhammed inoltre vive e partecipa a un ambiente mercantile. Anzi ai suoi viaggi commerciali si deve la sua conoscenza delle sacre scritture ebraico cristiane.
Le prime lotte poi dell'slam hanno un carattere commerciale .
La battaglia di Sadr, la prima e emblematica battaglia dell ‘ islam, resa nota attualmente dal richiamo che gruppi estremisti fanno continuamente ad essa, è in realtà una battaglia di mercanti
Nel 634, 3° anno dell’Egira, presso i pozzi di Sadr, circa 300 mussulmani affrontarono quasi mille soldati provenienti dalla Mecca che avevano avuto il compito di proteggere una carovana. I seguaci di Maometto rimasero vincitori. Si trattò di un piccolo scontro ma nella storia dell’Islam ebbe una grande importanza e si parlò anche di visioni di Maometto, di intervento di angeli, di atti eccezionali di eroismo: è considerata comunque la prima battaglia del jihad ed è significativo che l'oggetto fosse proprio una carovana di mercanti : nulla del genere sarebbe concepibile nell’ambito cristiano e certamente angeli e santi non si sarebbero mossi per proteggere delle mercanzie.
Dal Corano poi viene ricavata a serie di leggi spesso specifiche che riguardano il commercio, una specie di di diritto commerciale ancora almeno in linea di principio vigente in quanto parte della Shari’ah. Esiste anche una teorizzazione della conduzione della finanza secondo leggi islamiche. Ad esempio:
L’Islam incoraggia i musulmani a investire il loro denaro e a diventare soci tra loro dividendo i rischi e i profitti dell’attività commerciale piuttosto che diventare creditori. Come stabilito nella Shari'ah, ovvero la legge islamica, la finanza islamica si fonda sulla credenza che colui che fornisce il capitale e colui che lo utilizza dovrebbero spartire in ugual misura i rischi delle imprese commerciali, sia che si tratti di fabbriche, aziende agricole, compagnie di servizi o semplici attività commerciali. Tradotto in termini bancari, il depositante, la banca e il debitore dovrebbero tutti dividere i rischi e i guadagni derivanti dal finanziamento di imprese commerciali. Questo è differente dal sistema bancario commerciale basato sugli interessi, dove tutta la pressione è sul debitore: il debitore deve restituire il suo prestito, insieme all’interesse concordato, indipendentemente dal successo o dal fallimento della sua impresa commerciale. Ciò che emerge da quanto detto è che l’Islam incoraggia gli investimenti affinché la comunità possa trarne beneficio. Tuttavia, l’Islam non desidera lasciare scappatoie per chi non vuole investire e correre rischi, ma preferisce piuttosto ammassare denaro o depositarlo in una banca in cambio di un aumento di questi fondi senza alcun rischio (tranne quello che la banca possa diventare insolvente). Di conseguenza, in base all’Islam, le persone devono investire correndo dei rischi oppure devono subire le perdite economiche determinate dalla svalutazione del denaro per l’inflazione derivante dal mantenere i loro fondi inattivi. L’Islam incoraggia il principio “maggiori rischi, maggiori guadagni” e lo promuove sbarrando tutte le altre strade disponili agli investitori. Lo scopo è fornire uno stimolo all’economia e spingere gli imprenditori a massimizzare i loro sforzi tramite investimenti ad alto rischio.
da : Nida’ul Islam, novembre-dicembre 1995 |
Nel mondo mussulmano la figura del mercante assume una funzione, un ruolo fondamentale tanto che possiamo identificare nel mercante la figura signorile elevata corrispondente al proprietario terriero europeo.
I racconti arabi, le novelle infatti pongono quasi sempre al centro la figura del ricco mercante
Nelle scritture ebraiche vi sono pochi accenni al commercio : il popolo ebraico era infatti formato di pastori e poi di contadini: il commercio, almeno quello più importante, era una prerogativa dei loro vicini nemici, i Fenici. Eppure nel corso del tempo è avvenuto che la figura stessa dell’ebreo venisse indissolubilmente collegata a quella del mercante, l’ebreo nel Medio Evo era “il mercante” per antonomasia. Complessi motivi spiegano un tale processo di identificazione.
Nel Medio Evo gli ebrei conservarono la loro identità culturale e religiosa ma non una terra propria. Poichè sia nel mondo cristiano che in quello islamico il credo religioso era identificativo di un popolo (il laicismo è cosa moderna) l’ebreo veniva ad assumere il ruolo dello “straniero.” Non contava da quanto tempo vivesse in un certo territorio: a Roma vi erano comunità ebraiche prima ancora che sorgesse il cristianesimo, in Mesopotamia addirittura dai tempi della deportazione dei Babilonesi: poichè non erano cristiani o mussulmani erano comunque stranieri, e per questo potevano essere espulsi, come avvenne spesso, dalla Francia e dall’Inghilterra e poi dalla Spagna e dalla Germania. Persino nelle ultime persecuzioni antisemitiche troviamo lo stesso concetto: in Italia durante le leggi razziali la competenza sugli ebrei veniva demandato al ministeri degli esteri come se si trattasse di stranieri
La loro situazione giuridica era simile sia nell’Islam che nell’Europa cristiana. Si trattava di persone che erano "protette" dal potere politico: potevano cioè abitare in una terra non loro (perchè era cristiana o mussulmana) solo con il beneplacito della autorità che poteva esigere anche una contropartita in danaro. Nel modo islamico si trattava della tassa che pagavano anche i cristiani ( gizyàh”) mentre nel mondo cristiano non vi era nulla di prescritto legalmente ma spesso i principi imponevano del tutto arbitrariamente tributi e taglie. In genere si dice che nel mondo islamico la loro posizione fosse migliore: in effetti anche nel mondo islamico non mancarono persecuzioni e massacri indiscriminati .
Tuttavia proprio per costituzione politica i mussulmani erano più tolleranti in fatto di religione: essi infatti avevano conquistato territori prima tutti cristiani , non imposero mai con la forza il credo islamico e quindi era nelle loro leggi e precetto proprio del Corano stesso il rispetto della "popoli del libro" cioè di cristiani ed ebrei. Tuttavia giuridicamente la posizione degli ebrei era simile sia nel mondo mussulmano che in quello cristianoDalla condizione legale di stranieri nasceva la impossibilità per gli ebrei di possedere la terra. Noi moderni pensiamo infatti alla terra come a una proprietà qualsiasi: ma questa concezione è un fatto moderno, effetto delle rivoluzione borghese e moderna. Nel Medio Evo come nell’antichità la vendita della terra non era una semplice transazione commerciale. L’acquisto della terra avveniva per eredita, per assegnazione da parte dello stato, per usucapione pure, ma difficilmente per semplice vendita. In particolare poi nell’Europa medioevale il sistema feudale dava ai possessori della terra anche un potere politico.
Impensabile quindi che la terra potesse essere posseduta da stranieri quali apparivano appunto gli ebrei. La ricchezza fondamentale quindi era preclusa agli ebrei. Spesso anche altre possibilità erano escluse: nell’Europa comunale le corporazioni monopolizzavano anche l’artigianato ed essendo esse a carattere religioso escludevano naturalmente gli ebrei. Anche cariche dello Stato, uffici pubblici erano preclusi: gli ebrei potevano infatti anche essere consiglieri di principi (e lo furono spesso presso i mussulmani) ma solo a titolo privato , non potevano essere insigniti di cariche ufficiali .Il campo rimasto libero era proprio quello della mercatura. L’ebreo di successo quindi non poteva che essere un mercante di successo poiche il successo in tutte le altre attività gli era precluso.
Prof. Giovanni De Sio Cesari
( http://www.giovannidesio.it/ )
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DAL MEDIOEVO EVO AL CAPITALISMO
1910 - A. LABRIOLA: STORIA DEL CAPITALISMO (610 pagine)
CRONOLOGIA GENERALE * TAB. PERIODI STORICI E TEMATICI