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Problemi e società

Meditazione buddista

Giovanni De Sio

Lunedi,19 novembre 2012
Molto popolare in Occidente negli ultimi decenni è la meditazione buddista. In parte è solo una moda ma in parte è anche un bisogno autentico di spiritualità, di interiorità, insomma anelito al divino In realtà anche il cristianesimo è ricchissimo di mistica di richiami all’interiorità : pare strano quindi che alcuni cerchino una risposta a queste esigenze in pratiche e in culture e tanto diversa dalla nostra tradizione. Ci saranno dei motivi , forse delle mancanze di offerta del cristianesimo che spingono alcuni a cercare altrove. Tuttavia non vogliamo fermarci su tali motivi ma cerchiamo di evidenziare le differenze della ricerca mistica nei due ambiti culturali e religiosi
In un ottica cristiana la ricerca della interiorità fa scoprire in noi l’orma di Dio. Il bene che è in noi è infatti opera di un Dio creatore e Provvidenza. Come affermava S. Agostino, se tutte le creature tacessero allora sentiremmo in noi la voce di Dio che non riusciamo invece a sentire per l’urgere delle passioni e delle cose terrene. E’ questo il senso della famosa affermazione. “Noli ires foras in interiore hominis abitat veritas (non uscire fuori di te: nell’interno dell’uomo sta la verità) Non che la verità nasca dall’uomo perché essa sarebbe variabile e transeunte come l’uomo ma viene da Dio che è eterno e immutabile La meditazione, il silenzio sono quindi un mezzo per scoprire la nostra essenza , la nostra vera natura e quindi Dio
Ma nel buddismo gli elementi la questione si pongono diversamente. Non si nega propriamente l’esistenza di Dio ma non si ritiene che esso sia l’oggetto, il fine ultimo della meditazione. Ma allora cosa dovrebbe cercare l’uomo in se stesso con la meditazione? La risposta e la coscienza che tutta la realtà è solo apparenza e che essa comporta solo dolore e affanno. Con la meditazione si vuole allora ottenere il superamento di ogni desiderio La somma felicità quindi consiste nel nulla, il nirvana, la coscienza che tutto è vano, della sostanziale non esistenza di del tutto Ma può il nulla rappresentare la somma felicita, il punto di arrivo della meditazione?
Potremmo chiederci prima di tutto se sempre il dolore e l’affanno sia infelicità e che deve essere evitata Per una donna quale dolore è più grande di una parto e quale felicità è maggior di avere partorito un figlio ?
Mi sento felice quando qualche mia profonda aspirazione si realizza anche se questo mi costa ansia e dolore ; cercavo l’amore di una donna e quindi sono felice , Al posto della donna ( che è solo un esempio) posso mettere la sapienza, un ideale politico, etico, artistico e qualunque altra cosa: ma ha senso dire che si è felici semplicemente perchè non si ha nessuna preoccupazione, cura o dolore? Non si vede quale felicita possa derivare dal fatto che non desidero nulla e quindi nulla mi fa felice
Nei vangeli le beatitudini contemplano invece esplicitamente anche la sofferenza; beati color che soffrono per amore di giustizia
Gli uomini si sentono realizzati in compiti difficili e impegnativi , non si sentono forse vuoti e infelici, non impazziscono quasi quando non hanno più nulla da fare?
Per dirla alla Leopardi: la noia non è peggiore del dolore?
La scala dei valori nel buddismo appare rovesciata rispetto a quella cristiana In un ottica cristiana i valori crescono con la pienezza della loro esistenza Si direbbe che l’amore di una donna è bene inferiore e soprattutto transeunte e che invece è l’incontro con Dio il bene assoluto e perenne.
Ma nel buddismo il concetto appare rovesciato: e e ogni cosa ha valore nella misura in cui ha meno di esistenza Ma non i vede come la meta ultima dell’uomo, la suprema felicità possa consistere in qual cosa che non esiste
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