Pubblicato da res publica : quaderni europei febbraio 2015
Leggi civili e cultura
Giovanni De Sio Cesari
Le leggi civili (non quelle di carattere politico) riflettono sostanzialmente quelle che sono le idee prevalenti della comunità, la cultura del popolo. È vero che le leggi hanno carattere imperativo e repressivo e prevedono sanzioni per chi non le rispetta, ma, in realtà, tutti, tranne pochi, agiscono come la loro cultura prevede e quindi, in effetti, non violano le leggi: le sanzioni sono necessarie solo per le eccezioni (forse l’1%, ma io direi 1 su 1000).
In generale, le leggi non seguono propriamente l’etica, che è un fatto personale e difficilmente controllabile, ma impongono quelle norme che, secondo la mentalità prevalente, sono dannose per la comunità.
Il presupposto per cui lo Stato (meglio, la comunità) proibisce X è che ritiene (a torto o ragione) che X sia dannoso per gli altri.
Si dice spesso che possiamo fare tutto quello che non danneggia gli altri o, in modo aulico, che la libertà di ciascuno finisce dove inizia quella degli altri.
Ma in effetti qualunque nostra azione ha sempre conseguenze sugli altri, tranne qualche banalità, anche se solo una minima parte di esse viene regolata dalla collettività. Considero questo un punto essenziale: tutto quello che facciamo ha sempre un impatto positivo o negativo sugli altri; è difficile immaginare qualcosa che si possa fare senza danneggiare o aiutare gli altri. Tutte le leggi (imposizioni) della collettività hanno come presupposto evitare un danno alla collettività. Se possiamo fare tutto quello che non lede la libertà degli altri, allora dovremmo solo ritirarci su un’isola deserta.
Gli esempi sarebbero infiniti.
Se la collettività (nel caso, lo Stato) obbliga alla vaccinazione, significa che la ritiene necessaria per evitare il contagio degli altri (che sia vero o meno è un altro problema) e magari anche il sovraccarico degli ospedali, e non solo il contagio.
Se, ad esempio, il singolo mangia troppi grassi, si ammala e quindi lo Stato deve provvedere alle spese di cura; e poi, ancora di più, il lavoro ne risente, e soprattutto ne risente la famiglia (la comunità della casa).
Non si fuma in pubblico perché danneggerebbe gli altri, ma ognuno può fumare da solo perché ha il diritto di scegliere di rischiare la malattia? Ma bisogna però tener conto che, se il fumatore si ammala, ne deriva un danno per la collettività, che deve curarlo, e soprattutto che il danno veramente importante è per la sua famiglia. Da questo punto di vista, allora, lo Stato potrebbe vietare il fumo anche in privato.
Nel caso del fumo, sarebbe difficile impedirlo: ci si limita allora a forti campagne pubblicitarie e anche ad alzare il prezzo delle sigarette.
Chi era contro il divorzio non era un sostenitore del patriarcato (ma che sciocchezza!), ma uno che riteneva che il divorzio sarebbe stato negativo per la stabilità della famiglia e l'educazione dei figli: che fosse vero o meno è un altro problema.
Ovviamente, le leggi cambiano con il mutamento della mentalità comune.
Ad esempio, se un tempo era il padre il capo di casa (gli spettava la patria potestà), ora invece vi è parità coniugale (patria potestà condivisa); se una volta il tradimento occasionale della moglie era più grave di quello del marito, negli anni ’70 la Corte Costituzionale ha abolito una tale distinzione.
Se un tempo essere gay era un reato, ora invece è reato discriminare i gay.
Qualcuno pensa che la sovranità dello Stato e delle leggi debba fermarsi alle soglie della casa (cioè della famiglia).
Ma non è affatto vero. Non ha alcuna importanza che un fatto avvenga a casa o in pubblico per essere reato: l’assassinio, i maltrattamenti, lo stupro sono delitti dovunque avvengano.
Vero però che alcune cose sono consentite in casa ma non in pubblico. Ad esempio, è proibita la nudità in pubblico ma non in casa: in realtà, è vietato farsi vedere nudi, non essere nudi. Ma se avviene in casa dove gli altri possono vedere (ad esempio, su una terrazza), allora è vietato anche lì.
Anche se, come dicevamo, non possono essere considerati reati le infrazioni all’etica di per sé (diremmo peccato in linguaggio religioso), tuttavia l’impostazione generale delle leggi civili è sempre correlata all’etica.
Ad esempio, in altri tempi la schiavitù era considerata lecita, ma ora certo non lo è più, anche se potrebbe essere giovevole alla comunità dei cittadini. E allora è lo Stato che deve pur decidere, con le sue leggi, la liceità o meno della schiavitù, così come non è consentito eliminare gli ammalati anche se sarebbe giovevole alla società (l’eutanasia è un caso a parte perché richiesta dallo stesso ammalato).
Tuttavia, non è che ciò che decide lo Stato sia giusto (Stato etico), ma semplicemente viene imposto come se lo fosse.
In ogni epoca nasce allora il problema se bisogna seguire le leggi dello Stato, se queste appaiono contrarie alla morale che si segue.
In genere, prevale la morale sulla legge statale, come nell’Antigone di Sofocle.
Modernamente si ammette qualche volta l'obiezione di coscienza, come il rifiuto del servizio militare o di provocare un aborto.
Ma l’aborto un caso a parte è. Viene spesso propagandato come un diritto delle donne. In realtà, chi è contro l’aborto ritiene (a torto o a ragione, non so) che il nascituro sia già un essere umano e che quindi abortire sia un assassinio. I favorevoli, invece, pensano che non sia un assassinio perché il concepito non è ancora un essere umano. In democrazia si decide a maggioranza, dopo ampio e libero dibattito, quale delle due concezioni sia quella giusta da seguire: abbiamo così stabilito che fino a tre mesi non è ancora un essere umano e quindi si può abortire, mentre dopo lo è, e quindi non lo si può più fare. (Certo, è sempre un’idea un po’ strana, ma è quella che è prevalsa).
Un caso particolare è quello degli immigrati appartenenti a culture diverse.
Come dicevamo, in realtà tutti, tranne pochi, fanno quello che la loro cultura prevede, e quindi le leggi repressive sono necessarie solo per le eccezioni.
Ad esempio, per noi occidentali i mariti non possono battere le mogli: in realtà, quasi nessuno lo fa e la legge che lo proibisce è necessaria solo in rare eccezioni.
Ma se inseriamo gente che viene dal Medio Oriente, dove questo uso è generalizzato, questi non si comporteranno secondo la nostra cultura e quindi allora sarà necessaria una repressione generalizzata?
Les « infractions culturelles »
leur différente importance d’un système pénal à l’autre,
https://shs.cairn.info/revue-archives-de-politique-criminelle-2014-1-page-181?lang=fr
Venons donc, tout d’abord, au concept d’« infractions culturelles ». Par cette expression, on fait habituellement référence aux faits qui sont considérés comme infractions par la loi de l’État où ils ont été commis, mais qui sont, selon les cas, imposés, approuvés, acceptés, tolérés ou du moins justifiés en vertu de normes juridiques et/ou de traditions en vigueur au sein du groupe d’appartenance de l’auteur. Il s’agit donc d’infractions qui sont fortement influencées par le « facteur culturel » particulier de l’auteur, facteur différent de celui de la majorité des citoyens et qui induit à faire ce qui est (du moins en principe) interdit par la loi. On pense, par exemple, aux personnes provenant des pays d’Afrique centrale qui, conformément à leurs propres traditions, ont des rapports sexuels avec leurs compatriotes mineurs selon la loi du lieu de l’infraction ; aux natifs de l’Asie orientale du sud lesquels, selon les modèles existant dans leur milieu d’origine, destinent des adolescents aux travaux qui leur sont interdits à raison de l’âge dans le pays de résidence ; aux personnes qui, au regard de la conception de la vie familiale et des pouvoirs du chef de famille existant dans leur pays d’origine, ont des comportements relevant, selon le droit de l’État dans lequel elles vivent, de l’infraction de maltraitance familiale ; à ceux qui appartiennent à des minorités culturelles, raciales, religieuses qui, pour des raisons diverses, soumettent des hommes et des femmes d’un âge assez variable à des mutilations ou déformations rituelles d’importance variée (circoncision, cicatrices ornementales, allongement du cou ou des lèvres, contraction des pieds, infibulation, etc.) ou bien à des formes plus ou moins intenses de privation de liberté. « a »
Passons maintenant au traitement réservé à de telles infractions dans les différents ordres pénaux nationaux. Il convient, à cet égard, de noter que les lois pénales nationales sont assez variées, souvent pas pleinement rationnelles et toujours dignes d’attention. On peut dire en extrême analyse que l’attitude des différents pays à l’égard des infractions culturelles est plus ou moins indulgente selon que les pays en question se caractérisent par un modèle social et politique de type multiculturaliste (comme celui, du moins pendant longtemps, des pays anglo-saxons) ou bien de type intégrationniste (comme l’était traditionnellement, en particulier, le modèle français). Pour ce qui concerne spécifiquement les États-Unis, le Royaume-Uni, l’Australie, le Canada et l’Afrique du Sud, il convient de relever l’important développement de ce qu’on appelle les cultural defenses, sur la base desquelles la commission de certains interdits pénaux, lorsqu’elle est « culturellement motivée », peut emporter, selon les cas, l’exclusion ou la diminution de la responsabilité pénale de l’auteur . À l’opposé, la France a choisi de ne donner aucune importance, au niveau pénal, à l’éventuelle appartenance de l’auteur à une communauté ayant des racines culturelles même profondément « différentes ». Ce choix vise soit à favoriser l’assimilation complète de ceux qui appartiennent à de telles communautés dans la société française (en d’autres termes, l’émancipation des individus de leur noyau social originaire en vue de leur identification dans la communauté nationale), soit à préserver l’homogénéité culturelle de l’État dans son ensemble . En tous les cas, indépendamment du fait qu’aussi bien les modèles multiculturels qu’intégrationnistes ont, du moins tendanciellement, échoué, on voit de plus en plus s’affirmer dans les pays occidentaux des modèles « mixtes » dans lesquels le rôle du facteur culturel dans le domaine pénal est diversement évalué selon les cas, c’est-à-dire selon les options politiques du moment, du type d’infraction commise, des demandes provenant du corps social à son encontre. Désormais, même le Royaume-Uni et la France ont progressivement tempéré leurs modèles respectifs pour accueillir dans certains cas des solutions de type syncrétique.
Examinons, enfin, les auteurs des infractions culturelles, parmi lesquels il faut au moins distinguer ceux qui appartiennent à une minorité autochtone ou à une minorité immigrante.
Dans la catégorie des « autochtones » (dits également « originaires », « indigènes », « natifs »), on trouve les sujets appartenant à des groupes ethnico-culturels concentrés sur un territoire qui leur est historiquement « propre » et qui se sont révélés capables de maintenir en vie, au moins partiellement, leur culture originaire et l’ensemble de leurs styles de vie. On pense, par exemple, aux Peaux-Rouges nord-américains, aux Indiens sud-américains, aux Aborigènes australiens, aux Inuits de Groenland, Russie et Canada. Le trait commun à tous ces groupes minoritaires est de s’être vu accorder, dans la plupart des cas, le droit de protéger leurs propres traditions, et donc parfois, de garder des habitudes et des comportements qui expriment leur conception particulière du monde, y compris lorsque de tels habitudes et comportements entrent apparemment en conflit avec les règles de l’ordre national. La tolérance croissante à l’égard des sujets appartenant à une minorité « native » se fonde, avant tout, sur le « droit à l’autodétermination » des peuples, ou sur la reconnaissance des « droits ancestraux » légitimement revendiqués par les populations indigènes pour protéger leur culture d’origine . En effet, de nombreux textes internationaux proposent de protéger le « mode d’être » de ces populations.
Il est dès lors évident que, dans la plupart des États qui connaissent des minorités autochtones, la législation pénale prévue pour les infractions culturelles commises par des auteurs appartenant à ces minorités est imprégnée, dans les limites du possible, du respect de leur spécificité. Il suffit de penser que, dans de nombreux cas, il est prévu des tribunaux spéciaux et des procédures spéciales de sanction relevant du droit indigène coutumier (souvent centrées sur le pardon et la réconciliation entre l’auteur et la victime), afin justement de sauvegarder les coutumes, traditions et valeurs des minorités indigènes [12]. Concernant particulièrement le droit pénal substantiel, les membres des groupes natifs peuvent parfois, en vertu de lois spécifiques, avoir des comportements qui peuvent autrement être considérés comme infraction pénale : par exemple, chasser des espèces animales sévèrement protégées de toute autre forme d’agression , ou contracter un mariage consanguin ou en deçà de l’âge légal prévu pour le reste de la population .
Dans la catégorie des immigrants « culturellement différents », on trouve plutôt tous ceux qui sont issus de lieux dans lesquels le fait commis revêt des significations « autres » que celles qui lui sont attribuées dans l’État de commission. Toutefois, généralement, la tolérance affichée par les ordres pénaux nationaux pour les « actes illicites culturels » commis par des sujets appartenant à des minorités immigrantes est inférieure à celle réservée aux actes illicites analogues commis par ceux qui appartiennent à des minorités natives, étant donné que les premiers ne peuvent invoquer ni le droit à l’autodétermination, ni les droits ancestraux légitimant leur acte En outre, on considère – à tort ou à raison – que les immigrants doivent témoigner une moindre résistance à abandonner leurs coutumes d’origine en vue d’une intégration rapide [16]. Les sujets provenant de pays culturellement éloignés ne peuvent donc « prétendre » à ce que leurs traditions soient reconnues par les États d’accueil et avoir – dans certains cas – une sorte de sauf-conduit pénal. Ils se bornent généralement à « espérer » ou, au plus, à « demander » que leur condition existentielle particulière soit prise en considération adéquate. En tous les cas, contrairement à ce qui est prévu pour les minorités autochtones, on ne trouve dans aucun pays pour les minorités immigrantes des tribunaux spéciaux dotés de procédures spécifiques ; elles peuvent au plus bénéficier de circonstances justificatives ou atténuantes relativement aux infractions pénales rattachables à leurs actes .
À ce stade, il convient toutefois de souligner qu’en Italie et dans la majeure partie des pays de l’Union européenne, il existe seulement très peu de minorités autochtones (il s’agit essentiellement de rares groupes sédentaires de Roms et de juifs) caractérisés par des particularités culturelles significatives. En revanche, on assiste à une augmentation rapide et considérable des immigrants provenant de pays avec des traditions assez différentes des nôtres.
Par ailleurs, il faut noter que les infractions culturelles ne sont pas toujours commises par des auteurs appartenant à des groupes ayant des traditions très différentes des nôtres. Parfois, des peuples très proches entre eux ont des différences culturelles notables avec des retombées significatives en matière pénale. On pense, par exemple, à la grande différence du seuil de tolérance qui oppose la France et la Hollande en ce qui concerne la consommation de stupéfiants. Ainsi, l’usage illicite de telles substances sur le territoire français par un citoyen hollandais peut rentrer dans la catégorie des infractions culturelles au sens large. Il en est de même pour la conduite d’un véhicule à très haute vitesse par un Allemand sur une autoroute suisse ou danoise en raison de l’absence de limite de vitesse autoroutière en Allemagne et la présence au contraire de limites très rigoureuses dans les pays nordiques qui lui sont frontaliers. En effet, même dans ce cas, on peut vraisemblablement retenir que la « culture automobile » particulière du conducteur allemand l’empêche de comprendre pleinement le caractère illicite de son propre comportement .
Il est vrai, néanmoins, que les infractions culturelles les plus diffuses et redoutées (maltraitances, mutilations génitales, polygamie, etc.) impliquent des différences sociales profondes, vérifiables seulement entre habitants d’États qui sont géographiquement et culturellement éloignés.