Pubblicato in APPUNTI dicembre 2024
La crisi del M5S
Giovanni De sio Cesari
Grillo è intervenuto duramente nelle dinamiche del M5S, rivendicando il suo ruolo di garante e affermando che il Movimento sta diventando qualcosa di molto diverso rispetto a quello che egli ha fondato e delle cui caratteristiche fondamentali è investito con la funzione di "Garante".
In realtà, ciò che sostiene Grillo è assolutamente vero; tuttavia, si tratta di un fatto che si è verificato già da molti anni, diciamo almeno dalle elezioni del 2018. I passaggi cruciali di questa trasformazione sono stati approvati e sostenuti dallo stesso Grillo, che ha persino emarginato coloro che, come Di Battista, volevano mantenersi fedeli all’impostazione originale del 2009.
Soprattutto, occorre rendersi conto che l’allontanamento dalle teorie originali nei movimenti politici non è dovuto a presunti tradimenti o deviazioni di questo o quel personaggio, ma al fatto che, se le teorie falliscono di fronte alla realtà effettiva e appaiono di impossibile realizzazione, necessariamente subiscono modifiche consistenti, talvolta stravolgenti.
Facendo qualche esempio, ricordiamo il comunismo marxista: è vero che il comunismo reale, affermatosi in tanta parte del mondo, era cosa molto diversa dal pensiero marxiano, ma ciò non avvenne per il tradimento di Stalin, Mao o Pol Pot. Avvenne perché, di fronte alla realtà effettiva, l’idea marxiana che l’abolizione della proprietà privata avrebbe portato a una società in cui l’uomo, liberato dalle catene dell’egoismo, avrebbe "dato per quanto poteva e ricevuto per quanto avrebbe avuto bisogno" si rivelò del tutto irrealizzabile. Tanto che non fu nemmeno possibile avviare un processo del genere. L’abolizione della proprietà privata portò invece a feroci dittature, a repressioni mai viste nella storia, e si poté costruire soltanto quello che, sprezzantemente, fu indicato come capitalismo di Stato, che tuttavia portò anche un certo sviluppo.
In fondo, lo stesso discorso può essere fatto anche per altri movimenti ideali. Si pensi al sogno mazziniano di pace, giustizia e collaborazione nel mondo portati dalla nazione-stato, che si trasformò invece in nazionalismi esasperati, sfociati nelle due più grandi tragedie dell’umanità: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.
Anche il celebratissimo pensiero di Gandhi, il Mahatma (la grande anima), non fu mai realizzato, anzi, in pratica non si tentò nemmeno.
Certo, il progetto di Grillo non può essere paragonato a questi grandi movimenti, nemmeno lontanamente: si tratta solo del pensiero comune di un attore che non ha idee né dell’effettivo funzionamento della politica, né della storia. Tuttavia, il processo è analogo: i fatti rendono impossibile la realizzazione di un’idea, che quindi necessariamente si trasforma in qualcosa di diverso.
Vediamo infatti quale era la proposta di Grillo e la sua realizzazione nel tempo.
Grillo partiva dal famoso “vaffa”: tutto il mondo politico, destra e sinistra non importa, è corrotto e incapace, così come tutte le strutture della società. Non si rendeva conto che questi sono fenomeni comuni, direi inevitabili, nella storia dell’umanità. Occorre allora un cambiamento radicale che, secondo Grillo, consisteva essenzialmente in una democrazia diretta, un assemblearismo in cui gli eletti erano semplicemente, si diceva, portavoce del popolo. Si parlava quindi di mandato imperativo, ignorando che la democrazia moderna nasce proprio con il divieto del mandato imperativo, presente invece nelle assemblee pre-democratiche.
Si credeva che le piattaforme informatiche avrebbero reso possibile conoscere con immediatezza e facilità la volontà popolare, e tutto sarebbe tornato a posto. Si ignorava che la democrazia diretta è sempre e dovunque fallita non per difficoltà di consultazione, ma perché l’uomo comune non è in grado di decidere su complessi problemi economici e politici, come un bilancio statale, un tasso di cambio, o una politica in Medio Oriente o in Cina. I politici, infatti, sono supportati da un enorme numero di esperti, e forse la loro più grande capacità è quella di scegliere quelli giusti.
All’elettore può spettare solo un indirizzo generale – di destra o di sinistra – giudicando dai risultati concreti. Ma il politico è un mestiere difficile e complesso, che assorbe tutta la sua attività. Il limite dei due mandati, coerente con il pensiero grillino della democrazia assembleare, è invece del tutto assurdo nella politica reale.
Il movimento ebbe un inaspettato successo elettorale nelle elezioni del 2013, intorno al 25%, divenendo l’ago della bilancia per la formazione del entrati in quel mondo considerato inetto e corrotto. Si teorizzava un successo superiore al 51%, del tutto irrealistico, anzi un’unanimità che si sarebbe manifestata con la caduta di tutto il vecchio mondo politico. A quel punto, si ipotizzava lo scioglimento del movimento stesso. Ovviamente, erano sciocchezze irrealizzabili per chiunque avesse una minima consapevolezza della realtà storica e politica effettiva.
Seguendo questa stramba ideologia, la notevole affermazione elettorale si trasformò in un’assoluta irrilevanza, e il governo passò al perdente PD con un appoggio parziale della destra.
Con le elezioni del 2018, il successo del M5S si consolidò, superando il 32%. Ma questa volta si fecero alleanze (non più definite inciuci): prima con la destra di Salvini, poi con la sinistra, e infine si appoggiò un governo tecnico di Draghi. Una girandola di passaggi contrastanti mai vista prima nella storia della Repubblica.
A guidare il Movimento, per una pura coincidenza, fu chiamato Conte, un oscuro avvocato di provincia, messo come presidente per motivi di equilibrio fra le parti, che però dimostrò di avere senso della realtà. Va notato che Grillo approvò tutti questi strani passaggi, deridendo coloro che li contestavano.
Il limite del terzo mandato, caparbiamente sostenuto da Grillo, ha allontanato tutti coloro che avevano avuto la possibilità di acquisire un minimo di esperienza. Il partito è rimasto praticamente nelle mani di Conte, senza nessun altro in grado di sostituirlo.
Alle elezioni del 2022, la divisione tra il M5S e il PD ha portato al successo della destra guidata da Meloni, mentre il M5S dimezzava i voti, passando dal 32% al 15%. Questa percentuale si mantiene sostanzialmente invariata ancora oggi, anche se leggermente più bassa. L’unica prospettiva per battere la destra risiede nella formazione del cosiddetto "campo largo", cioè un’alleanza tra PD, M5S e altre formazioni minori.
Le ultime vestigia delle impostazioni iniziali si stanno quindi perdendo, e il M5S di Conte si autodefinisce un movimento progressista, una definizione tutt’altro che chiara. A questo punto, Grillo rientra pesantemente in gioco, riaffermando il suo ruolo di garante. Ma come è possibile, in un movimento nato sul mito che 1=1, affermare poi che una sola persona abbia il potere di decidere per tutti?
Questo fenomeno si verifica spesso quando si invoca una democrazia diretta assoluta: alla fine, chi dirige è uno solo. Un esempio analogo si trova nel bolscevismo, che nominalmente significava "assemblea di base", ma che alla fine si riduceva al comando di un solo individuo, come Stalin, in altre dittature.
Inoltre, è scandaloso che un partito che pretendeva che tutti i suoi eletti versassero la maggior parte del loro stipendio (pagato dallo Stato) al partito stesso, garantisca poi al fondatore un compenso di 300.000 euro l’anno, quasi 1.000 euro al giorno.
Non sorprende, dunque, che per ben due volte consecutive gli iscritti al Movimento abbiano riaffermato la linea sostenuta da Conte, di fatto cacciato via il fondatore Grillo .