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Pubblicato IN DIES il 25/09/2024

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Antiebraismo, antisemitismo, antisionismo

 

 

Giovanni De sio Cesari

www.giovannidesio.it  

 

 I tre concetti hanno contenuti molto diversi, in genere contrastanti, e tuttavia tutti e tre hanno in pratica lo stesso esito: la lotta contro gli ebrei. Analizziamo i tre concetti.

Antiebraismo

Il primo concetto che appare nella storia e che è durato quasi due millenni è l'antiebraismo. Esso è un fenomeno di natura religiosa: gli ebrei sono considerati coloro che non accettano la Rivelazione cristiana. Non essendo cristiani, non conoscono il vero bene, non sono nella grazia di Dio e sono quindi considerati malvagi. Questo stesso concetto era applicato agli aderenti ad altre  religioni diverse da quella cristiana, soprattutto ai musulmani, che erano quelli più conosciuti.

Anche nei modi di dire dialettali, "turco" (cioè musulmano) stava per "malvagio e mancante di carità". Nei Malavoglia di Verga, la popolana dice che "non siamo tra i turchi" per indicare che non siamo mancanti di carità e solidarietà.

Un esempio molto chiaro di questo atteggiamento lo possiamo vedere illustrato da Shakespeare nel Mercante di Venezia: il mercante ebreo è rappresentato come la malvagità e la ferocia, contrapposto alla virtù del mercante cristiano, mentre l'eroina è la figlia ebrea che tradisce il padre, contro l'ordine naturale della vita. Poiché si credeva che la VERA religione cristiana coincidesse con il bene, la lotta era tra il bene (il mercante cristiano) e il male (l'ebreo). La figlia che ha la forza di abbandonare il padre (il male) per aderire al bene diventa allora l'esempio da seguire.

Non si trattava di una questione di razza (genetica) ma di religione, per cui un ebreo convertito non era più ebreo ma diventava cristiano. D'altronde, gli ebrei erano considerati pur sempre il popolo prediletto da Dio, e anche Gesù, la Madonna e gli apostoli erano ebrei.

Questo atteggiamento si è ormai del tutto perso: quasi nessuno oggi sosterrebbe una cosa del genere perché la mentalità cristiana si è radicalmente evoluta in direzione della tolleranza, comprensione e, anzi, collaborazione con le altre religioni. E stata soppressa anche ad esempio nelle celebrazione del Venerdi Santo la locuzioni “perfidi ebrei”

Antisemitismo

Nell'Ottocento, invece, iniziò l'antisemitismo, che è una cosa del tutto diversa. Esso nacque con l'emergere dei nazionalismi più o meno esasperati. Uno stato veniva a coincidere con una nazione, cioè con una comunità di lingua e civiltà. Ora, il fatto che gli ebrei fossero una nazione dispersa in vari stati finiva per essere incompatibile con l'identificazione stato-nazione.

Un esempio significativo è il caso Dreyfus. Dreyfus, ufficiale dell'esercito francese, aveva comunque congiunti in Germania: poteva allora considerarsi un vero francese? Sembrava allora inaffidabile e le accuse di spionaggio a favore della Germania sembravano molto probabili, da cui la condanna, contestata poi dal famoso "J'accuse" di Zola.

Insomma, l'ebreo veniva visto come uno straniero, anche se nato nel paese e residente da molte generazioni, perché non faceva parte della comunità nazionale (l'ebreo errante).

L'antisemitismo vero e proprio, però, nasce quando si passa a considerare la nazionalità come un fatto genetico, sfociando nel razzismo, portato poi alle estreme e folli conseguenze dal nazismo. L'ebreo diventa allora un nemico dell'umanità e, in particolare, della razza ariana: una sorta di infezione, dei sottouomini. Inizialmente, si pensò alla cacciata dal paese e quindi a una possibile deportazione in altri luoghi (si parlò, in modo bizzarro, del Madagascar): in qualche modo, gli antisemiti sostenevano quello che si chiamò poi sionismo, cioè l'idea di una patria separata per gli ebrei.

In seguito, però, anche per l'impossibilità pratica di una soluzione del genere, si finì con la "soluzione finale", ovvero l'eliminazione fisica dell'intera popolazione ebraica, che portò alla morte di circa 6 milioni di ebrei.

Si tratta quindi di una concezione assolutamente diversa da quella dell'antiebraismo. La malvagità degli ebrei non dipendeva più da un fatto religioso ma genetico: non importava se gli ebrei mantenessero la loro religione, si convertissero al cristianesimo o non seguissero nessuna religione, che era il caso più comune all'epoca.

Questa concezione è ormai tramontata. Può essere ancora sostenuta da qualche sparuto gruppetto neonazista, ma le estreme e assurde conseguenze a cui fu portata dal nazismo l'hanno praticamente fatta sparire dalla storia.

Va notato che l'antisemitismo è sconosciuto nel mondo arabo, che non ha mai conosciuto né il razzismo né il nazionalismo esasperato (tranne forse in Turchia). La sunna islamica rappresenta una comunità di fedeli senza differenza di razza o nazionalità. Gli ebrei, come i cristiani, sono considerati Ahl al-Kitab (la gente del libro), i quali possono seguire la loro religione o convertirsi all'Islam, nel qual caso sono accolti senza alcun pregiudizio, così come avveniva nel mondo cristiano.

Antisionismo

Il sionismo è l'idea della formazione di una comunità ebraica nella terra originaria, la Palestina (Sion è l'antico nome di Gerusalemme). In realtà, nella storia, in Palestina si erano sempre formate piccole comunità di ebrei. Il ritorno alla terra promessa era motivato soprattutto dal desiderio di ritrovare la propria identità nazionale. Nell'epoca del positivismo, infatti, la maggioranza degli ebrei di estrazione borghese aveva abbandonato le credenze religiose e si stava sempre più integrando nelle comunità nazionali in cui vivevano. Nella Prima Guerra Mondiale, avevano partecipato ai nazionalismi travolgenti delle varie nazioni e combattuto in eserciti contrapposti. In questo modo, quindi, nel corso di qualche generazione, l'identità ebraica sarebbe potuta sparire. Si pensò allora a quello che fu definito un focolare (home) ebraico (non uno stato) in Palestina, e un certo numero di ebrei effettivamente si trasferirono in Palestina.

Le terribili persecuzioni del nazismo e la Shoah cambiarono però del tutto la prospettiva: gli ebrei si trasferirono in Palestina non per non farsi assorbire, ma per sentirsi sicuri, per non dipendere più dalla benevolenza di principi e popoli come era avvenuto per millenni. Si formò quindi lo Stato di Israele, cioè dei discendenti di Israele (Giacobbe, come diciamo comunemente), un popolo quindi, non una religione.

Con il sionismo nacque quindi anche l'antisionismo. Innanzitutto, gli ebrei si stabilirono in una terra abitata da arabi che, ovviamente, non accettarono la situazione. Da qui, un conflitto infinito che dura ormai da 75  anni e che, in questi mesi, ha avuto un'evoluzione sempre più tragica e sanguinosa.

Anche in Europa nasce l'antisionismo. Dalla sinistra estrema si considera Israele uno strumento, un'avanguardia del colonialismo, anche se non si capisce in che modo Israele potrebbe favorire il dominio dell'Occidente; anzi, è certamente una grande difficoltà di rapporto per gli occidentali con gli arabi. L'idea si è diffusa anche nei paesi arabi che vedono Israele come una punta di diamante degli USA, per cui la lotta contro il sionismo viene a porsi come una lotta all'Occidente (contro il grande satana e i piccoli satani, secondo la teoria di Khomeini).

In effetti, però, la religione non è affatto il collante di Israele. La maggioranza degli israeliani non è affatto credente, anche se negli ultimi tempi il numero degli integralisti è aumentato, soprattutto perché hanno alti tassi di natalità. Ma comunque nessuno identifica oggi un israeliano come un credente in quella religione.

Attualmente, la religione ebraica è formata da un gran numero di correnti e sette, e per questo è difficile definirne i caratteri: ci sono quelli che pensano che Dio ha dato loro la Palestina e quelli che lo ritengono invece illecito. Ricordano un po' le sette evangeliche americane: c'è tutto e il contrario di tutto.

L'antisionismo, pertanto, è cosa del tutto diversa dall'antisemitismo e dall'antiebraismo. Non si tratta di un fatto religioso, né di un fatto genetico o razziale, ma di un fatto politico. Gli israeliani sono visti come invasori, espressione dell'Occidente, che vanno quindi ricacciati, e la Palestina deve essere liberata dal Giordano al mare, cioè Israele deve essere distrutta.

Poiché, però, in generale gli ebrei di tutto il mondo sostengono l'esistenza di Israele, allora la lotta è anche contro tutti gli ebrei. È vero che non tutti gli ebrei appoggiano oggi Israele, ma è importante chiarire che essere contrari a certe scelte politiche di un qualunque governo israeliano non significa essere contrari all'esistenza di Israele, che è appunto il sionismo.

Esistono però dei piccoli gruppi ebraici contrari proprio all'esistenza di Israele, in genere per motivi religiosi. I più famosi sono i Neturei Karta, che, secondo una particolare interpretazione degli scritti biblici, ritengono che non sarebbe lecito formare uno Stato di ebrei.

In conclusione, diciamo che l'antiebraismo era un fatto religioso, l'antisemitismo un fatto razziale, e l'antisionismo un fatto politico, ma comunque in tutti e tre i casi, in effetti, i malvagi da combattere finiscono con l'essere gli ebrei in generale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il conflitto

 I moti di  Isernia, la strage di Pettorano, la battaglia del Macerone  sono avvenimenti praticamente dimenticati, pochi  ne hanno qualche nozione, anche i nomi dei luoghi  non sono noti al di fuori del piccolo ambito locale  Essi si svolsero in contemporanea alla battaglia  del Volturno fra l’esercito regolare, di leva del Regno delle  Due Sicilie e i Garibaldini e  l’incontro di Teano che hanno  invece notorietà universale  e sono insegnate da 150 anni in tutte le scuole a cominciare dalle elementari.

 Sono avvenimenti che si collocano nelle vicende  che portarono alla scomparsa del quasi millenario regno di Napoli e  la formazione dell’Unita nazionale. Ma sono anche i prodromi di una guerra diversa che si combatté  ancora con  ferocia  per anni, conosciuta comunemente  come la repressione  del brigantaggio meridionale, parte della più vasta questione meridionale.

 In  effetti  i contendenti, i metodi , le vicende di queste sanguinose vicende  sono cosa diversa dalla Spedizione dei Mille

 I contendenti erano solo apparentemente i sostenitori della unità nazionale e della monarchia costituzionale  opposti agli ostinati difensori dei Borboni

In realtà, sostanzialmente. erano da una parte i possidenti terrieri  agiati e colti  e dall’altra i contadini attanagliati  della miseria, analfabeti, che conoscevano solo il loro piccolo mondo contadino, del tutto ignari e inconsapevoli  di ciò che accadeva al di fuori di esso.  I primi erano definiti galantuomini ( nel senso che portavano abiti di gala , cioè di cerimonia), i secondi cafoni, secondo un’antica denominazione di incerta origine. Si distinguevano anche dal copricapo allora sempre usato da uomini e donne: qualche decennio dopo  quando si diffuse l’uso della coppola fra i poveri  si diceva quindi lotta fra coppole cappelli.  Le donne dei possidenti portavano il cappellino ( impensabile uscire di casa senza di esso) e l’ombrellino, le donne dei cafoni invece si coprivano all’occorrenza il capo con lo scialle che  con cui si coprivano le spalle o anche con eleganti fazzoletti (muccaturo)  che si vedono ancora nella rievocazioni folcloristiche .  

Diverso anche  e soprattutto i modi di combattere nei due conflitti.  Non battaglie campali come Calatafimi, il Volturno e l’assedio di Gaeta ma una violenza diffusa  episodica. casuale  che esplodeva qui e la senza precisi piani  prestabiliti , in quelle che definiremmo una guerriglia  di bande irregolari,  considerate  però repressione  del brigantaggio.  Soprattutto diversi l comportamenti   dei combattenti. Nella spedizione dei garibaldini si combatteva anche con accanimento ma secondo regole  cavalleresche e militari  mentre in queste  c’era una ferocia  senza regole e limiti. Se i garibaldini non prendevano prigionieri perché quelli che si arrendevano venivano lasciati liberi di tornare alle loro case o eventualmente arruolarsi nelle  file garibaldine    in questa invece non si prendevano prigionieri perchè  i nemici si uccidevano, si fucilavano sul posto

Notiamo, al margine, che in questa conflitto civile  le donne  sono risparmiate. Non si hanno notizie sicure  di stupri anche se qua e la  vi è qualche accusa:  le  furia dei cafoni si riversava sugli uomini  ma risparmiava le donne

 

Il conflitto civile comincia a esplodere quando il re Francesco II emana o meglio ripristina lo statuto concesso dal  padre Ferdinando II  nel 1848: la sua speranza è quella di conciliarsi con i  liberali del regno e in prospettiva promuovere una federazione degli stati italiani nel quale il regno di Napoli   avrebbe conservato una sua specificità e il suo re

 In  realtà pero la mossa fu disastrosa: venivano messi in posti di responsabilità dei liberali  che naturalmente  inclinavano per Garibaldi compromettendo  quindi ogni possibilità di resistenza  Infatti il governo di Napoli in teoria  giurò fedeltà al re ma in effetti si mosse dalla  parte di Garibaldi e lo accolse trionfalmente  quando questi entro in Napoli

Quelli che tenevano invece per il re , i  reazionari, messi da parte, persero ogni  fiducia nella causa legittimista.  A questo punto pero cominciano a insorgere  nelle  campagne a volte spontaneamente, a volte guidate da qualche nobile  e cominciò il  conflitto civile.

 

 

La rivolta del Molise

 La zona di cui trattiamo è quella intorno ad Isernia  ( Molise)  che aveva in quel momento un valore strategico  in quanto era il passaggio obbligato per l’esercito sardo  per raggiungere  Napoli  e  completare l’annessione del regno delle Due Sicilie  e insieme mettere in disparte Garibaldi  che non fosse tentato di  una marcia su Roma o peggio ancor di costituire una repubblica di ispirazione mazziniana.

 La strada da percorrere  era quella ora denominata SS 17  ed allora nota come strada consolare degli Abbruzzi. Essa attraversava  tutto l’Abruzzo, arrivava a Sulmona e da qui risaliva l’altopiano delle Cinque Miglia,  strada costruita ai tempi di Napoleone,  (attualmente vi è una variante moderna)  e  da Roccaraso discendeva quindi verso Castel di Sangro Da qui passava per Rionero sannitico, e risalivo  con una strada stretta e disagevole il valico del Macerone a 650 metri discendendo quindi verso Isernia Attualmente questo tratto non viene più usato se non per traffico locale perché vi è una variante parallela  a scorrimento  veloce a una ventina di chilometri  che arriva fino all’Adriatico, percorrendo la  valle del Sangro

 Si passava quindi per il centro di Isernia (ovviamente ora ci sono varianti)  e si poteva raggiungere attraverso Venafro la valle del Volturno  dalla  quale si poteva giungere a Napoli  oppure passando per la valle  dove si trova Pettorano.  a  Benevento

 

In seguito allo statuto viene istituita il 5 luglio 1860 la guarda nazionale  che teoricamente era un corpo in armi del Regno ma era formato e guidata  da  galantuomini locali, tutti liberali  e quindi in pratica parteggiava per Garibaldi e il nuovo ordine politico che si stava formando  

  I contadini, i cafoni, tengono  invece per la parte del re: essi non credono affatto che la costituzione sia una scelta del re  e comprendono perfettamente più di quanto comprendesse il re, che in realtà è un modo per dare spazio e potere a quelli che sono contro il re

In Molise quindi il 23 luglio 1860 iniziano le prime sollevazioni spontanee di contadini, a Isernia e nella vicina Fornelli e  un pò dovunque nella zona, sedate per il momento dalla  guardia nazionale con qualche sporadica vittima  

Intanto il  7 settembre Garibaldi entra trionfante in Napoli  accolto festosamente dal governo, teoricamente ancora regio,  e dalla popolazione. Si saprà  in seguito che  il liberale   Liborio Romano,  teoricamente facente parte del governo del re  aveva attivata  la camorra  per predisporre il popolo a favore di Garibaldi.-

Il giorno dopo, senza indugio a Isernia l’intendente Venditti, da pochi giorni nominato,    proclama la adesione della cittadina  al nuovo  governo inviando un telegramma in cui si elogia senza riserva il governo dittatoriale di Garibaldi. Viene nominato sindaco dai liberali il possidente  Stefano Jadopi  che subito dopo, però, parte per Napoli  per farsi conoscere dai muovi governanti

 Intanto il regio esercito sabaudo ha varcato il confine dello stato pontificio, e il 18 settembre batte a Castelfidardo  le truppe pontificie  guidato dal Lamorciere  e avanza negli Abbruzzi

Intanto il re Francesco II schiera l’esercito   per una battaglia campale e decisiva contro Garibaldi   fra Santa  Maria  ( Capua Vetere) e i ponti di Maddaloni  sperando di sconfiggere i garibaldini e tornare vittorioso  nella capitale 

La zona di Isernia  diventa  quindi cruciale strategicamente perchè è alle spalle dell’esercito borbonico  ed è il passaggio obbligato che  l’esercito sardo deve percorrere prima di arrivare a Napoli, come abbiamo prima visto

Si muovono quindi i sostenitori di Garibaldi, arriva da Napoli un piccolo drappello  di appena 22 garibaldini  ma anche corpi numerosi  di volontari meridionali: i cacciatori del Vesuvio di Pateras, i volontari matesini agli ordini del maggiore De Blasio, la Legione sannitica di Francesco De Feo .

Va precisato che queste truppe e altre che poi citeremo che intervennero nella  vicende del Molise non erano quelle dei volontari di ogni parte di Italia che costituivano gli uomini direttamente guidati da Garibaldi ma erano uomini  organizzati da galantuomini locali e quindi  entravano nel conflitto con altro animo.

Le  truppe   però restano poco nella zona movendo in altri luoghi pure in subbuglio e in particolare i volontari del Vesuvio partono per l’Abruzzo  incontro all’avanzante  esercito sabaudo.  Restano quindi  solo i 22 garibaldini e  la guardia nazionale locale di Isernia

Verso il Molise parte allora una colonna di 600 uomini  guidati da un ufficiale  borbonico, Liguoro, che era sto uno dei pochi a opporsi veramente alla avanzata in Calabria dei Garibaldini e occupa Venafro sulla strada per Isernia

  Subito esplode la rivolta popolare  dei  cafoni in tutta la zona   e il 30 settembre, il giorno prima della battaglia del  Volturno, è la notte tragica di Isernia

 In tutta Isernia i cafoni assaltano le case dei galantuomini compromessi con i Garibaldini, le case vengono saccheggiate e incendiate Tutti quelli che non riescono a fuggire  vengono uccisi senza pieta  e ci sono scene selvagge di una violenza al di la di ogni umanità. Ad esempio al figlio del sindaco che era andato a Napoli,   Francesco Jadopi,  vengono  cavati gli occhi e muore   dissanguato

 Un certo  Falciari che al momento della adesione  al nuovo regime aveva urinato per disprezzo su una moneta con l’effige reale viene percosso,  impiccato a un lampione e gli vengono messi in bocca i genitali.

Di fronte a tanta violenza si chiede al vescovo di Isernia, Saladino di intervenire in nome della cristiana pietà  con la sua autorità religiosa, ma questi,  nemico acerrimo  dei  liberali, si rifiuta decisamente 

 

 Intanto il 2 e 3 ottobre la battaglia  del Volturno è vinta dai garibaldini : più precisamente i borbonici non riescono nella  loro manovra di accerchiamento  delle  forze garibaldine e a sconfiggerle  ma l ‘esercito rimane intatto. Tuttavia  lo sconforto è grande e  quindi  si ritira versa la munita piazzaforte di Capua che viene pero abbandonata per rifugiarsi in Gaeta  anche perchè alle loro spalle sta marciando la forte e ben armata  sarda

 I borbonici  resistono a lungo in Gaeta nella  speranza del soccorso di altri paesi europei, soprattutto della Francia,  soccorso che non arriverà mai.

 Ma intanto  a Isernia la rivolta  filo borbonica ha trionfato  e si è estesa a tutta la zona  a Carpinone a Macchiagodena a  Castelpetroso e un pò dovunque orde di cafoni inferociti  danno al caccia ai liberali al grido di viva  di “viva Francesco e viva Maria”,  e  molti possidenti perdono la vita oltre che i beni

 

Il 4 ottobre  arrivano però 800 guardie  nazionali provenienti da Campobasso e guidati dal Governatore del  Molise, Nicola De Luca. Assaltano Isernia tenuta da borbonici  e dopo  tre ore di battaglia a notte entrano in città

De Luca impone una tassa di guerra e procede ad arresti tra i sollevati. Il vescovo saladino che non aveva voluto intervenire  viene arrestato con brutalità, il suo segretario ucciso. Si succedono esecuzioni  e saccheggi pure ma in misura molto più limitata della precedente notte tragica del 30 settembre

 Il giorno dopo il 5 però arrivano altri soldati borbonici e soprattutto masse di cafoni in armi. Allora le guardie nazionali si ritirano verso  Castel di Sangro andando incontro ai Piemontesi  I pochi rimasti vengono massacrati  in paese,  nelle campagne, nei  boschi, sui monti e ricominciano i saccheggi delle case ricche

 

Strage di Pettorano

 

  Garibaldi vuole  mantenere libera la strada all’esercito sardo che scende dai monti dell’Abruzzo. Per questo si  offrirono  l gruppi di guardie nazionali del Molise e a capo di esse fu inviato  un garibaldino, il colonnello Francesco Nullo con altri ufficiali

 Si mettono in marcia da Maddaloni  per raggiungere la valle fra il Matese e i monti di Campobasso  in rivolta per congiungersi verso Isernia con i  l’esercito sardo che scendeva dal nord

 Garibaldi, ben consapevole però dei rischi che comporta avanzare in quelle difficili condizioni di terreno in mezzo a bande di  cafoni pronti a ogni azione,  gli ordina espressamente di  aspettare a Boiano presso Campobasso e di avanzare su Isernia solo all’arrivo dell’esercito sardo   

Ma  Nullo non esegui gli ordini sottostimando il pericolo delle  bande irregolari di cui evidentemente non aveva alcuna considerazione  Anzi  a Pettorano (attualmente Pettoranello del Molise per distinguerla  dalla Pettorano del Gizio sull’altro lato del massiccio di Roccaraso)  accettò l’invito a pranzo dei Santoro, una famiglia di possidenti del luogo  e anche quando fu avvisato che  si vedevano da ogni parte bande  di cafoni in armi,  non si dette gran pensiero e restò a suonare il pianoforte. a casa dei suoi ospiti

 Il giorno 17, quando  era a pranzo presso i Santoro, inizia la battaglia : i  garibaldini attaccano   i regolari borbonici che  si ritirano ma dai fianchi sui crinali dei monti e delle colline, fra i boschi si materializzano bande di irregolari  

 I cafoni sparano a attaccano dai  fianchi  appostati dietro  i tronchi e i massi Una grandinata di fucilate si abbatte sui garibaldini che sono assaliti da ogni parte  Su di loro piombano addosso masse di contadini armati di scure, uncini, ed altre armi improvvisate

Le munizioni si esauriscono. le file si assottigliano  man mano, sopraffatti dai nemici. Quelli a cavallo cercano di fuggire verso Campobasso per la consolare, quelli appiedati  cercano rifugio per le  colline, per i boschi e  le campagne ma vengono inseguiti e uccisi uno per uno dalla furia dei cafoni più pratici del luoghi, con scuri, coltelli bastoni: qualche volta schiacciano loro  la testa  con pietre

 Sono  poi  spogliati, derubati e lasciati insepolti 

Fu un eccidio, fu una vera ecatombe

 Nel  mezzo della battaglia Nullo fugge verso Boiano gridando che va a cercare aiuti che ovviamente non arriveranno.  Nullo si salvò dall’eccidio di cui era il maggiore responsabile

 Un certo Mescieri  legò due  teste recise di garibaldini alle canne del fucile e se ne andava in giro vantandosi del macabro trofeo, In seguito fu arrestato dall’esercito  sardo e scontò 50 anni  di carcere. Anche altri cafoni che si macchiarono di atrocità  furono in seguito condannati da regolari tribunali militari  

L’ unica salvezza per i garibaldini erano i soldati regolari borbonici che infatti ne salvarono molti catturandoli :  inviati  al carcere in Isernia furono liberati qualche giorno dopo dall’esercito sardo.

 

La folla assalta e saccheggia e incendia la casa dei Santoro e ne arresta tutti i membri  maschi per aver invitato a pranzo  Nullo. Pero questi ebbero la fortuna di essere tradotti in carcere a Isernia dai soldati regolari e quindi liberati dal sopraggiunto esercito sardo qualche giorno  dopo

 Teniamo presente che  nella  battaglia del  Volturno si contarono circa 300 morti  per parte Possiamo considerare che nella strage di Pettorano caddero almeno altrettanti  ma di essi non rimane nessun ricordo, nemmeno uno stele in qualche angolo remoto

 Il bergamasco  Francesco Nullo non era un incapace  o un novellino: anzi aveva combattuto anche nella II Guerra di Indipendenza, si era distinto a Calatafimi, era stato il primo a entrare in Palermo. In seguito andò a combattere in Polonia  insorta contro i Russi cadendo in combattimento dopo aver mostrato  grande valore e  capacita

Viene allora da chiedersi come mai ha potuto comportarsi con tanta leggerezza a Pettorano 

La spiegazione che a noi sembra più convincente è che egli fosse psicologicamente impreparato  a  capire la situazione in cui si trovava. Come tutti gli idealisti garibaldini, egli pensava di andare a  liberare  il popolo oppresso dai Borboni  e non   poteva mai pensare che proprio quel popolo sarebbe insorto massicciamente in armi  non contro i Borboni ma contro i garibaldini

 In effetti tutti i patrioti, anche quelli nativi del regno, non si resero conto che si trattava di un altro conflitto, non fra liberta e assolutismo  ma fra possidenti e contadini o come  si diceva fra galantuomini e cafoni

 

 

 

La battaglia del Macerone 

I fatti di Pettorano  resero possibile un tentativo di resistenza all’avanzata dei piemontesi che provenivano dall’Abruzzo

il 12 settembre  l’armata sarda forte di 50 mila uomini ben armati e organizzata aveva attraversato  il Tronto,  confine del regno delle Due Sicilie,   ovviamente senza alcuna dichiarazione di guerra. 

 Civitella del Tronto, una formidabile fortezza messa al confine. fu aggirata senza difficolta e continuerà a resistere per oltre un mese  dopo la caduta di Gaeta    e in seguito distrutta con le mine  – La fortezza di Pescara invece si consegnò senza resistenza

 Si prende quindi la via che passa per Roccaraso e arriva a Castel di Sangro

 Di la la strada  allora passava per una stretta  gola che portava al  valico  del Macerone e quindi a Isernia  da dove si poteva giungere a Napoli  oppure passando alle per la valle  nella quale si era avuto la strage di Pettorano, a  Benevento

I borbonici potevano tentare quindi di fermare l’avanzata  sul valico  del Macerone. A questo tentativo  furono inviate truppe regolari a cui si aggiunsero masse di cafoni in armi del Molise  Il comando fu affidato a un strano personaggio, il maresciallo Luigi Scotti-Douglas che  era stato   carbonaro ma poi era diventato  un accanito reazionario. Gli fu affidato quindi il comando delle operazioni

Se la strage di Pettorano fu dovuto  agli errori  del colonnello Nullo,  la resistenza sul Macerone falli soprattutto per la incompetenza dello  Scotti. In verità in nessun caso le poche truppe e le bande di cafoni potevano tener testo al forte, ben organizzato e bene armato esercito sardo : si poteva tentare solo una qualche resistenza per qualche tempo più che altro a scopo dimostrativo

L’errore dello Scotti fu quello  di non occupare immediatamente la posizione strategica del Macerone, la cosa più ovvia da fare,   perché riteneva che i Piemontesi fossero ancora lontani. In effetti il grosso dell’esercito con Vittorio Emanuele  II  era ancora lontana ma una avanguardia di 5 mila uomini guidati  dal Cialdini era vicinissima Quando fu poi avvertito che nella  valle del Vandra che si trova prima del Macerono per chi proviene dall’Abruzzo  già si vedevano  i piemontesi credette  che non si trattasse di forze regolari ma dei volontari del Vesuvio, al comando di Pateras che gia  erano intervenuti nei fatti di Isernia e non se ne preoccupò troppo.  Invece si trattava dell’avanguardia dei circa 5 mila soldati  di Cialdini

Immediatamente i Piemontesi si precipitarono ad occupare la posizione strategica ancora incredibilmente libera.   Furono mandati avanti i bersaglieri lasciando indietro le altre truppe più lente e pesanti.

 Solo allora lo Scotti si convinse ad avanzare  per prendere il passo Avanzarono con tre colonne, la prima di armati regolari  sulla strada mentre ai fianchi avanzavano in modo disordinato e spontaneo le bande dei cafoni  Non si conosce bene il numero degli  uomini ma si ritiene che  fossero intorno a 3000 uomini non certo in grado  per numero, armamento e organizzazione e per di più in posizione sfavorevole   di fermare l’avanguardia sarda di 5 mila uomini  

I Borbonici attaccano comunque animosamente e per un momento sembrano avere la meglio  ma arriva il grosso delle truppe dell’esercito sardo_ La  prima linea borbonica viene  circondata e si arrende  

i soldati restanti allora si sbandano e fuggono  cercando di ritirarsi su Isernia ma in massima parte sono presi prigionieri   I cafoni invece fuggono disordinatamente  per i boschi e le  campagne :  non hanno possibilità di arrendersi perche con non considerati legittimi combattenti . Qualcuno che viene  preso viene fucilato  Il maresciallo Scotti invece si consegna , viene portato a Sulmona, spedisce una lettera in cui si rammarica di aver servito nell’esercito borbonico e ricorda i suoi trascorsi  liberali. Alla fine  otterrà anche la regolare pensione

Intanto rapidamente i piemontesi arrivano a Isernia che prendono ormai senza resistenza. dappertutto  si vedono   i segni del feroce scontro fra cafoni e galantuomini 

 Il Cialdini rispetta i regolari secondo le leggi di guerra ma contro i cafoni irregolari comandò una dura repressione messa in atto attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie.

Fa pubblicare che tutti i paesani trovati armati saranno fucilati immediatamente sul posto Inizia già cosi la repressione di quello che fu  definito brigantaggio che insanguino il sud ancora per anni.

 

Per i regolari invece  stipula una  Convenzione  con una commissione municipale  di Isernia per la  cura e trattamento dei militari malati e feriti delle Regie Truppe

 

Il 22 ottobre  Vittorio  Emanuele II  entra in una Isernia desolata e distrutta che per la quarta volta in pochi giorni è passata da una parte  all’altra.

Ci rimane la descrizione di un episodio: un  uomo mostra al re un pugnale dicendo che voleva con esso trafiggere il cuore del re Francesco II  per vendicare un suo fratello  ucciso dai Borbonici  e affida il pugnale a Vittorio Emanuele perche faccia egli  la sua vendetta non potendolo più farla di persona  Si vede qui la esasperazione di quelle folle inferocite e la distanza abissale  dalla guerra regolare :  certo Vittorio  Emanule  non avrebbe mai ucciso il cugino Francesco II ma comunque  prese il pugnale  per placare la folla. Altri riferiscono  che l’episodio sarebbe accaduto a  Castel di Sangro

    Il giorno dopo il 23 il re lascia Isernia. poi presso Teano il 26 avviene  il famoso incontro con Garibaldi:  realmente avviene nel comune attuale  di Vairano Scalo,  il luogo è ora segnato da una scritta   

ll 5 novembre 1860 inizia il lungo assedio di Gaeta che termina il 13 febbraio 1861

 il 17 marzo viene proclamato il regno di Italia, il  20 marzo Civitella del Tronto finalmente  si arrende  e poco dopo viene distrutta

 Ma la repressione del brigantaggio era appena all’ inizio e continuò fra violenza, repressioni, rappresaglie omicidi ancora per anni.

Conclusione

A quel tempo si parlò di repressione di brigantaggio, compito duro ma necessario e meritorio che non poteva non essere compito dell’esercito  del neonato regno di Italia,  poi da Gramsci in poi si interpretò come  una sollevazione popolare ( dei proletari ante litteram)   e ancora più recentemente  movimenti  filo borbonici parlano di una lotta contro l’invasore . Possiamo dire che sia stato tutte e tre le cose: certo gli insorgenti erano soprattutto dei  briganti  non guerriglieri , c‘era una rivolta  del popolo più misero,  in fondo quell’esercito  appariva come  straniero ( i Piemontesi) . Ma noi diremmo che più propriamente  si può parlare di quella che i francesi chiamano jaquerie  cioè rivolta di contadini   esasperati per un peggioramento delle  loro già misere condizioni. Esse  furono  ricorrenti non solo in Francia  ma un po in tutto il mondo: i Comuneros nella Castiglia  del 1400  ( descritti in Fuente ovejuna di Lope de Vega ) .  la rivolta  dei  contadini ai  tempi di Lutero 1500 , della rivolta di Pugaciov in  Russia nel 700  (descritta da Puskin) , e le  tante rivolte  periodiche in Cina e in India. Si tratta di rivolte di esasperazione con  violenze e stragi ma senza un piano, senza un programma e quindi destinate a fallire  anche se  qualche volta vittoriose al momento.

In realtà una  sollevazioni contadina c’era stata a  Bronte in Sicilia, molto nota perché oggetto di una novella di Verga : i  contadini si erano sollevati  e fatto un  massacro di possidenti nella illusione che la liberta che prometteva Garibaldi fosse quella di liberarsi dei possidenti. In quel caso Garibaldi mando Bixio a mettere le cose a posto perchè  una rivolta  contadina era quanto di più lontano poteva  pensare. Bixio represse violentemente con fucilazioni sommarie e poi ci furono lunghi processi  Ma se contadini siciliani, ostili per tradizione ai Borboni, erano insorti invocando Garibaldi, in tutto il regno di Napoli invece le rivolte ebbero il segno opposto contro Garibaldi per il re Francesco II.   Potremmo magari meravigliarci per questa scelta di campo che a noi appare  illogica: perché sostenere il vecchio stato di cose che portava alla povertà e non quello moderno che almeno prometteva, sia pure solo  a parole. il  riscatto dei popoli.  degli oppressi. Bisogna  considerare che il fattore più importante era che a pendere verso Garibaldi erano in massima parte  i possidente e quindi il contadino era dalla parte  opposta

 Bisogna poi considerar un altro elemento che a noi moderni sfugge: tradizionalmente  nella monarchie legittimiste dei sovrani per grazia divina,  il re non viene considerato  responsabili dei mali e delle  ingiustizie che avvengono ma se ne da la colpa ai suoi collaboratori e per estensione a quelli che esercitano funzioni amministrative e di direzione:  sono quindi i  nobili o semplicemente i possidenti ad avere tutte le colpe  perché abusano della  fiducia del re al quale poi si spera sempre che si possa ricorrere. Nel nostro caso poi questi galantuomini era anche i traditore del re e della religione alla  quale comunque tutti erano profondamente devoti:   l’ateismo di massima era di la da venire

 

 

Siamo fra due guerre ormai da tempo, quasi un anno in Medio Oriente e quasi due anni e mezzo in Ucraina: tutti tentano in tutti i modi di arrivare a una pace, ma i due conflitti continuano e si intensificano e la fine sembra sempre più lontana. Ma, sebbene sia chiaro che diventano sempre più inconcludenti, perché continuano ancora? Perché una pace, che a tutti pare la cosa più desiderabile, non arriva? Perché continuano implacabili stragi e distruzioni?
Ci sono ragioni generali e altre specifiche, diverse per i due conflitti, che sono ben distinti: cerchiamo di indicarle sommariamente.
In linea generale, tutte le guerre si sa come cominciano ma non si sa quando e come finiranno: chi le promuove parte con l’idea che saranno brevi e vittoriose (altrimenti non le inizierebbe), ma poi molto spesso diventano lunghe, incerte, sanguinose e rovinose per entrambe le parti.
Per fare qualche esempio, la Prima Guerra Mondiale cominciò tra l’entusiasmo dei popoli e degli eserciti, sicuri, da entrambe le parti, che a Natale di quel 1914 gli eserciti sarebbero tornati vittoriosi. La guerra, la “inutile strage”, come la definì il Papa, durò invece quattro infiniti anni, con milioni di morti. Senza tener conto della tragica esperienza della Prima, scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, nella convinzione che i mezzi moderni avrebbero reso il conflitto veloce e relativamente poco sanguinoso. In realtà, all’inizio sembrò proprio così: i tedeschi in 17 giorni vinsero in Polonia, in qualche settimana occuparono la Norvegia, sconfissero la Francia in appena 40 giorni. Poi la guerra si infiammò per altri lunghi quattro anni e divenne una carneficina e una distruzione mai vista prima nella storia.
Tuttavia, finirono in pochi anni perché le forze in campo si affrontavano in una lotta totale e aperta. Altri conflitti, invece, si sono trascinati per decenni: si pensi al Vietnam, che fu in guerra dal 1942 al 1972, per quasi 30 anni ininterrottamente, perché nessuna delle due parti riusciva a distruggere l’altra, e ciascuna veniva massicciamente appoggiata dall’esterno.
La maggiore difficoltà per arrivare alla pace è l’odio che aumenta con il numero delle vittime. Ciascuna delle parti non vuole perdere, ciascuna afferma che non vincere significherebbe che i tanti morti sono caduti inutilmente. Tutto si avvita in una spirale difficile da interrompere.

UCRAINA

Il conflitto ha origini piuttosto lontane, risalenti all’800, con il risorgere dei nazionalismi e la riscoperta da parte ucraina di una propria identità nazionale. Recentemente, con la dissoluzione dell’URSS, è nato in Ucraina il mito, infondato storicamente ma comunque vivo, di un “dominio” russo sull’Ucraina. Soprattutto, però, la forte emigrazione ucraina verso l’Occidente ha mostrato il benessere dell’Occidente, al quale l’Ucraina desidererebbe assimilarsi. Nel 2004 abbiamo avuto la Rivoluzione Arancione e soprattutto i fatti di Maidan del 2014, che da una parte spingono l’Ucraina verso l’Occidente, ma dall’altra creano una frattura con una parte non trascurabile della popolazione di lingua russa.
Esplode la rivolta del Donbass, fomentata e sostenuta dalla Russia, che si annette la Crimea, che in effetti non aveva mai storicamente fatto parte dell’Ucraina. Il conflitto del Donbass si trascina a lungo in una guerra di bassa intensità. Nel 2019 viene eletto Zelenskyj, un attore e non un politico di professione, e allora Putin pensa che una “operazione speciale” breve e poco sanguinosa possa rimettere in Ucraina la fazione filorussa. L’operazione però, clamorosamente e, diciamo pure, con sorpresa generale, fallisce miseramente. Gli ucraini resistono e arrivano armi dall’Occidente. La guerra avrebbe dovuto finire in quel momento, ma Putin e i russi, fallito il primo intento, non vogliono apparire sconfitti e allora invadono le regioni periferiche abitate da russofoni già in rivolta, annettendole

La guerra avrebbe potuto finire allora, anche perché perdere province ribelli non sarebbe stato poi un male così grave per la stessa Ucraina. Ma gli ucraini, ritenendosi ormai vittoriosi, ritengono che i tanti caduti sarebbero morti inutilmente, e allora lanciano un’offensiva che avrebbe dovuto sfondare le linee russe, sconfiggerle rovinosamente e perfino riconquistare la Crimea. L’offensiva non riesce, la situazione si impantana sempre di più. L’Ucraina ha avuto forse 500.000 tra caduti e feriti, il territorio è devastato, le infrastrutture, specie quelle energetiche, in rovina, forse dieci milioni (un numero enorme) di abitanti sono profughi all’estero e forse non torneranno mai.
L’Ucraina è esausta, tuttavia Zelenskyj, in questi giorni, presenta un piano di pace che consiste nello sconfiggere la Russia: in pratica, la continuazione della guerra. Potrebbe mai ammettere che tutto ciò che è accaduto negli ultimi due anni è stato inutile? E discorsi simili farà Putin, che certo non può uscirne sconfitto e umiliato.
La guerra continua…
Gli unici che potrebbero farla terminare sarebbero gli Occidentali, negando le armi all’Ucraina: ma questo non significherebbe rinnegare la politica fino ad ora perseguita?
 

 

La GUERRA DI GAZA

Il punto centrale del conflitto è che la maggioranza dei palestinesi pensa che sarebbe possibile e anzi doveroso distruggere, con l’aiuto di Dio, Israele lo stato creato dagli invasori ebrei, e liberare la Palestina dal Giordano al mare, come si dice. Più passa il tempo, però, più la posizione di Israele si rafforza, diciamo si stabilizza: anzi, è apparso chiaro negli ultimi anni che anche le nazioni arabe, seguendo l’esempio dell’Egitto di 40 anni fa, siano disposte realisticamente al suo riconoscimento.
Ecco allora che Hamas, il 7 ottobre, scatena un’azione imprevista e cruenta, con l’uccisione di 1.300 israeliani e la presa di 250 ostaggi che aveva l’obiettivo di scatenare una crisi che rendesse impossibile il temuto riconoscimento di Israele e quindi la fine del sogno di una Palestina libera. Il colpo, in realtà, ottiene il risultato previsto, ma la guerra non mette in forse l’esistenza  di Israele, bensì una tragedia immane per il popolo palestinese. A Gaza, i morti hanno superato i 40.000, e tutto il territorio è devastato, tutti i suoi abitanti, da un anno, vivono in un orrendo incubo.
Gli israeliani vorrebbero in questo modo convincere i palestinesi che il tentativo di distruggere Israele porta solo e sempre a grandi catastrofi per gli arabi, come in effetti è sempre accaduto e si rinnova oggi. Tuttavia, in pratica, questo risultato sembra non riuscire: nulla fa pensare che Hamas sia ripudiato dai gazawi. Fermare l’offensiva significherebbe accettare che Hamas rimanga al potere della Striscia, e quindi tutte le operazioni di quest’anno sarebbero state inutili. D’altra parte, se Hamas accettasse di ritirarsi da Gaza, tutta la lotta condotta da tre generazioni sarebbe stata vana.
Un discorso analogo possiamo fare per gli Hezbollah del Libano.
 

Coloro che da tre generazioni continuano a dire che Israele sarà distrutta non possono ammettere che questo non è possibile, e che tre generazioni sono trascorse da tragedia in tragedia inutilmente: non resta che combattere, e se Dio vorrà, si vincerà. Similmente, per gli israeliani: fino a quando gli arabi non accetteranno Israele, non resta che colpire, colpire e colpire sempre più duramente.
Anche in questo caso, forse, la soluzione sarebbe nelle mani dell’Occidente. Israele, come l’Ucraina, dipende dai rifornimenti di armi dell’Occidente, che potrebbero essere condizionati alla fine della guerra o, diciamo meglio, a un armistizio, nella speranza che emergano fazioni arabe più realistiche, che puntino ai due stati, e non alla liberazione della Palestina.
Ma anche questo appare difficile: come non rifornire Israele, che si trova pur sempre di fronte alla minaccia di distruzione e a una nuova Shoah?

 

In questo modo, le due guerre, come un po’ tutte le guerre, si avvitano su se stesse in un circolo vizioso che è difficile spezzare.