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Colonialism and Welfare  

 

 

 

 

 

Colonization, Decolonization and Neocolonialism

from the Perspective of Justice and the Common Good

 

Judge Roberto Andrés Gallardo

& Chancellor Marcelo M. Suárez-Orozco

https://www.pass.va/en/events/2023/colonization.html

 

 

The colonization of territories ignited the first wave of globalization. European sea captains began regular transoceanic travel in the 15th and 16th Centuries for the first time systematically connecting lands and peoples that had been unconnected.[1] The European powers advanced on new lands, subdued them – militarily and politically but also culturally – and began a progressive and uninterrupted process of spoliation. Then, in the 19th and 20th centuries, colonization reached new heights with different characteristics and new protagonists, but with the constant objective of extracting wealth from lands and peoples. The nexus of colonial domination and extraction linked, in powerful and enduring ways, European powers to native lands in the Americas, Africa and Asia. The echoes of colonialism live in many of the defining features of economy and society in the former colonialized lands.

The peoples subjected in the processes of colonial domination endured cultural, social, political and economic mutations, mostly as a consequence of acts of domination, violence, genocide, and demographic collapse.[2] Forced labor, slavery, territorial displacement and the appropriation of natural resources were commonplace. The commodification of land and labor gave birth to new forms of capitalism based on the violent extraction of profit from humankind and nature.

Colonization also meant the replacement of the original social models by exogenous ones, which legitimized domination under various guises and created new axiological paradigms in accordance with their own needs. Supposed racial superiority, civilization and religion were some of the arguments used to consolidate the advance of colonial practices. Psycho-social violence and pseudo-scientific models of anthropological evolution racialized entire human populations as inferior and in need of paternalistic guidance.[3]

Native institutions were annihilated and along with them all those ancestral ways of thinking and traditions that preserved a particular balance between human settlements and their natural surroundings. Psychological denigration and debasement of native mentalités became integral tools of domination.

The ideas of justice and the common good that existed in those territories prior to the conquest were suppressed and replaced by the “enlightened” ideas of the central powers. To this end, each and every one of the socialization channels was co-opted. Establishment culture and education disparaged pre-existing forms of thought and, under the guise of their barbarism, banished them from the new prevailing thought.

The decolonization processes that began with the independence movements of the 19th century and culminated with the last emancipatory events of the mid-20th century, did not lead to a reversal of domination. Although the format changed and the former colonies acquired a new nominal status, in reality spoliation, political subjugation and cultural colonization are still very much alive today.

Neocolonialism, which is now twinned with neoliberalism, is thorough and implacable when it comes to consolidating results for global centrality. Today, formerly colonized peripheral countries have the international political status of free regions, but, in most cases, they are subjected to new economic and cultural paradigms of domination. The wealth of the colonizers is a necessary cause and consequence of the poverty of the colonized.

In the 21st Century, the human face of neocolonialism are massive inequalities, war and terror and the mass catastrophic migrations from the formerly colonialized territories into the wealthier regions in Europe and North America. As an immigrant from the former colonies in the United Kingdom put it, “we are here, because you were there.”[4]

Justice and the common good were and are traversed by these processes of colonization, decolonization and neocolonialism. Viewing the institutions of Africa and America through that historical prism and understanding the current dynamics of domination and subjugation, allows us to shed some light on the contemporary tragedies of hunger, war, catastrophic migrations, displacement and marginalization referenced by Pope Francis in his famous encyclical Laudato Si’.

Recently, the Holy Father confirmed his specific concern on the subject, stating that “Many countries of the American continent and an important group of countries of the African continent share a common historical past of spoliation, domination, and control and they have also been brutally subjected to the dictates of the global economy. Both continents have high rates of poverty and unemployment: access to land, shelter and work are pending issues for most of the populations of those nations. It is very important that these hardships find you united in the need for a shared characterization of the current state and judicial role, and in the analysis of external influences in the – not always correct – choice of political and social models”.*

 

 

 

 

Colonialismo e neocolonialismo

egnlish versione

 

  Giovanni De Sio Cesari

www.giovannidesio.it   

L'Occidente ha un altissimo livello di prosperità economica mentre altri popoli vivono nella più nera miseria, privi di tutte quelle comodità che a noi sembrano ovvie, spesso anche soffrendo di vera e propria fame.

 In ambienti della sinistra ex marxista (ma non solo), circola l'idea che un tale dislivello di prosperità sia dovuto allo sfruttamento da parte dell'Occidente rispetto al Terzo Mondo, come si diceva un tempo, o, come si dice ora, dei "popoli in via di sviluppo". La gran parte della prosperità occidentale sarebbe quindi nata dal colonialismo del secolo scorso e reggerebbe tuttora sul cosiddetto neocolonialismo.

Ma questa spiegazione ha qualche fondamento? Esaminiamo un po' la questione.

Colonialismo:
Ci sono un certo numero di accurati studi di storia economica che mostrano come, nel complesso, il possesso di colonie non abbia portato grandi vantaggi economici: ciò che si guadagnava, specialmente dai privati, veniva compensato dalle spese, soprattutto pubbliche. Ma senza addentrarci in studi comunque sempre problematici, poiché si basano su dati incerti e con i “se” e i “ma” che non fanno la storia, limitiamoci a una semplice osservazione della realtà storica, senza “se” e senza “ma”.

Osserviamo che nell'800 i paesi emergenti furono la Germania e la Scandinavia, che non avevano colonie (veramente la Germania le ebbe, ma di scarsa importanza). La Spagna e il Portogallo le conservarono ancora più a lungo, ed erano i paesi più poveri. Nel secolo scorso, i paesi colonialisti che erano stati storicamente fra i più prosperi (Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda) lasciarono le colonie e non entrarono affatto in crisi economiche: in realtà, lasciarono le colonie senza vera resistenza, tranne casi particolari per motivi particolari (come l'Algeria per la presenza di coloni francesi e il Vietnam nel quadro della Guerra Fredda), il che è ulteriore prova che in fondo non erano poi così necessarie.

Soprattutto notiamo che lo sviluppo più clamoroso è stato quello degli Stati Uniti, che non avevano colonie. Ci sembra che bastino queste semplici osservazioni storiche per dimostrare l’inconsistenza dell’idea che il benessere occidentale nasca dallo sfruttamento dei popoli coloniali.

Neocolonialismo:
Si sostiene che, anche se le colonie non esistono più, tuttavia gli occidentali continuino a sfruttare i paesi ex coloniali appropriandosi, a prezzi stracciati, delle loro risorse naturali.

 Vediamo un po' come stanno realmente le cose.

Un'impresa occidentale impiega grandi capacità e mezzi per trovare giacimenti di petrolio, poi costruisce grandi impianti di estrazione, oleodotti smisurati e infrastrutture di ogni genere. Quindi paga grosse somme al paese in cui si trova il giacimento, che però non ha fatto praticamente nulla. Possiamo dire che l’impresa ha rubato il petrolio? Non ci sembra proprio. Potremmo dire che i paesi in cui si trovano i giacimenti ricevano grosse risorse senza aver prodotto nulla, una rendita parassitaria, ma nessuno contesta questo diritto.

Consideriamo anche che:

  • i prezzi non vengono fissati dagli occidentali, ma dal mercato come qualsiasi merce;

  • se poi le autorità locali, invece di usare le immense somme ricevute per costruire strade, scuole, infrastrutture, fabbriche, se le mettono in tasca, perché la colpa sarebbe degli occidentali e non dei popoli che accettano quelle autorità?

  • e se non fossero gli occidentali a estrarre e usare il petrolio, che ne farebbero i locali?

 

Conclusione:
Appare evidente che il progresso economico occidentale sia la conseguenza dello sviluppo tecnico e scientifico e delle strutture economiche e politiche. Il reddito più alto è chiaramente collegato al progresso tecnologico e scientifico. In Occidente è nata la scienza galileiana, che noi chiamiamo semplicemente scienza, e che ha avuto sviluppi sempre più ampi e clamorosi, da Newton a Einstein fino alla fisica moderna. Sono state inventate le locomotive, le auto, le centrali elettriche, i mass media, e più recentemente l'informatica, che ha cambiato il mondo. E si prosegue con l'IA, che forse sarà il futuro.

A queste scoperte si sono accompagnate strutture politiche, sociali ed economiche che sono in grado di realizzarle e diffonderle in tutto il popolo, che ne può quindi godere. In effetti, la scienza non è segreta, così come non lo sono le invenzioni, e tutti potrebbero costruirle e goderne.

È accaduto allora che in Estremo Oriente abbiano utilizzato le scoperte, ma direi soprattutto i sistemi occidentali, e abbiano molto progredito, avvicinandosi ai nostri livelli, qualche volta anche superandoci in alcuni campi, mentre il mondo arabo e l'Africa sono rimasti invischiati in guerre etniche e religiose insulse e senza fine.

Se mai altri paesi faranno come l'Estremo Oriente, nessun problema per l'Occidente: anzi, presumibilmente migliorerà ancora il suo benessere, perché nel mondo moderno la prosperità di alcuni non poggia sulla povertà degli altri, ma si esalta ancora di più con la prosperità degli altri.

 Noi esportiamo nei paesi ricchi, non certo in quelli poveri.