Neoliberismo e corruzione araba

sabato, gennaio 28, 2012
di Giovanni De Sio Cesari

 

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Nella caduta dei regimi egiziano e tunisino l’attenzione popolare si è focalizzata sugli immense ricchezze accumulate dai rais,  dalle loro famiglie e, in generale dei circoli che gravitavano intorno al potere   Si danno cifre enormi che comunque non potranno mai essere veramente controllate e potrebbero essere anche assolutamente esagerate ma anche magari  minori di quelle effettive.
La caccia ai miliardi accumulati dai funzionari corrotti pero potrebbe anche portare fuori strada negli sforzi volti a ricostituire il sistema politico. La  corruzione del regime di Mubarak e di Ben Ali  potrebbe essere attribuita soltanto alla disonesta di un certo numero di persone e basterebbe allora cacciarle via per risolvere il problema.
Ma il vero problema era che i membri di alto rango del governo non sono stati i ladri in senso comune del termine, non hanno necessariamente rubare direttamente dal tesoro. Piuttosto, essi si sono arricchiti attraverso una fusione di politica e affari in occasione della svolta liberistica  che ha attraversato tutto il mondo ed è arrivata anche nel mondo arabo fra la soddisfazione degli economisti occidentali
Il liberismo infatti è  una teoria economica che propone che il benessere umano può essere assicurato solo  liberando le libertà individuali e le capacità imprenditoriali in un contesto istituzionale caratterizzato da forti diritti di proprietà privata. Garantire la regolarità  dei mercati dovrebbe essere la principale funzione dello Stato.  Ma l’applicazione della teoria  neoliberista  nel mondo reale dei paesi in via di sviluppo nei quali manca una forte classe medie imprenditoriale  porta a gravi deformazioni. E’ inevitabilmente che quelli che hanno accesso più vicino al governo sono nella posizione migliore per trarre profitto dalle privatizzazioni di quei settori economici  prima gestiti dallo stato ai tempi  del  socialismo arabo. Cosi  le privatizzazione sono andate a beneficio  di persone politicamente ben collegate, che hanno potuto acquistare beni di proprietà dello stato per un prezzo irrisorio, monopolizzato fonti diverse dal turismo agli aiuti esteri ricavando enormi utili realizzati dalle società
Funzionari e  affaristi  erano così strettamente intrecciati che spesso era difficile per un investire straniero distinguerli  D’altra parte le leggi che prescrivevano che le società straniere dovevano avere dei soci locali si risolvevano nel fatto che  le prime nominavano come soci apparenti e formali personalità del governo che non mettevano nè capitali nè tanto meno capacità ma che garantivano ad esse  la possibilità di operare liberamente. Per questo le elite politiche finivano con il possedere tutte le ricchezze del paese,  formalmente del tutto legalmente. Quando si dice che tutte le attività economiche della Tunisia erano di proprietà dei  familiari di Ben Ali si dice che essi hanno potuto beneficiare del loro potere politico per prenderne il controllo non che le abbiano propriamente  rubate ad altri.
il Fondo Monetario Internazionale ha lodato l’Egitto come un faro di successo del libero mercato, ma misurando solo il PIL ha dato un’immagine distorta dell’economia egiziana. La stragrande  parte della popolazione ha sofferto salari stagnanti o in discesa rispetto all’inflazione mentre la  disoccupazione dilagava soprattutto fra i giovani  istruiti.
Il  neoliberismo non è riuscito ad offrire  benessere per la grande maggioranza degli Egiziani : questa è è stata la  causa principale della rivoluzione nel senso che ha spinto  milioni di persone che non erano organizzate a scendere spontaneamente nelle strade per chiedere la democrazia. Ma la democrazia è vista soprattutto come premessa alla giustizia sociale,  alla attenuazione delle scandalose differenze economiche. In realtà la democrazia occidentale sono liberiste e neo liberiste: da qui anche il successo travolgente dei partiti islamisti che mettono in primo piano la giustizia sociale, la solidarietà sociale secondo i dettami dell’islam

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