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Pubblicato  IN DIES  il 10/02/2025

 

 

Terroristi e criminali di guerra

 

 

 

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Giovanni De sio Cesari

www.giovannidesio.it

 

Quasi sempre, nelle guerre moderne, cosiddette asimmetriche, da una parte c’è un esercito regolare e ben armato e, dall’altra, gruppi irregolari che non sono in grado di affrontarlo in campo aperto e che quindi operano con azioni che un tempo si definivano di guerriglia, nascondendosi tra la popolazione più o meno convivente o costretta ad esserlo.

Accade allora che, secondo la propria visione politica, da una parte si parli di criminali di guerra e, dall’altra, di terroristi, e talvolta si accettino entrambe le definizioni.

Un esempio attuale è la guerra a Gaza: c’è chi sostiene che HAMAS sia un gruppo terroristico e chi invece ritiene che gli israeliani siano criminali di guerra. C’è anche chi sostiene entrambe le definizioni, tanto che tribunali internazionali spiccano mandati di cattura che non hanno alcuna possibilità reale di essere attuati, ma che ciascuna delle parti utilizza come propaganda.

Ci chiediamo allora che senso abbiano queste definizioni, di cui la propaganda si avvale ampiamente.

Il punto principale ci pare questo: le guerre non sono gare sportive nelle quali chi non rispetta le regole perde, ma tragedie immani nelle quali vince chi usa i mezzi necessari per vincere.

 

Criminali di guerra

In realtà, oggi non si parla più tanto di crimini di guerra quanto di crimini contro l’umanità, atrocità, genocidio e così via, concetti molto più vaghi.

Per crimine di guerra si intende una violazione delle leggi di guerra. In realtà, si tratta di trattati che ormai nessuno osserva più perché, almeno dal 1940, non sono più applicabili ai conflitti moderni. Un'eccezione sono state le guerre arabo-israeliane del secolo scorso, ma durarono pochi giorni, più blitz che guerre vere e proprie.

Le regole di guerra non vengono più rispettate perché non sono più rispettabili: le convenzioni di Ginevra e simili valgono per eserciti in campo aperto, ma non sono applicabili nelle cosiddette guerre asimmetriche. Se i guerriglieri non hanno un esercito in grado di opporsi in campo aperto, a loro volta gli avversari non hanno di fronte un esercito tradizionale da affrontare.

Un punto essenziale per comprendere gli avvenimenti è che le leggi di guerra valgono solo in reciprocità: io non uccido i tuoi civili se tu non uccidi i miei. Non è solo una verità storica, ma anche una necessità bellica.

Se bombardare una città è un crimine di guerra, allora sarebbero criminali coloro che bombardarono Londra e Dresda, Berlino e Tokyo, il Vietnam e l’Afghanistan, l’ISIS (Mosul) e gli Houthi.

Se i combattenti si nascondono in mezzo ai civili, non è possibile colpirli senza colpire anche i civili, che poi non è facile distinguere dai combattenti.

Talvolta si discute se i bombardamenti di Dresda, Tokyo o Hiroshima fossero mezzi necessari o efficaci per vincere la guerra. Se fossero stati inutili, allora sarebbero state inutili crudeltà.

Non saprei, ma mi pare che, nelle guerre totali, fiaccare la voglia di combattere del nemico sia un elemento essenziale: i bombardamenti, la scarsità di cibo, di acqua, di medicine e di tutto il resto fanno crescere il desiderio dei popoli di preferire la fine della guerra alla vittoria.

A me il maggiore delitto pare quello di continuare una guerra che non si può più vincere, come fecero negli ultimi due anni i Tedeschi e come ora fanno da decenni HAMAS e altri.

 

Terroristi

Nel linguaggio internazionale, terrorista non significa “colui che fa terrore” (in tutti i conflitti avviene, si vedano i bombardamenti su Gaza), ma colui che non è un legittimo combattente, ovvero chi non porta una divisa che lo renda riconoscibile.

Ma allora anche i guerriglieri di Spagna contro Napoleone, i guerriglieri di Fidel Castro, i Viet Cong, i mujaheddin dell’Afghanistan e così via fino ai nostri partigiani: tutti hanno violato le leggi di guerra perché combattevano senza divisa.

La distinzione fra combattenti per la libertà (o altri ideali) e terroristi è solo un giudizio politico di parte.

Infatti, ad esempio, se per i governi occidentali HAMAS è un gruppo terroristico, per gran parte del mondo arabo i suoi membri sono eroi, shahid (testimoni della fede) ai quali Allah concederà subito il paradiso.

I governi arabi sono tutti contro HAMAS, eppure nessuno lo mostra apertamente perché temono le reazioni popolari.

Etichettare quindi un gruppo come terroristico o patriottico è solo un giudizio di parte.

Qualche volta poi vengono definiti terroristi quei regimi che violano gravemente i diritti civili. Se fosse così, sarebbero terroristi tutti i paesi del Medio Oriente, dell’Africa nera e della maggior parte del mondo, che non accettano quelli che sono i NOSTRI principi. Principi che, tra l’altro, non sono affatto universali, ma solo dell’Occidente moderno, almeno nelle carte costituzionali (nella realtà poi bisogna vedere).

È un po’ come quando si parla di fascismo eterno, ovvero si allarga il concetto di fascismo a tutti i regimi autoritari, per cui anche Carlo Magno e Augusto, Stalin e Mao dovrebbero essere definiti fascisti.

 

Visione etica

Forse il problema è alla fonte: la visione etica della politica.

Non si può giudicare un fatto storico dal punto di vista etico (e infatti gli storici non lo fanno mai) perché le due parti giudicano partendo da principi diversi e danno interpretazioni diverse dei fatti, per cui ciascuno ritiene di avere ragione.

Già Machiavelli constatò (non inventò) che in politica i mezzi potevano essere non morali: si entra nel male per fare il bene.

Modernamente, però, con l’ampliamento delle nostre conoscenze sulle varie culture, dobbiamo renderci conto che, quando c’è un conflitto, significa che le due parti giudicano partendo da principi diversi e danno interpretazioni diverse dei fatti, per cui ciascuno ritiene di avere ragione e di essere dalla parte del bene.

Ad esempio, nel conflitto palestinese, gli ebrei ortodossi (haredim) credono che Dio abbia assegnato per sempre agli ebrei tutta la Palestina, mentre HAMAS (integralisti islamici) ritiene che si tratti invece di un deposito (waqf) affidato ai credenti e che quindi essi non ne possano disporre.

Entrambi sono convinti di essere dalla parte di Dio, quindi del bene, del giusto, e che morendo per esso andranno in paradiso (almeno gli islamici).

Così, nelle guerre di indipendenza, i patrioti italiani pensavano di essere nel giusto perché ogni popolo deve avere uno Stato, mentre i reazionari sostenevano il legittimo sovrano, tale addirittura per grazia di Dio.

Si dice: non vi è pace senza giustizia, ma al contrario, se ognuno cerca la giustizia in cui crede (che è diversa da quella dei nemici), i conflitti sono inevitabili e diventano radicali.

Per la pace, occorre invece essere realisti e pragmatici.

Non si tratta, ad esempio, di stabilire se la ragione e la giustizia siano dalla parte di Israele o di HAMAS, ma di prendere atto che non è possibile distruggere Israele e quindi accettarne l’esistenza: senza questo punto, i palestinesi passeranno da catastrofe in catastrofe. Non conta se sia giusto o ingiusto.