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Parlamentari e  partiti in Italia 

 

 

 

 

 

 

 

PARTITOCRAZIA IN ITALIA

 

 Giovanni De Sio Cesar

 www.giovannidesio.it 

 

 

La  retorica contro la partitocrazia è molto diffusa, raccoglie la collera della gente scontenta che non di pone tanto il problema  di come funziona una democrazia moderna ma più semplicisticamente inputa il malessere sociale a quelli che governano che appaiono ( e realmente sono) i partiti

Ai partiti si contrappongono gli eletti del popolo, i parlamentari nell’idea che essi dovrebbero rispondere direttamente a quelli che li hanno eletti e qualcuno pensa che potrebbero anche essere revocarati in ogni momento da essi

 

 Le assemblee elettive

In realtà cosi di ignora quello che è il punto fondamentale delle moderne assemblee

Anche nel medioevo si tenevano assemblee , anzi vi era una  folla di assemblee di ogni livello, di regno, di provincia, di città: i membri però erano rappresentanti dei loro  elettori e potevano essere revocato quindi da essi. In questo modo essi rappresentavano interessi  particolari di fronte al quale si ergeva il potere del sovrano che invece rappresentava gli interessi  generali e quindi la giustizia,  il bene, la volontà di Dio, addirittura. Nel 1789  gli Stati Generali, convocati da Luigi XVI, avevano questa struttura (da cui dipendeva anche  la tripartizione fra nobili, clero e popolo). Quando si passò dagli Stati Generali all’Assemblea Nazionale ( giuramento della pallacorda)  allora i membri si proclamarono rappresentanti non più dei propri elettori ma della  nazione del suo insieme e questo fu appunto la nascita della democrazia moderna. L’eletto infatti non può rappresentare solo quelli che lo hanno eletto altrimenti dovrebbe fare solo gli interessi di essi ma rappresenta una frazione della rappresentanza  di tutta la nazione. Non per niente quelli che vengono eletti a cariche pubbliche  si affrettano a rassicurare tutti  che faranno  gli interessi generali, di tutti, non della parte che li ha eletti. Un sindaco, un presidente del consiglio è tale per tutti e non solo per quelli che lo hanno eletto

 

La volontà popolare

Chiarito questo punto essenziale dell’ordinamento democratico ci dobbiamo chiedere chi è che realmente raccoglie la volontà popolare e la risposta  ai nostri tempi non può che essere  una: i partiti

Cento anni fa si votava una persona al parlamento, ora in Italia e dovunque si vota un partito con un programma e rappresentato dai suoi leader.

Secondo il sistema di un tempo in ogni collegio si presentava un candidato di un certo livello, quindi notabile, si diceva  (non era notazione negativa) ) che esprimeva le sue idee più o meno orientate a destra, sinistra, o centro e poi  in parlamento seguiva il suo criterio personale.

All’origine i votanti era pochi, ( all’unita meno del 5% ), nei piccoli paesi o quartieri la gente si conosceva tutti personalmente e quindi la fiducia a una persona poteva aver un certo senso ma nelle nostre metropoli sconfinate non conosciamo nemmeno il vicino di casa : è un altro mondo basato sui mass media, sui social non su conoscenze personali
Il sistema è stato abbandonato dappertutto e sostituito da quello dei partiti il primo dei quali, modello di tutti gli altri, fu quello socialista: Il partito ha ( dovrebbe avere) una sua linea politica da tutti riconosciuta e prevedibile ( si fa per dire)

Il sistema partitico è una perfezionamento, non una degenerazione delle democrazie che infatti ora si basano sui partiti non sui singoli perché permette cosi una maggiore chiarezza: votare un partito è molto più significativo che votare una persona che poi non si sa nemmeno chi sia
L’elettore, infatti, non ha in genere nemmeno idea di quale persona il suo voto ha contribuito a eleggere ma da il consenso a una parte politica
Si vota il partito di Salvini o Berlusconi, non un singolo anonimo e sconosciuto parlamentare: le preferenze non vengono date per stima ma per conoscenze, scambi di favori, clientelismo insomma: sono i partiti a raccogliere il consenso degli elettori e non i singoli parlamentari che nessuno conosce, nessuno sa che hanno fatto personalmente.
Il sistema dei notabili è scomparso cento anni fa e nessuno lo rimpiange , in Italia e in tutto il mondo

 Per questo motivo le preferenze sono state ridimensionate e siè  dato più spazio  al sistema della nomina dei partiti.

 

 I nominati

Si parla quindi polemicamente di parlamentari nominati; si dice  che questi non sono autonomi ma dipendono strettamente dai capi partiti che li hanno fatti eleggere. Ma una gran numero  di parlamentari ( nominati) lascia addirittura il partito o vengono espulsi perché non seguono le direttive dei leader. Il fatto che vi siano tanti che lasciano il  partito di elezione dimostra che non è affatto vero che i cosi detti nominati siano poi semplici esecutori dei capi: perfino i fedelissimi di Berlusconi  come Gelmini e Brunetta se ne vanno dal partito considerato il più padronale e personale:  non si può negare  che i leader non controllano affatto quelli che hanno messo in lista per essere eletti

Non è poi nemmeno vero che i parlamentari lo fanno quando pensano di non essere più nominati, anzi è esattamente il contrario: quelli che lasciano il partito di appartenenza in genere non vengono più nominati e quindi eletti.
Chi lascia un partito può avere il plauso degli avversari politici ma nessuno li vota piu: non quelli del partito di origine e nemmeno quelli di partiti opposti perché comunque non sono di quei partiti.

E’ evidente che il modo più sicuro per essere rieletto è quello di allinearsi alle direzioni: non si cambia partito per essere rieletto, non avviene quasi mai.
Le scissioni sono altra cosa e comunque rendono ben più incerta la rielezione

In ogni partito vi sono correnti diverse e a volte capita che la coabitazione non è più possibile e per questo una parte più o meno cospicua si divide formando un altro partito.
Ad esempio avvenne negli anni 40 quando i socialdemocratici (Saragat) si staccarono dai socialisti ( Nenni) , negli anni 70 si staccarono dai PC il PSIUP e Manifesto , negli anni 90 Rifondazione . PIù recentemente FdI da FI, il gruppo di LEU e poi I.V. di Renzi dal PD e cosi via. Non si tratta di cambio di casacca ma di formazione di nuovi partiti

Il parlamento è il luogo dove si decide dei governi: il governo non è scelto direttamente dagli elettori ma dai parlamentari.
La costituzione nata in un periodo post fascista escluse del tutto che il presidente del consiglio ( e anche della repubblica ) potesse essere eletto direttamente dagli elettori per il timore di una dittatura personale (come poi avvenuto in Turchia o Russia) Il potere è conferito solo alle assemblee che poi scelgono un governo ( precisamente: danno fiducia )
In alcuni casi come presidente scelsero il leader del partito di maggioranza, (De Gasperi , Berlusconi), altre volte esponenti del partito di maggioranza ( governi Andreotti ), altre volte presidenti di partiti di minoranza ( Spadolini, Craxi) a volte economisti non politici ( Ciampi, Monti, Draghi ), una volta un signor nessuno come Conte per mantenere l’equilibrio fra i partiti
Nessun presidente del consiglio è stato mai eletto dal popolo perché la costituzione lo esclude categoricamente

 

Conclusioni

Il problema è che la nostra democrazia funziona male non per la preponderanza dei partiti e nemmeno incapacità o immaturità politica ma propriamente  perché il sistema elettorale rende ingovernabile il paese: Infatti un governo da noi dura poco più di un anno, mi pare che solo un governo Berlusconi riuscì a durare tutta una legislatura . Ad esempio la destra ha raggiungere la maggioranza ma restano i contrasti spesso evidenti, spesso coperti  fra Lega, Fdi e Berlusconi, ognuno con le proprie bandierine.
Non si tratta della legge elettorale ora in vigore ma di tutte : la ingovernabilità per il cadere continuo dei governi e lo scioglimento anzi tempo del parlamento dura dall’inizio della repubblica .L’unica legge elettorale che poteva salvare l Italia dalla ingovernabilità fu quella proposta da Renzi e approvata dal parlamento ma dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale per risibili pretesti

Anche il fatto che politici di oggi sono impreparati dipende dalla crisi dei partiti che prima ( nella prima repubblica) costituivano un filtro: secondo le capacita si era prima dirigenti giovanili, poi incarichi modesti e solo alla fine, dopo un lungo tirocinio e anche scuole di partito, si avevano incarichi importanti

Io molto mi meraviglio come tanta gente non si rende conto proprio di come funziona il nostro ordinamento repubblicano


 

 

 

 

 

 

 

 

Il paradosso: la partitocrazia senza partiti.

 

 

 

    di Tommaso Frosini

https://www.ildubbio.news/2020/05/14/il-paradosso-la-partitocrazia-senza-partiti-scegliamo-gli-eletti-che-siano-pochi-ma-buoni/

 

Si chiamava la centralità del Parlamento: era la formula istituzionale degli anni Settanta in poi, con la quale si riconosceva al Parlamento la esclusività delle istituzioni, posizionandolo al centro della costituzione. Poi venne la stagione della degenerazione del parlamentarismo, che si manifestò e si consumò nella partitocrazia quale spazio politico dominante, che finì per acquisire la vera centralità in luogo di quella costituzionale del parlamento.

Si chiama partitocrazia senza partiti: oggi è così, come una sorta di ossimoro istituzionale. Non è soltanto un problema di crisi dei partiti derivato dalla fine delle ideologie,: è piuttosto il tema riferito all’ampliamento del pluralismo politico, che trova altri canali per espandere la sua istanza nella società. I canali dove scorre il pluralismo politico faticano a contenere le istanze entro il perimetro parlamentare e si temono forme di tracimazione. Anche perché rispetto a un ampliamento dell’offerta di pluralismo politico è riscontrabile una crisi della rappresentanza politica, e quindi: il mandato a rappresentare la nazione, la responsabilità affidata a chi rappresenta, i partiti politici quali associazioni che rappresentano il corpo elettorale, l’esercizio della funzione legislativa e così pure la funzione di controllo. Ancora: la crisi della rappresentanza è altresì determinata dalla difficoltà di trovare una ragionevole sintesi tra il rappresentare e il governare. Pertanto, quale formula elettorale e di governo adottare per non comprimere la rappresentanza ma nel contempo valorizzare la governabilità.

La crisi della rappresentanza è anche crisi del rappresentato, che ha smarrito i suoi riferimenti politici e istituzionali. Vuoi per la liquefazione dei partiti, vuoi per la perdita di centralità del Parlamento, quale organo non più decidente; vuoi, ancora, per la scomparsa del rapporto fra rappresentante e territorio, e quindi la presenza dell’eletto quale espressione di un definito collegio elettorale. La rappresentanza politica ha poi abdicato ad altre forme rappresentative: quelle degli interessi, per il tramite delle lobbies; quelle territoriali, in virtù di un’accentuazione del decentramento politico e amministrativo; quelle di genere, che spingono verso una rappresentanza paritaria forzata attraverso leggi e norme costituzionali. E’ in crisi la delega a decidere: non rivendicabile sulla base di una rinnovata valorizzazione del principio costituzionale della sovranità popolare, ma piuttosto su una ( ancora) confusa forma di interventismo diretto, che vorrebbe trovare nel web la sua capacità di esternazione e di decisione.

Bisogna pensare a rilanciare il parlamento e il parlamentarismo, anche in previsione di una riduzione del numero dei parlamentari. Abbandonata per volontà referendaria la riforma del bicameralismo ( ed è stata un’occasione persa), da dimenticare l’ipotesi del voto a distanza, occorre valorizzare il parlamentare attraverso una scelta consapevole dell’elettore, che può aversi solo per il tramite del collegio uninominale.