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Pubblicato  IN DIES  il 23/02/ 2025

 

Il manifesto di Ventotene

 

English version

 

Giovanni De sio Cesari

www.giovannidesio.it  

 

Enormi polemiche ha suscitato la Meloni affermando in Parlamento che non condivideva affatto il Manifesto di Ventotene come base dell’Europa che si vuole oggi costruire.
Non affrontiamo qui il problema politico suscitato: qualcuno parla di una trappola della Meloni, qualcuno di una manifestazione di fascismo e ci sono infinite altre interpretazioni.
Qui vogliamo solo esaminare cosa dicesse effettivamente quel Manifesto, che tutti citano sempre come la base dell’unità europea, ma che pochi in realtà hanno letto. Si spera che almeno le polemiche suscitate abbiano spinto molti a leggerlo.

L’autore principale del Manifesto fu Altiero Spinelli, mentre si trovava al confino a Ventotene nel 1941, e l’Europa era precipitata nella Seconda Guerra Mondiale, senza però aver ancora raggiunto i culmini tragici che avrebbe conosciuto poco dopo. In esso si immaginava un’unione europea che superasse una volta per sempre i nazionalismi, da sempre causa di infinite tragedie.
Il problema posto da Meloni è se il modello di Europa proposto sia ancora oggi condivisibile.

Spinelli era un comunista non stalinista, critico verso l’URSS e in cerca di una nuova strada per instaurare il comunismo; tuttavia, rimaneva sempre un comunista convinto e presentava un progetto marxista: che altro avrebbe potuto fare?
Ma oggi nessun partito politico europeo di una qualche rilevanza si dichiara marxista: come potrebbe, allora, una concezione comunista essere alla base della UE?
Non discutiamo qui se quel progetto sarebbe stato migliore o peggiore di quello attuale: il fatto oggettivo è che esso non è più attuabile, anzi, in effetti, non lo è mai stato.

Infatti, anche se in Parlamento è scoppiato il putiferio (addirittura un deputato è stato visto piangere!), nessuno però ha richiamato quel pensiero per dire che bisognerebbe attuarlo.

Esaminiamo allora molto brevemente cosa si scriveva nel Manifesto.

La concezione della storia è propriamente marxista: alla base vi è la lotta di classe tra proletari e borghesi. Il nazionalismo è visto semplicemente come un inganno della borghesia per distrarre il proletariato dai suoi veri interessi. L’unità europea, quindi, viene concepita come affermazione dell’Internazionalismo proletario: in sostanza, il nazionalismo sarà veramente superato solo quando si avrà una società comunista. Finché esisterà il capitalismo, il nazionalismo risorgerà continuamente e ineluttabilmente.

Soprattutto, nel le parole citate dalla Meloni, si affermava che i popoli non sono ancora maturi per scegliere veramente, e quindi la VERA libertà sarebbe venuta solo dopo un periodo imprecisato di dittatura del partito, inteso come autocoscienza del proletariato: solo allora si sarebbe potuta avere una vera democrazia.
Il progetto di Spinelli era quello che, a quei tempi, i comunisti definivano “democrazia popolare” (ossia i regimi comunisti) e non quella che invece chiamavano “democrazia borghese” (democrazia rappresentativa).

Nessuno, né allora né tanto meno oggi, pensa che l’Europa unita possa basarsi sul primo modello, mentre tutti danno per scontato il secondo.

Ora, non discutiamo della verità, fondatezza o fattibilità delle posizioni del Manifesto, ma dobbiamo constatare che esse, nell’Europa di oggi, non esistono più.
Non si tratta, come sostiene qualcuno, di una strada diversa (magari sbagliata) per raggiungere l’unità europea, ma propriamente di un modello che oggi nessuno più condivide.

Resta allora da spiegare come mai, quasi universalmente, anche negli ambienti istituzionali, si continui a fare riferimento a Spinelli.
In realtà, accanto alla Storia scientifica, esiste anche quella che potremmo definire Storia Patria, nella quale si formano dei miti.

Spesso accade che alcuni personaggi vengano considerati i padri di un ordinamento politico che poi si rivela radicalmente diverso da quello che essi proponevano.
Ad esempio, Mazzini è considerato l’apostolo dell’Italia, ma in effetti l’Italia che si formò realmente era qualcosa di radicalmente diverso da quella che egli aveva immaginato.Così, proverbialmente, non si può parlare male di Garibaldi, ma di fatto Garibaldi si autoesiliò a Caprera.Eppure, nel periodo post-unitario, ogni comune italiano si affrettò a intitolare ad essi piazze, strade e monumenti.
Analogamente, l’India indipendente considera Gandhi come il suo grande (Mahatma) padre, ma in realtà essa non ha poco da  vedere con il sogno di Gandhi.
Durante il Risorgimento, si celebrarono come esempi di coscienza nazionale episodi come la disfida di Barletta, il Balilla, Pietro Micca, che in realtà non avevano nulla a che fare con quella coscienza.

A ben vedere, il caso Spinelli è collegato a quello, ben più ampio e pervasivo, dei Partigiani.
Si dice che il movimento partigiano sia alla base della nostra Repubblica. In realtà, benché nei partigiani ci fossero molte anime diverse – dai monarchici agli anarchici – il nucleo più forte e prevalente era quello comunista. Si lottava soprattutto per l’avvento del comunismo e per abbattere il capitalismo, identificato nel fascismo.
Quello che nacque, però, fu una società capitalista (liberista, se preferite), una democrazia definita borghese, insomma un’Italia allineata all’Occidente capitalista.
Possiamo dire che la nostra democrazia nasce soprattutto dagli accordi di Yalta e dall’occupazione americana, che mandò in frantumi il sogno prevalente nei partigiani di una dittatura del proletariato.

Insomma, ogni popolo ha bisogno di miti.

Infrangere i miti non è politicamente opportuno: la Storia Patria può essere più importante della Storia scientifica.