La sinistra italiana, oggi
I diritti sociali
La sinistra è la parte politica che, nella sua ragione d’essere, vuole affrontare i problemi dei più poveri. Un tempo si parlava di operai per intendere quelli più poveri, ma ora i più poveri sono invece i precari, i disoccupati, i sotto-occupati, quelli che non arrivano alla fine del mese, i poveri, quelli a rischio di povertà. Non sono più la maggioranza come un tempo, ma sono comunque milioni, molti milioni.
Ma questi sono attratti sempre meno dalla sinistra. Oggi i quartieri più poveri, le periferie degli emarginati, che esistono ancora purtroppo, non sono più roccaforti della sinistra, ma votano sempre più a destra, da cui una crisi della sinistra. Cerchiamo di analizzare le cause di questo stravolgimento storico.
Io credo che il punto essenziale sia che la sinistra sia passata dall’essere paladina dei più deboli a sostenere soprattutto altre istanze, quali le unioni gay, l’utero in affitto, il woke, i migranti. Sono problemi molto diversi e nulla ci fa pensare che chi non sa come arrivare a fine mese sia angustiato dal fatto che qualche riccone non riesca a iscrivere come suo figlio quello avuto con un utero in affitto, o che la cittadinanza venga concessa a 14 o a 18 anni ai figli di quelli che sono i suoi concorrenti, temibili concorrenti, nella ricerca di un lavoro per sopravvivere.
Io non sono contro queste istanze, ma sono problemi diversi da quelli dei poveri, di quelli che non arrivano alla fine del mese. Non possiamo, come spesso si fa, pensare che il voto di destra dei più poveri sia solo frutto di ignoranza, di propaganda populistica e simili sciocchezze. In un paese libero come il nostro, la demagogia interessa tanto la destra quanto la sinistra e non possiamo pensare che quelli che non pensano come noi siano solo degli sciocchi o magari dei disonesti, come appare in tante prese di posizione degli intellettuali di sinistra.
Alla fine bisogna riconoscere che i problemi dei deboli sono affrontati più dalle destre ed è per questo che votano sempre più a destra. Allora il problema è: perché mai la sinistra mette in primo piano temi che interessano meno i più poveri? Sono del parere che occorre rivedere le origini storiche della nostra sinistra.
Il percorso della sinistra
La sinistra italiana è, a differenza di altri paesi, in massima parte di origine marxista. Negli anni '50 del secolo scorso, la sinistra era costituita soprattutto dai comunisti, cioè quelli che proponevano un modello alternativo (Don Camillo e Peppone) e negli anni '50 veramente gli operai pensavano che il modello sovietico avrebbe risolto i loro problemi. Man mano che quel modello apparve perdente nel confronto con quello occidentale (definito capitalista, ma io direi 'stato sociale'), si cercarono altre motivazioni.
Il miglioramento non era più visto in un modello alternativo sovietico ormai chiaramente superato, ma nell’ambito delle società democratiche dell'Occidente, prima definite capitaliste. Già Berlinguer pose al centro il problema della corruzione (che è un problema trasversale) e poi cercò l'alleanza con la DC (non più definita borghese). Penso che da allora la sinistra, avendo perso la sua ragion d'essere nel tramonto del modello sovietico, ha finito con il ripiegare su altri temi (i radical chic) che poco o niente c'entravano con il marxismo, tanto che nel comunismo reale erano assenti.
Dal '68 si è lasciato da parte i problemi economici, si è cominciato a definire il benessere che le masse cominciavano ad assaporare come consumismo (consumismo è il vero fascismo, diceva Pasolini), si parlava di alienazione, di libertà sessuale, di gay, di femminismo e così via. Questi problemi sono pure importanti, ma interessano poco chi non arriva a fine mese; sono problemi che interessano i più abbienti. La cultura comunista allora sostituiva gli aspetti economici con quelli dell’alienazione, del consumismo, dei gay ecc.: questo mi sembra il percorso ideologico.
Man mano poi la cultura della sinistra italiana abbandonava molto, troppo lentamente, il marxismo per diventare una sinistra democratica che si era già affermata in Europa, soprattutto nei più prosperi paesi del nord. La sinistra occidentale (soprattutto nei paesi baltici) non era per niente compromessa con il comunismo, ma da noi però stenta ad affermarsi perché il retaggio marxista comunque permane. Credo che sia questo uno delle cause (non l'unica) per cui la sinistra appare un po' snob (o radical chic, come si diceva una volta).
Nella nostra realtà (che non è quella di un secolo fa) non si dubita né del ruolo dell'imprenditoria né dell'intervento dello Stato. Destra e sinistra si distinguono per un maggiore accento che si pone sull'uno o sull'altro elemento. L'estremizzazione ideologica di una delle due istanze è fuori dalla realtà. Anche ammettendo per assurdo che il comunista o il capitalista "puro" avesse ragione, comunque nella nostra società non ha nessun seguito significativo.
La sinistra di governo (reale, democratica) considera che l'elemento essenziale sia il consumatore, senza il quale non esiste l'imprenditore. In termini semplici, nessuna impresa può esistere se non vende e non si può vendere se vi è povertà. Pagare bene i lavoratori è il modo migliore per sviluppare la produzione. Lo sviluppo delle imprese presuppone il benessere generale. Se gli operai sono pagati poco, chi compra poi i prodotti?
L'idea antiquata del marxismo, invece, aveva il suo punto focale nel fatto che il produttore e il consumatore avessero interessi opposti. Certo, ci sono motivazioni etiche e sociali: però il punto essenziale per cui lo Stato deve essere 'sociale' mi pare proprio questo. Infatti, nell'Occidente da una parte si dà libertà all'imprenditoria, ma il 40% più o meno del reddito è gestito dallo Stato (che gestisce inoltre grandi imprese a regime privatistico). Questo modello è quello che ha reso i nostri paesi i più prosperi e anche liberi e democratici.
Emigrazione e globalizzazione
Ora, il successo della destra presso i ceti più poveri è legato soprattutto all’accento che questa pone su due problemi fondamentali che interessano veramente quei ceti: la globalizzazione e l’immigrazione, sui quali invece la sinistra insiste su un appoggio ideologico che non tiene conto della situazione reale.
Per quanto riguarda la globalizzazione, essa non impoverisce l’Occidente globalmente. Non è che la crescita della Cina ha portato povertà all'Occidente, anzi, al contrario. Infatti, non necessariamente se uno stato diventa più ricco, un altro diventa più povero: questo era vero quando le risorse erano limitate, ma non quando il progresso tecnico ha reso possibile produrre più di quanto possiamo consumare. La globalizzazione però ha portato invece alla polarizzazione dei redditi: se un prodotto made in China costa la metà di quello prodotto in Italia, fa perdere lavoro a chi in Italia produce quel prodotto, che in generale sono i ceti meno abbienti.
Se produrre all'estero costa di meno, allora le imprese nazionali devono ridurre le spese limitando le retribuzioni e, se norme ideologiche lo impediscono, si accentua la desertificazione industriale: la divaricazione dei redditi è soprattutto un effetto della globalizzazione. Infatti, con la globalizzazione solo una parte degli occidentali ha avuto aumenti dei redditi, a volte molto forti, ma un'altra parte teme di vivere peggio dei genitori, cosa che non avveniva da secoli in Occidente. Negli Stati Uniti, con Trump, si sono messi freni alla globalizzazione e si è avuto sviluppo e soprattutto piena occupazione, che è il mezzo veramente efficace per aumentare i salari.
Fenomeno simile abbiamo nell’immigrazione. Quando un secolo fa gli italiani arrivavano in America, sul molo stesso trovavano chi offriva loro lavoro. Il problema è che ora la disponibilità di posti di lavoro modesti è sempre più scarsa per lo sviluppo tecnico e quindi l’immigrato non trova più lavoro e fa concorrenza ai più poveri.
D’altra parte, osserviamo una cosa: la contrarietà all’immigrazione non è una ubbia di Salvini ma un fatto che attraversa tutto il mondo avanzato, dall’America all’Australia, passando per l'Europa e il Giappone, sia la sinistra che la destra che il centro. Tutti impazziti? Tutti sciocchi? Certamente no: è un fatto che ha le sue cause nella realtà concreta. L'emigrante che si accontenta di meno e ha meno pretese può essere una risorsa per i ceti abbienti, ma è un temibile concorrente per i meno abbienti: si pensi per esempio alle colf o alle badanti, ormai quasi tutte straniere; un'italiana non viene nemmeno più contattata.
Non ritengo nemmeno che possa risolvere i problemi dei paesi da cui proviene l'immigrazione, anzi probabilmente li aggrava. Ora, la sinistra sostiene ideologicamente l'immigrazione, mentre la destra si oppone. Allora c'è da meravigliarsi se ai Parioli si vota più a sinistra e alla Garbatella più a destra?
Gli immigrati che vengono in Italia in realtà vogliono andare nei paesi del nord che non li vogliono. In fondo, la differenza fra destra e sinistra è nell'enfasi che pongono sul problema. L'accettazione dei migranti non è voluta da nessuno: sarebbe facile, se mai li volessimo noi o l'Europa, farli venire direttamente in aereo o traghetto. Ma nessuno propone una cosa del genere perché nessuno li vuole.
La sinistra, stranamente, invece si dichiara per la globalizzazione, per l'immigrazione, e così non fa più gli interessi dei lavoratori più deboli. Allora la sinistra perde di vista i bisogni economici dei più deboli per perdersi in quelli che qualcuno definisce cose da borghesi snob, da radical chic. Un discorso analogo vale per la globalizzazione: Trump, benché inadeguato, deve il suo successo proprio al freno alla globalizzazione e all'"America First" (che poi in realtà è stato seguito anche da Biden).