Pubblicato da ed ENCARTA settembre 2005. HOME
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NELLA LOTTA AL TERRORISMO
Giovanni De Sio Cesari
(http://www.giovannidesio.it/ )
Indice:
Introduzione Giustizia
internazionale La via
politica Dialogo
culturale ONU.
Molto sentita è l’esigenza di trovare forme alternative di lotta al terrorismo sia in generale sia in particolare a quello cosi detto “islamico” che non siano le operazioni militari, che appaiono contrarie ai nostri principi di pace e collaborazioni fra i popoli da tante volte proclamati solennemente. A molti poi gli interventi militari appaiono non solo illegittimi ma ancora più controproducenti: si ritiene che facciano il gioco dei terroristi, perchè esasperando gli animi spingono sempre più gente ad aderire ad organizzazioni terroristiche. Cosi, si argomenta, l’intervento in Iraq ha finito con l’ingrossare oltre misura le file del terrorismo stesso che appare ora incontenibile in un paese nel quale non si era mai manifestato prima dell’intervento americano.
Si ritiene anche che anche legislazioni speciali che vanno al di la della legalità democratica finiscono con spingere alla illegalità quelli ai quali viene impedita la libertà di espressione e di pensiero e inoltre, cosa ancora più grave, finiscono con il colpire nel mucchio, anche persone del tutto estranee e innocenti provocando risentimenti e odi, un clima di guerra che è l’alimento fondamentale di ogni estremismo e di ogni terrorismo.
Nel presente lavoro cercheremo allora di indicare quali possano essere i mezzi alternativi che la attuale politica dell’Amministrazione americana (e non solo essa) ha tralasciato per analizzarne oggettivamente i limiti, le possibilità le applicabilità.
Teniamo presente tuttavia un punto essenziale: si tratta di combattere un terrorismo gia in atto, qualunque ne sia il motivo, e non di creare una situazione mondiale diversa dalla nostra nella quale guerre, estremismi e terrorismo non possano più esistere: i mezzi hanno diverso valore se indirizzati a fini immediati o a fini perseguibili in un indeterminato numero di anni non quantificabile e comunque ampio.
Per chiarezza metodologica precisiamo cosa intendiamo in questo articolo per terrorismo. Ci riferiamo al fenomeno per il quale gruppi politici religiosi, etnici, o di altro tipo cercano di raggiungere propri fini con attentati che colpiscono soprattutto e deliberatamente dei civili (Baschi, Ceceni, moros delle filippine, Palestinesi). Per terrorismo islamico poi intendiamo quello particolare che viene esemplificato da bin Laden (anche se in genere bin Laden un certi casi non c’entra per niente)
Tale terrorismo in realtà è una forma di guerra: poichè tali gruppi non sono in grado di affrontare gli eserciti regolari essi ritengono che possano raggiungere i propri fini politici creando il terrore nelle popolazioni civili per indurre quindi i governi ad accettare le loro richieste.
Si ritiene generalmente che la causa prima e generale delle guerre e quindi anche del terrorismo vada ricercata essenzialmente nelle ingiustizie politiche e sociali che esistono nel mondo. Se non ci fossero ingiustizie non ci sarebbero nemmeno i conflitti. Possiamo dire cioè che se vogliamo la guerra dobbiamo operare per le giustizia: la pace si fonda sulla giustizia .
Il concetto appare teoricamente ineccepibile e quindi ha un larghissimo seguito nella opinione pubblica.
In realtà però bisogna chiedersi cosa che cosa sia il “giusto” e l’ “ingiusto”. Se due popoli, due parti politiche sono in conflitto armato fra di loro avranno anche idee diverse su quale debba essere la “ giusta” soluzione del problema, crederanno ambedue di essere nel “giusto”.
I Baschi dell’ETA riterranno giusto che si crei uno stato basco, l’IRA crederà giusto che anche l’Irlanda del nord faccia parte della Repubblica Irlandese, i Ceceni che la Cecenia sia Stato indipendente mentre gli avversari ( Spagnoli, Inglesi Russi) saranno convinti del contrario.
Ebrei e palestinesi arabi ritengono ambedue che “secondo giustizia” la Palestina appartenga ad essi: noi occidentali riteniamo che sia giusto invece dividerla in due stati distinti e indipendenti.
Anche il “terrorismo islamico” ritiene di combattere per una causa tanto giusta che si aspettano che i combattenti che cadono vengano direttamente assunti in Paradiso mentre gli americani parlano di una crociata contro la barbarie e il fanatismo per la libertà e la democrazia
Non importa niente ora sapere dove sia la “vera” giustizia, ammesso poi che questo concetto significhi veramente qualcosa: importante è che i contendenti non siano d’accordo su di essa.
Se noi vogliamo affermare la giustizia è più facile allora che esacerbiamo i conflitti più che dirimerli.
In realtà la pace non si fa affermando la “ giustizia” ma arrivando a dei compromessi per cui ciascuno cede una parte di quello che egli ritiene e proclama giusto.
Si tenga poi conto che pensare che il terrorismo nasca dalla ingiustizia significa in realtà fornire ad esso una giustificazione. In altri termini ogni gruppo che pratichi il terrorismo si sentirà nel giusto e quindi legittimato. Il risultato sarebbe quello di incrementare a dismisura il fenomeno: ogni gruppo finirebbe con il convincersi che dal momento che il terrorismo è effetto della ingiustizia allora esso è lecito e alla fine risulterebbe anche vincente.
Pertanto anche se in generale un ordinamento più “giusto” nel mondo potrebbe ridurre i conflitti, in realtà “concretamente” non si può dirimere un conflitto in atto muovendosi in direzione della “giustizia”: si rischia invece di esasperarlo e allargarlo.
Non è sempre chiaro che si intenda con questo termine che spesso viene usato genericamente come “qualcosa altro“ dall’intervento militare. Noi intendiamo il termine come “trattative". Esse in realtà non escludono l’intervento militare, anzi la “carta” più forte in mano ai negoziatori è proprio la minaccia dell’intervento militare che deve essere quindi anche credibile. Non a torto il Clausewitz parlava della guerra come continuazione della politica con altri mezzi. Entrano però nelle trattative anche corrispettivi economici e commerciali, principi internazionalmente accettati, pressioni delle opinioni pubbliche nazionali e internazionali. Certamente la trattativa è indubbiamente il mezzo fondamentale ( se non l’unico) per risolvere i conflitti senza far ricorso alla guerra. D’altra parte anche la stessa guerra poi ha sempre bisogno delle trattative per risolversi in qualche modo: dopo ogni guerra si debbono firmano i trattati di pace.
Come abbiano notato sopra l’idea della giustizia di per se non può dirimere i conflitti perchè ciascuno dei contendenti ha, almeno nel caso specifico, una idea diversa di quello che sia giusto o meno, altrimenti probabilmente non ci sarebbe nemmeno il conflitto stesso
La pace si fa quindi come si fa un accordo commerciale: non si cerca il “giusto” prezzo (e quale sarebbe poi?) ma bisogna in qualche modo accontentare tutte le parti in causa, dando a tutti qualcosa anche a quelli che hanno “ torto” ( ma chi lo stabilisce poi il “torto”?). Dopo una guerra per avere la pace bisogna che il vinto abbia qualcosa che abbia perduto, che il vincitore mantenga una parte di quello che ha conquistato, si deve venire incontro a tutte le esigenze come meglio si può.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale si vollero punire i presunti responsabili della catastrofe (la Germania e l’Austria) e si preparò in realtà una nuova e più terribile guerra: alla fine della Seconda Guerra Mondiale invece i presunti responsabili (Germania Italia e Giappone) furono aiutati generosamente (meglio dire: accortamente) al pari dei vincitori (Francia e Inghilterra ) e si è giunti a una pace stabile e duratura.
E quindi è il compromesso trovato faticosamente dalla diplomazia a ristabilire la pace.
Tuttavia questo criterio trova non poche difficoltà ad essere applicato nel caso del terrorismo .
Innanzi tutto c’ è un problema di base: venire incontro alle richieste dei terroristi significa in realtà legittimarlo e amplificare il fenomeno: si rischierebbe che altri gruppi, sarebbero poi incoraggiati a percorrere la stessa strada. Se invece per principio, a prescindere che le richieste siano fondate, legittime o giuste non si accede mai a richieste portate avanti con il terrorismo evidentemente si scoraggeranno tutti a ricorrere a questo metodo e quindi il terrorismo alla lunga sparirà. E’ quello che avviene per i sequestri di persone: se, per principio, si impedisce alla famiglia di pagare il riscatto evidentemente finiranno anche i sequestri di persona. Pertanto, si può argomentare, se questo terribile tipo di guerra che è il terrorismo non ottiene nessun risultato esso tenderà a sparire; se invece si va incontro alle sue richieste avremo sempre più gruppi che ricorreranno ad esso. E’ il criterio adottato per esempio per le BR al tempo del rapimento di Moro: se il governo avesse aderito a trattative di qualsiasi genere con i “brigatisti” avremmo avuto una sequela di rapimenti: il fermo rifiuto ad ogni trattativa invece troncò il fenomeno anche se costò la vita all’on. Moro.
Un altro elemento importante che limita la via politica della trattativa è che in genere il terrorismo si pone fini irrealistici. Se noi non parliamo di giustizia tuttavia possiamo parlare di ragionevolezza delle richieste nel senso che esse possono effettivamente essere accettate.
Ad esempio nel conflitto arabo-israeliano è “ragionevole” cioè realistico pensare che gli arabi debbano avere una propria nazione indipendente ma non è ragionevole (cioè è irrealistico) ritenere che Israele debba essere cancellata: sono possibili negoziati sulla formazione di uno stato palestinese ma non sulla distruzione di Israele. Ora i movimenti terroristici (come hamas) si pongono proprio tale fine assolutamente irrealistico per cui è impossibile avere un negoziato su queste basi.
Cosi anche la formazione di uno stato Basco indipendente o la annessione dell’Irlanda del nord alla repubblica di Irlanda sono obbiettivi del tutto fuori dalla realtà. Non diciamo che tali obbiettivi siano o meno “giusti”: diciamo che sono irragionevoli in quanto non realizzabili.Se poi osserviamo il terrorismo islamico in realtà noi non solo non abbiamo nessuna richiesta ragionevolmente sia pure irrealizzabile (come nel caso di Hamas e dell’ETA basca ) ma non abbiamo nemmeno nessuna richiesta concretamente definita.
Il tradizionalista islamico infatti combatte per difendere quel mondo di valori e di usi che egli sente come il fondamento della sua civiltà e che egli vede insidiato dal contagio con la civiltà occidentale ed ha, badate bene, perfettamente ragione.
Una donna pashtun nel remoto Afganistan porta il burqa ed esce di casa raramente solo con il permesso del marito a cui la famiglia l'ha destinata: pensa che sia cosa naturale, credo che sia giusto e santo, inch’allah, sia fatta la volontà di Allah: sarà anche contenta e serena e forse felice: poi vede in TV un film in cui donne europee vanno in discoteca, scelgono il marito da sole, vanno in ufficio, si stendono sulle spiagge a prendere il sole. E allora di improvviso il burqa le sembra una prigione, il marito un tiranno, nasce l’inquetitutine, l‘insoddisfazione. Non che la donna afgana non vuol essere buona moglie e buona madre ma ha scoperto che vi è anche un modo diverso di esserlo, un modo che le pare tanto più desiderabile. Ecco come l’universo tradizionale cade in frantumi di fronte al contagio dell’Occidente ed è questo che il tradizionalista islamico combatte.
Ma cosa potrebbe fare l’Occidente? In realtà egli non impone affatto i propri modelli di vita perchè lo vuole: sono i modelli stessi che si diffondono con una dinamica propria, non controllabile dallo stesso Occidente.
Le richieste di ritirare i propri eserciti dall’Iraq e dall’Afganistan in realtà sono successive al terrorismo stesso: prima vi è stato l’11 settembre e poi gli interventi militari: accedere a queste richieste o trattare su di esse darebbe al terrorismo un immenso credito nel mondo mussulmano, senza peraltro diminuirne la aggressività anzi la incrementerebbe in quanto apparirebbe vincente. Il fine reale del terrorismo islamico è quello di rovesciare i governi dei paesi islamici che non siano fondamentalisti, (praticamente tutti o quasi) per sostituirli con emirati islamici. Essi colpiscono l’Occidente perchè lo ritengono la fonte del male (il grande satana ), per “quello che è non per quello che fa” come è stato detto. Anzi fino a qualche decennio fa l’integralismo e l’Occidente si incontravano in funzione di contrasto al comunismo ateo: bin Laden allora era finanziato dagli Americani come tutti sanno.
Bisogna infine tener conto che il terrorismo islamico è un fenomeno non gerarchicamente organizzato: non ci sarebbe nemmeno una controparte credibile con la quale intavolare trattative.
E' certamente giusto dire che lo sviluppo dei rapporti culturali, la comprensione fra i popoli, la compenetrazione fra le civiltà prevengono e dirimono i conflitti. Ma deve tenersi presente che questi mezzi agiscono su un lungo periodo. Possiamo pensare di disarmare il terrorismo con la comprensione fra le civiltà: ammesso che sia possibile, ma quanti anni o decine di anni o secoli ci vorranno? Il rapporto con gli islamici è cominciato ormai da secoli, e tuttavia le incomprensioni restano: non si può ragionevolmente pensare di contrastare il terrorismo o una guerra in atto promuovendo una maggior comprensione: ci vorrebbero generazioni e comunque il perdurare delle ostilità renderebbero sempre difficile il dialogo stesso.
Ad esempio si può pensare che Arabi e Israeliani possano riconoscersi, comprendersi collaborare e creare magari un unico stato laico e tollerante. Ma certo non sarà per questa generazione e nemmeno per la prossima; cinquanta anni di aspra lotta hanno creato troppo odio.
Non è poi nemmeno vero che i conflitti nascono sempre fra gruppi che non si conoscono abbastanza, anzi al contrario. Baschi e Irlandesi hanno sempre convissuto con Spagnoli e Inglesi e non si può certo dire che non si conoscano abbastanza: questo però non impedisce affatto che sorga un terrorismo basco o irlandese.
Per quanto riguarda poi il terrorismo islamico bisogna tener conto che esso è proprio rivolto “contro” il dialogo, vuole rescindere ogni legame con l’Occidente considerato il grande satana, il corruttore della purezza dell’islam.
Spesso si parla di intensificare il rapporti con l’islam moderato: ma esso è il vero nemico del fondamentalismo: in realtà il terrorismo islamico è rivolto non contro l’Occidente in sè ma proprio contro l’Occidente in quanto sostenitore dell’islam moderato. Si tenga inoltre presente che le elittes culturali moderate al governo in quasi tutti i paesi islamici, sono generalmente corrotte: il sostegno ad esse si traduce spesso presso le masse islamiche con un identificazione fra Occidente e corruzione. Inoltre l’appoggio troppo aperto alle elittes moderate al potere finisce con lo squalificare le elittes stesse che appaiono come i fiduciari dell’Occidente, come appunto li dipinge il fondamentalismo.
La lotta fra moderati e fondamentalisti nel modo islamico è una lotta armata che ha provocato milioni di morti, combattuta con mezzi crudeli, fra repressioni e attentati: possiamo appoggiare i moderati ma questo in realtà significa intervenire in uno scontro sanguinoso. Non per niente quello che maggiormente temono i fondamentalisti arrestati in Occidente è quello di esser consegnati alle autorità di paesi di origine. Persino a Guantanamo il peggio che può accadere ai prigionieri è di essere estradati nei paesi di origine.
Pensare che l’Islam moderato possa essere invocato come mediatore è idea assolutamente fuori della realtà.
Spesso si pensa che nel rapporto con il terrorismo occorre fare riferimenti all’ONU che darebbe garanzie di legalità internazionale e alle mediazione degli arabi stessi che non sarebbero percepiti come forze di invasioni come avviene per gli eserciti occidentali. Le due opzioni sono state particolarmente invocate nel caso della invasione dell’ Iraq ed dell’Afganistan. Esaminiamole brevemente:
La realtà evidente è che l'ONU non è stata in grado di impedire agli USA di attaccare l'Iraq nella stessa misura in cui non sarebbe certamente stata in grado di difendere gli USA dal terrorismo o dalle paventate armi di sterminio che l'Iraq avrebbe potuto procurarsi.
L'ONU non è riuscita a impedire nessuna guerra, nessuna delle sue risoluzione ha avuto attuazione senza che convenisse alle parti in contesa.
Di più: le truppe dell'ONU non hanno impedito mai nessun massacro: Solo qualche esempio. Sbrenika era una città difesa (si fa per dire) da truppe dell'ONU che garantivano gli abitanti: quando arrivarono le milizie serbe non fecero nulla (un gruppo fu messo in mutande per umiliazione) : gli occupanti presero tutti gli uomini di Sbrenika (che si erano fidati dell'autorità dell'ONU) e li fucilarono nei boschi.
In Ruanda sotto gli occhi spaventati dei Caschi Blu furono massacrati gli Hutu a centinaia di migliaia: gli europei furono salvati da reparti europei che sbarcarono all'aeroporto: e chi non era europeo restava fuori dei cancelli.
Pensare che truppe ONU (per altro inesistenti) possano fronteggiare le bande irachene o gruppi terroristici in qualunque paese è del tutto privo di qualsiasi fondamento.
Bisogna anche considerare in particolare che i fondamentalisti islamici ritengono l'ONU espressione dei valori europei contro i quali si sentono in lotta mortale, che accusano l'ONU di essere la maggior responsabile della nascita di Israele: e dal loro punto di vista hanno perfettamente ragione. Quelli che all’ONU sono definiti “diritti umani” e “principi dei rapporti intenzionale” sono considerati aberrazioni anti islamiche contro cui si deve combattere con ogni mezzo.Non certo a caso l'ONU è stata la prima ad essere attaccata in Iraq dai terroristi islamici e la prima, in verità, pure a fuggire: seguita poi a distanza e più dignitosamente da tante organizzazioni umanitarie
D’altra parte la figura stessa dell’ONU non è una autorità super partes che possa erigersi a giudice supremo: in realtà è costituita semplicemente da tutti gli stati e riflette nel suo interno le tensioni internazionali.
Ciò non toglie che L’ONU possa assumere una importante funzione nello svolgesi delle trattative, aver propri rappresentanti come testimoni (peacekeeper e non peacemaker ): ma siamo nell’ambito delle trattative di cui abbiamo trattato sopra e alle quali rimandiamo.
Può darsi che un giorno l’ONU abbia la autorità e la forza di dirimere veramente i conflitti internazionali. Speriamolo, ma certamente anche questo non sarà per questa generazione e nemmeno per la prossima.
Spesso si invoca l'intervento di truppe arabe o comunque islamiche in sostituzione degli Occidentali, Innanzi tutto nessun paese arabo è disposto a partecipare e anche se fosse disposto non avrebbe forze sufficienti.
Ma c'è un problema più profondo: in tutto il medio oriente si combatte una guerra civile tutta interna fra moderati e integralisti: un esercito arabo sarebbe necessariamente subito identificato come appartenente a una delle fazioni: certamente dei moderati, perchè non esistono regimi integralisti e sono propri contro questi che i terroristi islamici sono in lotta. In realtà gli arabi sono gia in guerra con i terroristi molto prima e molto di più che gli Occidentali: sono essi che possono avere bisogno dell’aiuto Occidentale e correndo il rischio di apparire come truppe ausiliare degli Occidentali stessi.
Si può pensare che la lotta al terrorismo possa esser condotta applicando rigorosamente le leggi da parte della magistratura: per alcuni non occorre nemmeno una legislazione speciale che comporterebbe un colpo allo stato democratico e di diritto, altri invece ammettono leggi specifiche ma sempre nell’ambito generale dei principi democratici. Molto affidamento inoltre si fa sulle operazioni di intelligence.
Esaminiamo la concreta validità di tali strumenti.
Nel diritto penale vige il principio "in dubio pro reo" (nel dubbio bisogna assolvere il reo): quando una giuria dichiara NON colpevole un imputato non afferma affatto che esso è realmente non colpevole ma semplicemente che nel corso del dibattimento non sono emerse prove certe ( beyond reasonable doubt : al di la di ogni ragionevole dubbio, come si dice nella common law) che esso è colpevole. I giuristi dicono anche che il codice penale non è concepito per limitare il crimine ma per limitare l'azione contro di esso. In parole semplici questo significa che i cittadini nello stato di diritto sono tutelati da eventuali arbitri dell'autorità: nello stato non di diritto (teocratico) invece il giudice è arbitro supremo e condanna chi ritiene colpevole alla pena che ritiene adeguata. Il sistema è concepito per perseguire il ladro, lo scippatore, l'assassino (e nemmeno poi tanto bene, a quanto sembra) ma il terrorista islamico non è assimilabile al comune delinquente.
E' stato osservato che se la polizia avesse fermato gli attentatori dell’11 settembre probabilmente questi sarebbero stati poi rilasciati in pochi giorni. La legge infatti non può punire chi non ha commesso un reato ma potrebbe commetterlo, non può intervenire nel campo delle opinioni personali, del libero pensiero. La famosa decisione del giudice italiano Forleo poi non era destituita di fondamento su un piano propriamente giuridico.
Soprattutto però è la sanzione del sistema giudiziario che è del tutto inadeguate. Esse innanzi tutto sono erogate "dopo" che è stato compiuto l’atto e non "prima" per prevenirlo: ma non è tanto importante punire gli attentatori dopo l’attentato: occorre fermarli prima. Poi il loro effetto dissuasorio è minimo rispetto al terrorista. L’ergastolo può essere un grave minaccia per un rapinatore, ad esempio, che valuta costi, rischi benefici: ma che valore potrebbe avere per persone che mettono nel conto la morte ed anzi sono pronti al suicidio.
Libertà provvisoria, misure alternative, funzione riabilitativa della pena sono tutti istituti non applicabili sostanzialmente ai terroristi. Si aggiunga poi che le connessioni intenzionali, le basi in altri paesi sono difficilmente perseguibile. Nessun giudice avrebbe potuto ad esempio fare arrestare bin Laden e se questo fosse processato probabilmente verrebbe assolto per mancanza di prove e se fosse condannato questo certo non spaventerebbe minimamente i suoi seguaci anzi. Il terrorismo è un atto di guerra e non può essere perseguito come un crimine comune.Anche la “intelligence” in realtà non può fare molto specie se poi si pretende che essa resti su un piano di legalità. Non bisogna pensare infatti a scenari resi popolari dai film di 007. In realtà i servizi di sicurezza agiscono essenzialmente comprando informazioni. Per ottenere le ricompense si presenta una folla di personaggi che per la massima parte sono pataccari e millantatori: bisogna distinguere poi i veri informatori i quali solo eccezionalmente sono mossi da motivi ideali e quasi sempre invece dalla avidità di danaro e in genere poi fanno anche il doppio gioco. Spesso l’opinione pubblica è scossa dal fatto che le autorità erano state informate di atti di terrorismo e non hanno preso provvedimenti: ma in realtà è difficile distinguere in un mare di informazioni fasulle quelle vere.
A queste difficoltà si aggiunge la quasi impossibilità di infiltrare informatori in ambienti cosi esclusivi come quelli del fondamentalismo religioso Anche la lingua araba diviene un grossa difficoltà, difficile anche reperire interpreti, soprattutto interpreti fidati.
Un altro problema è che le organizzazioni terroristiche islamiche (a differenza di altre) non costituiscono un tutto organico con una sola direzione nella quale infiltrarsi .
Ad esempio "al qaeda", che significa "il covo, la base" era struttura nella quale gli estremisti islamici arrivavano da tutto il mondo mussulmano e per addestrarsi, organizzarsi, soprattutto direi per un supporto psicologico, una copertura politica religiosa, un indottrinamento. Ma bin Laden non controllava affatto le loro azioni. Le organizzazioni terroristiche nascono per spontanea imitazione, come si dice, per "franchising". Ogni gruppo opera un attentato, poi i membri muoiono, vengono scoperti, si disperdono, praticamente si scioglie e ne nascerà poi un altro in qualche altra parte.
Le indagini di polizia, l’opera della magistratura, l’intelligence sono certamente elementi a cui non si può rinunciare ma per la loro stessa natura non possono considerasi risolutivi nella lotta al terrorismo: esso infatti non è un fatto di ordine pubblico ma un atto di guerra.
Dopo l’11 settembre gli USA aveva due possibilità : o considerare l’accaduto un fatto gravissimo ma isolato e concretamente non fare nulla oppure considerare quell’atto una dichiarazione di guerra del terrorismo islamico internazionale: in questo ultimo caso l’unica reazione credibile era l’intervento militare. La scelta quindi non è mai stata fra guerra o altre opzione (che in realtà non esistono) ma nell’interpretazione dell’11 settembre. Non sappiamo quali sarebbero state le conseguenze di una diversa interpretazione e non lo sapremo mai perché con i “se” e con i “ma” non si fa storia. Non importa nemmeno concretamente saperlo: ormai gli interventi militari sono stati operati e da essi potrà solo uscire un vincitore e un vinto: non ci si può ritirare da una guerra una volta iniziata senza uscirne sconfitti.
Folle oceaniche inneggianti alla pace in tutto il mondo non hanno fermato l’invasione dell’Iraq perché in realtà esse non presentavano una alternativa credibile e praticabile. Il problema di attaccare l’Iraq era semplicemente una decisione tecnica (magari poteva essere più vantaggiosa invadere l’iran o la Siria). La scelta politica delle armi era stata già fatta, opportuna o errata che fosse, non si poteva tornare indietro.
I mezzi alternativi (giustizia, politica, dialogo, mediazioni, via giudiziaria) possono essere essere presi in considerazione solo sui tempi lunghi, non possono avere alcuna efficacia nel momento in cui la guerra è gia in atto.
La causa prima dell'affermarsi del nazismo può essere rintracciata negli errori della pace di Versailles e poi si potevano fare molte cose perchè Hitler non si affermasse al potere in Germania: da un trattato di pace più equo ad aiuti economici ad alleanze politiche, al dialogo, a un maggiore impegno della cultura : ma quando le armate del III Reich si mossero solo la guerra poteva fermale. Analogamente ora gli eserciti dei terroristi e degli Occidentali si sono mossi: non importa di chi sia la colpa (ammesso che abbia senso parlare di"colpa" ): purtroppo la parola è alle armi.
Giovanni De Sio Cesari
(http://www.giovannidesio.it/ )
la precedente puntata:
TERRORISMO ISLAMICO VISTO DAGLI OCCIDENTALI
DUE TESI A CONFRONTO
(QUESTO E GLI ALTRI ARTICOLI SULL'ISLAM RIPORTATI QUI DA "CRONOLOGIA"
SONO STATI TRADOTTI E PUBBLICATI ANCHE IN AMERICA)
vedi per approfondimenti il "PIANETA ISLAM"
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