HOME

 

Pubblicato da res publica : quaderni europei       marzo 2015

 

english version

 

 

 

STATO ETICO

 

 

 

 

Giovanni De Sio Cesari

www.giovannidesio.it

 

 


Il termine "stato etico" può indicare due concetti opposti. Il primo significato, quello più comune e tradizionale, è che lo Stato deve perseguire fini indicati dall’etica o almeno che le sue disposizioni non possano essere contrarie ai principi etici.
Un secondo significato è che lo Stato stesso determina in concreto ciò che è bene e ciò che è male. Questa concezione fu enunciata propriamente da Hegel. Nel suo complesso sistema filosofico, tutta la realtà viene risolta nello spirito, che si articola in tre momenti: tesi, antitesi e sintesi, di cui l’ultima rappresenta il superamento dei primi due momenti. Si tratta quindi di un sistema gerarchico in cui tutti i momenti e tutte le manifestazioni vengono inseriti in una specie di scala, nella quale ciascuno trova la sua collocazione a un certo livello di autocoscienza.
A un certo punto, Hegel afferma che lo Stato è l'autocoscienza di un popolo, il momento più alto, e che quindi spetta ad esso stabilire il bene e il male, una sorta di dio in terra. Inoltre, egli sostiene che il re di Prussia impersona l’autocoscienza della Germania, considerata il popolo dalla coscienza più alta di tutta l’umanità.

Non è qui la sede per esaminare la coerenza e la ragionevolezza del sistema filosofico hegeliano in generale, ma ci limitiamo a vedere i riscontri che una tale concezione ha avuto nella storia effettiva dell’umanità.
A noi sembra che essi possano rintracciarsi nei due movimenti che hanno caratterizzato il ’900 e che furono giustamente definiti totalitari: fascismo e comunismo.
"Totalitari" vuol dire che il regime politico non si limitava a regolare alcuni aspetti della vita (economia, ordine interno, difesa e così via), ma intendeva formare un homo novus.
Coerentemente, non si lasciava libertà al cittadino di scegliere ciò che voleva, ma lo si voleva educare a quel modello di uomo considerato l’unico vero e giusto.
Il comunismo voleva creare l’uomo libero dalle catene dell’egoismo, attore di una società in cui ciascuno dà per quanto può e riceve per quanto ha bisogno.
I fascismi, invece, volevano creare l’uomo che fa grande la propria patria: talvolta con una missione civilizzatrice (come i Romani), talvolta con la semplice volontà di sopraffare gli altri popoli.
In entrambi i casi, quindi, è lo Stato, il regime guidato poi da una sola persona, che stabilisce ciò che è bene e ciò che è male per raggiungere quel modello di uomo che si persegue.

Diversa, anzi diciamo opposta, è l’idea tradizionale dello stato etico come l’entità che attua una legge etica preesistente e superiore allo Stato stesso. In questo caso, lo Stato si limita ad attuare e, al massimo, concretizzare una legge superiore. Sorge quindi il problema di cosa fare quando l’etica e lo Stato entrano in conflitto, un problema posto fin dall’inizio della civiltà.
Emblematica è la tragedia greca di Antigone: lo Stato le proibisce di dare onorata sepoltura al fratello che ha combattuto contro la patria, ma lei considera questo un dovere etico imprescindibile. Antigone preferisce disobbedire e osservare il dovere etico, ed è pronta a morire per questo.
La prevalenza della morale sulla politica è generalmente accettata: ad esempio, i primi cristiani preferivano il martirio al dovere civico di riconoscere la divinità dell’imperatore.

Il sovrano era sempre stato considerato un potere assoluto (non democratico) e si diceva che il sovrano fosse legittimo se si atteneva alla giustizia (etica) e tiranno se non si atteneva ad essa. San Tommaso riteneva che i sudditi avessero il diritto, o meglio il dovere, di ribellarsi a un sovrano ingiusto.
È vero però che Machiavelli, realisticamente, distingueva tra politica ed etica: tuttavia, il fine doveva sempre essere etico e i mezzi potevano, se proprio necessario, essere anche non morali. Il fine etico giustificava dunque i mezzi non etici. Ma nemmeno in Machiavelli vi è alcun dubbio sul fatto che il fine della politica non possa che essere il bene.

Tutto ciò poneva una forte relazione tra potere politico e religioso, di cui spesso noi moderni non ci rendiamo conto.
Se il fine dello Stato è l’attuazione della morale e della giustizia, e se essa trova il suo fondamento nella volontà di Dio, allora il sovrano diventa un delegato di Dio per amministrare la giustizia sulla terra e attuare le sue leggi eterne e immutabili.
Come affermano i Fratelli Musulmani, lo Stato ha solo il potere esecutivo, perché quello legislativo appartiene a Dio.
Nel Medioevo abbiamo un conflitto per la preminenza tra imperatore (potere politico) e papa (potere religioso). Questo scontro non va inteso, come spesso si fa oggi, come una lotta tra laicità e teocrazia: entrambi, infatti, rivendicavano un’investitura divina.

Nella democrazia moderna si rivendica la sovranità popolare e nessun potere religioso può limitarla (laicità dello Stato). Tuttavia, questo non significa che lo Stato abbia un potere assoluto, al di sopra del bene e del male.
Rimane l’idea che lo Stato debba affermare ciò che è giusto e bene: la schiavitù, lo sfruttamento dei lavoratori, le disuguaglianze e la donna ridotta a oggetto sono vietati dalle leggi perché ingiusti, mentre le provvidenze per i bambini, i poveri e gli ammalati sono promosse perché giuste.
Le leggi, infatti, rispecchiano ciò che in un dato momento storico la maggioranza ritiene giusto eticamente. Inoltre, le costituzioni rivendicano principi come l’uguaglianza dei sessi e delle razze, nonché le libertà individuali, che vengono posti al di sopra della volontà delle maggioranze costituite e quindi intangibili anche dallo Stato: su tali diritti vigilano le corti costituzionali.
Quindi, anche in questo caso, lo Stato non può andare oltre quei principi che vengono considerati etici.

È vero, però, che la definizione concreta di tali diritti dipende sempre dal momento storico. Ad esempio, fino a qualche tempo fa l’omosessualità era considerata un reato, mentre oggi tende a essere riconosciuta come un diritto, perché è cambiata radicalmente la sua percezione.
Rimane il fatto che ciò che è bene e ciò che è male dipendono sempre dal momento storico e possono variare con esso.
Dobbiamo essere consapevoli che il concetto di giustizia varia nel tempo: non possiamo giudicare il presente con i parametri del passato, e tanto meno viceversa.

 

 

 

 

 

LES FORMES DE L'ÉTAT ET LA PRODUCTION DEL'ÉTHIQUE SOCIALE

 

Jacques Beauchemin

Université du Québec à Montréal

https://www.erudit.org/fr/revues/ps/1997-v16-n2-ps2490/040067ar.pdf

 

 

Une seconde contradiction surgit de l'intérieur même du discours politique fondateur de la société moderne. Il s'agit des effets délétères de ses grandes valeurs émancipatrices du point de vue de la soumission à l'ordre social. L'idéal politique fondateur de la modernité recèle, en effet, un potentiel séditieux susceptible de compromettre le projet émancipateur qu'entretient la société pour elle-même à travers la promotion des grandes valeurs politiques que sont, par exemple, la liberté, l'égalité et la démocratie.

 La société est aux prises avec la question de savoir où s'arrête la liberté de l'acteur, quelles sont les limites du droit, et jusqu'où Ton devra reconnaître l'égalité des chances et la participation démocratique (l'extension du droit de vote ou d'association, par exemple). De nombreux auteurs ont souligné ces propensions ultimement contradictoires dans la modernité, propensions qui consistent à conférer à l'acteur social le double statut d'individu et de sujet, de prolétaire exploité mais aussi

de citoyen détenteur de droits17. La dynamique contradictoire qu'enclenche cette double position de l'acteur fait en sorte qu'éventuellement le citoyen, invoquant la démocratie et la liberté, doublera le prolétaire en revendiquant ses droits (de grève, par exemple).

De même, l'homo œconomicus assoiffé de réussite finira par occulter le sujet bâtisseur de la Cité qu'il est aussi, ce sujet

capable d'un certain renoncement à ses appétits individualistes en vue du bien commun. C'est là le caractère paradoxal des grandes valeurs politiques émancipatrices de la modernité. En même temps qu'elles représentent un acquis de civilisation, elles recèlent les conditions de l'autodestruction de la communauté en menaçant la solidarité et la définition d'un être-ensemble totalisant de la société.

Je dirai alors que, dans la société moderne, l'éthique vise à juguler la tendance émancipatrice inhérente à une représentation de l'existence, selon laquelle la liberté et les aspirations à l'émancipation sont les fondements mêmes des rapports de l'individu à la société.

Les catégories idéologiques du devoir, du travail, de l'effort, du sacrifice, ou de la responsabilité contribuent à une représentation de la société et des rapports sociaux destinée à la reproduction de l'ordre

par-delà la tendance centrifuge induite par les grandes valeurs du libéralisme qui ont accompagné l'avènement de la société moderne.

C'est dire que le potentiel corrosif des valeurs émancipatrices appellera un balisage capable d'en enrayer les effets séditieux. Ce sera le rôle du droit bien sûr, mais aussi d'un discours à portée normative que je saisis ici sous la notion de discours éthique.

La société moderne produit donc son existence dans le cadre d'une double contradiction en vertu de laquelle s'opposent, d'une part,Imperium du marché et la socialite que celui-ci menace et, d'autrepart, la sacralisation de l'émancipation politique et le vide éthique laissée par elle. La nécessité de la production d'un discours éthique renvoie donc, d'une part, à l'idéal communautaire que la société

Alain Renaut, « L'avènement de l'individu comme dissolution du Sujet », dans moderne se refuse à abandonner en face des forces dé-historisantes engendrées par le procès d'institutionnalisation économique et

découle, d'autre part, de cette volonté inquiète de maintenir un discours d'ordre dans un monde mû dorénavant par la dynamique potentiellement a-éthique de la promotion tous azimuts de

l'émancipation politique.

À partir de là, l'éthique sociale peut se donner comme objet sociologique, parce qu'elle est posée comme résultat des

contradictions intrinsèques à l'existence sociale dans la sociétémoderne. Mais il me faut maintenant m'empresser de préciser que les effets de cette dynamique sur la production du discours éthique nedeviennent pleinement intelligibles que si l'on situe l'analyse de cettedynamique au centre des processus contradictoires de l'institutionnalisation de la société à partir desquels on pourra maintenant appréhender les transformations du discours éthique.

Ainsi et, par exemple, pour quelle raison le discours éthique providentialiste, qui s'affirme dans l'après-guerre dans le cadre

régulateur de l'État-providence, abandonne-t-il les valeurs libérales éminemment disciplinaires que sont le travail et le sacrifice, alors même que la disciplinarisation et la soumission à l'ordre demeurent

évidemment nécessaires ? Ou encore, pour quelle raison le discours éthique néolibéral contemporain réactive-t-il l'idée de responsabilité, dévaluée dans le discours éthique providentialiste antérieur ? Ce phénomène ne tient-il qu'au désengagement de l'État dans le domaine social ou ne renvoie-t-il pas aussi à l'épuisement de la valeur éthique de la solidarité après que celle-ci eut été vidée de ses aspects émancipateurs pour ne revêtir qu'un sens technocratique et gestionnaire ? Ces questions et de nombreuses autres appellent une analyse fine des discours éthiques tels que les ont façonnés les différentes modalités de la régulation des rapports sociaux dans l'histoire de la société moderne