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Problemi e società

Cristiani in India

Giovanni De Sio

Sabato,13 settembre 2008…………L’opinione pubblica occidentale è ormai, purtroppo, abituata a sentire delle difficoltà in cui si dibatte il cristianesimo nel mondo islamico ma è rimasta perplessa di fronte alla notizia che anche in India vi sono stati gravi violenze contro i cristiani di quel paese. In verità i mass media non hanno dato alla notizia l’importanza che meritava: non sono coinvolti gli equilibri internazionali e nemmeno le passioni degli opposti schieramenti di maggioranza e di minoranza. La notizia poi appare difficilmente inquadrabile da parte del cittadino medio: necessario allora qualche breve nota di approfondimento. In India i cristiani sono il 2,3 % della popolazione; tenendo conto pero che essa ammonta a ben 1150 milioni il loro numero si aggira intorno ai 30 milioni. Di questo circa 5 o 6 milioni fanno parte della Chiesa del Malabar, attualmente parte dello stato del Kerala: si tratta di una comunità antichissima che risale ai tempi evangelici e che è da sempre perfettamente integrata nella regione. Gli altri cristiani, parte cattolici e parte evangelici sono invece il risultato della predicazione di missionari europei nell’ultimo secolo. L’india è un paese democratico che sancisce la libertà religiosa per tutti : ma se tali principi sono una realtà effettiva per le zone più sviluppate economicamente e anche culturalmente ( le grandi città) tuttavia essi non sono ancora sentiti nell’India profonda, agricola e misera di sempre. In essa la predicazione cristiana appare come una minaccia non solo alle tradizioni ancestrali locali ma soprattutto agli assetti socio economici costituiti che prevedono la esclusione dei paria, gli intoccabili, attualmente definiti con il termine DALIT (oppressi) anche se la distinzione in caste è proibita dalla legge indiana fin dal 1950. In questa India nemmeno Gandhi è stato mai veramente ascoltato: egli chiamò i paria “Harijans” (figli di Dio) e predicò sempre la più ampia e radicale tolleranza religiosa: non a caso il suo assassino proveniva da questo mondo ancestrale e dalla classe privilegiata dei Bramini. In realtà i missionari non insistono nemmeno sulle conversioni che è cosa che poi viene autonomamente con il tempo e hanno come meta principale alleviare le tante calamità della popolazione nello spirito che animò anche Madre Teresa. Come ha dichiarato Padre Edward il referente di una delle istituzione attaccate dai fanatici indu: “Noi veniamo attaccati perchè la Chiesa rende queste persone più coscienti della loro dignità e le aiuta all’autodeterminazione. Col nostro impegno miglioriamo lo stato economico dei poveri e degli emarginati. I Dalit e i tribali diventano più coscienti attraverso la nostra educazione… I proprietari terrieri sono contrari a tutto questo perché non possono più sfruttarli come manodopera a basso costo, con la schiavitù o altre forme di oppressione. Nell’India rurale, la religione è tutta politicizzata, è una pedina nelle mani di alcuni potenti politici che soffiano sul fanatismo religioso per i loro scopi…”. Il pretesto per lo scoppio delle violenze nei giorni scorsi è stato l’assassinio di Swami, esponente del Vhp (Vishwa Hindu Parishad ) movimento fondamentalista indu avvenuto, come afferma la polizia, invece per mano di un fanatico comunista ma attribuita, invece. ai cristiani. Nei disordini sono morti 25 cristiani e circa 20.000 hanno dovuto fuggire dalle loro case. In verità il governo centrale guidato da Manmohan Singh ha condannato senza riserve e duramente le violenze: ma la sua voce arriva piuttosto debolmente in certi ambienti

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