Pubblicato in " Appunti "  aprile   2019   anno XVI  n 4 HOME

 

Europeisti e populisti

 

Giovanni De Sio Cesari

 

Le prossime elezioni europee sono viste come uno scontro fra sostenitori della UE e forze cosiddette populiste, oppure sovraniste, insomma  contrarie alla Ue nel suo complesso

 In realtà almeno per il nostro paese ( ma con diverse caratteristiche anche per altri paesi ) una tale divisione  poggia su un equivoco

Le forze europeiste, infatti,  pongono pure esse sostanzialmente un programma  di un mutamento profondo della UE cosa che in fondo è lo stesso programma delle forze populiste

  In realtà nessuno è per principio contro l l’Europa nemmeno Salvini e Di Maio ma contro questa Europa ma anche quelli che la sostengono dicono di voler superare questa Europa,   quella che Mattarella definisce un comitato di affari, che Renzi definiva un guazzabuglio di regolamenti, non quella per cui Prodi dice di aver lavorato  e anche Macron in Francia  agita gli stessi temi  Paradossalmente sostenitori  e contrari all’Europa alla fin fine sembrano concordare

Per rendercene conto esaminiamo il Manifesto di Calenda al quale paiono concordare e raggrupparsi tutti i partiti che si dichiarano europeisti

(Il documento  è riportato in appendice  )

 Al di la delle enunciazioni di principio sulle quali è difficile non concordare vediamo i punti e che esplicitano  in concreto il programma

 Al punto uno

 si parla si u welfare comunitario che  comprenda anche un sussidio di disoccupazione, la fine del dumping fiscale sociale e ambientale , una politica industriale comune.

Al punto due

si parla  di una politica migratoria comune con la apertura delle frontiere interne e la assunzione  del problema da parte di tutta la comunità europea  e non solo dei paesi come l Italia che si trovano per ragioni geografiche in prima linea  Ancora più importante si ipotizza una esercito comune e una politica estera comune

 Al punto tre

si parla di un bilancio proprio dell’unione che per  il momento è per  80% erogazione degli stati : praticamente un vero bilancio comunitario in grado di provvedere ampiamente ad esigenze comuni

 Al punto 4

la UE dovrebbe  non solo badare al disavanzo e al  PIL dei singoli stati   ma anche alla redistribuzione delle reddito con lotta alla povertà e alle polarizzazione dei redditi

 Al punto 5

ci si riferisce a una stretta collaborazione  sul piano della ricerca scientifica

 Al punto 6 

ci si riferisce alla  scarsa democrazia del gruppo di Visengrad  che non dovrebbe piu essere tollerata

 A prescindere dal punto 5, in pratica si vuole la trasformazione  delle UE in una  vera federazione degli stati che è il sogno di Ventotene ( ma anche di Prodi e di tanti) ma che nella evoluzione degli avvenimento è apparsa del tutto irrealizzabile : ed è proprio la mancata realizzazione che ha portato all’eurofobia e all’affermarsi  di correnti politiche contrarie alla UE ( populisti)

Se effettivamente i risultati prefissi nel manifesto fossero raggiunti ( o per lo meno  perseguiti) gli euro fobici si ridurrebbero a  piccole minoranze ininfluenti

Chi mai sarebbe contrario all’Europa delineata dal manifesto? il problema è la attuabilità

Tradotto in soldoni ( anzi in euro) significa che il contribuente tedesco finanzierebbe sussidi di disoccupazione,  sanita, investimenti e ricerca in Italia ( e allora  non si vede perchè l Italia  dovrebbe aumentare il debito )  ma  allo stato  attuale un politico  in Germania potrebbe  proporre qualcosa del genere senza essere linciato?  (metaforicamente si intende)

L’obiettivo non è conservare l’Europa che c’è, ma rifondarla. Ma è possibile ora una cosa del genere? a me sembra di no

Quando  Renzi  propose molto, ma molto meno non gli risposero nemmeno di no, lo ignorarono  proprio  (forse se ne avessero almeno discusso ora non avrebbero stravinto le forze cosi dette populiste )  

Mi pare che il programma delineato non sia realizzabile neppure  in tempi lunghi : IN Europa come vera unione non  si farà mai in tempi prevedibili ( chi sa , poi fra qualche secolo). è solo una illusione italiana.   In fondo è quello che dicono i contrari alla  UE

 Il problema in  discussione  è un altro La differenza è che si pensi o meno che comunque  questo che c’è sia meglio di niente : il Manifesto non pare dello stesso   parere. non dice  affatto che bisogne contentarsi di questa UE ma la vuole rifondare  Il non detto è che non si riesce allora si andrà verso il disfacimento (e quello che dice Prodi parlando di una UE in mezzo al guado)  

Io credo  che manifesti di questo genere non riuniscano quelli che sono favorevoli alla UE cosi come è  ma finiscono con l essere un boomerang, una critica implicita  più forte  di quella dei cosi detti populisti  

Si puo  pensare legittimamente  che  l'Europa cosi come è oggi è meglio che un'assenza di "Europa"  ma NON è questo che dice il manifesto    

 A me pare che il programma delineato dal manifesto sia  del tutto irrealizzabile e quindi pura demagogia:

Magari sarà pure vero    che con tutti i limiti la UE comunque  è cosa molto, molto   positiva: è una opinione ragionevole  In effetti si resta nella UE e soprattutto nell ‘euro  perche    appare difficile,  pericoloso   uscirne

 

 

APPENDICE  

MANIFESTO PER LA COSTITUZIONE DI UNA LISTA UNICA DELLE FORZE POLITICHE E CIVICHE EUROPEISTE ALLE ELEZIONI EUROPEE

L’Italia e l’Europa sono più forti di chi le vuole deboli!

 

 

Siamo europei. Il destino dell’Europa è il destino dell’Italia. Il nostro è un grande paese fondatore dell’Unione Europea, protagonista dell’evoluzione di questo progetto nell’arco di più di 60 anni. E protagonisti dobbiamo rimanere fino al conseguimento degli Stati Uniti d’Europa, per quanto distante questo traguardo possa oggi apparire. Il nostro ruolo nel mondo, la nostra sicurezza – economica e politica – dipendono dall’esito di questo processo.

L’Unione Europea è il risultato della consapevolezza storica e della volontà dei popoli europei. Un continente attraversato dalle guerre è oggi uno spazio pacifico e comune di scambi culturali, politici, economici, governato da regole ispirate a valori di libertà, tolleranza e rispetto dei diritti. L’Unione Europea è la seconda economia e il secondo esportatore del mondo. Un mercato unico di cinquecento milioni di persone, regolato dai più alti standard di sicurezza e qualità, che assorbe ogni anno duecentocinquanta miliardi di esportazioni italiane. Il nostro attivo manifatturiero è oggi doppio rispetto a quello che avevamo prima dell’euro e la nostra manifattura, seconda solo a quella tedesca, è legata da una inscindibile e strategica rete di investimenti, collaborazioni industriali, tecnologiche e commerciali con le altre economie europee. In Europa si concentra la metà della spesa sociale globale a fronte del 6,5% della popolazione mondiale.

L’Unione è dunque un grande conseguimento della storia, ma come ogni costruzione umana è reversibile se non si è pronti a combattere per difenderla e farla progredire. I cittadini europei sono oggi chiamati a questo compito.

L’Europa è infatti investita in pieno da una crisi profonda dell’intero Occidente. La velocità del cambiamento innescato dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica, e parallelamente gli scarsi investimenti in capitale umano e sociale – che avrebbero dovuto ricomporre le lacerazioni tra progresso e società, tra tecnica e uomo – hanno determinato l’aumento delle diseguaglianze e l’impoverimento relativo della classe media. Ciò ha scosso profondamente la fiducia dei cittadini nel futuro. L’incapacità di gestire i flussi migratori provenienti dalle aree di prossimità colpite da guerre e sottosviluppo ha messo in crisi l’idea di società aperta. La convergenza tra queste turbolente correnti della storia ha minato la fiducia di una parte dei cittadini nelle istituzioni e nei valori delle democrazie liberali.

Per la prima volta dal dopoguerra esiste il rischio concreto di un’involuzione democratica nel cuore dell’Occidente. La battaglia per la democrazia è iniziata, si giocherà in Europa, e gli esiti non sono affatto scontati.

L’obiettivo non è conservare l’Europa che c’è, ma rifondarla per riaffermare i valori dell’umanesimo democratico in un mondo profondamente diverso rispetto a quello che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni.

Un mondo che affronta tre sfide cruciali: il radicale cambiamento del lavoro, e dunque dei rapporti economici e sociali, a causa di un’ulteriore accelerazione dell’innovazione tecnologica; il rischio ambientale e la necessaria costruzione di un modello di sviluppo legato alla sostenibilità; uno scenario internazionale più pericoloso e conflittuale.

Le forze da mobilitare per la costruzione della nuova Europa sono quelle del progresso, delle competenze, della cultura, della scienza, del volontariato, del lavoro e della produzione.

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Per il nostro Paese la permanenza in Europa è condizione essenziale per non distruggere le conquiste di tre generazioni di italiani. Fuori dall’Europa e dall’euro ci sono la povertà e l’irrilevanza internazionale. Per rimanere in Europa non bastano tuttavia dichiarazioni di intenti, servono politiche per la crescita e lo sviluppo sociale capaci di ridurre il divario, significativamente aumentato negli ultimi trent’anni, con gli altri grandi paesi dell’Unione. Se così non sarà, la nostra permanenza nell’euro e nell’UE diverrà insostenibile. Stiamo pagando le conseguenze di un lungo periodo in cui abbiamo investito meno e speso peggio degli altri paesi europei. La responsabilità di questi errori è interamente nostra.

Negli ultimi anni, grazie a normative e fiscalità più favorevoli, le imprese italiane hanno fatto uno sforzo importante per ammodernarsi, investire e internazionalizzarsi con effetti positivi, ancorché insufficienti, su crescita e occupazione. Il rapporto deficit/PIL si era ridotto e lo spread era tornato sotto controllo.
L’azione e le dichiarazioni del nuovo Esecutivo hanno avuto immediati effetti negativi per la finanza pubblica, i risparmi e l’economia. Investimenti, industria, infrastrutture, scuola, università, ricerca e lavoro sono scomparsi dall’agenda di Governo e dalla legge di bilancio. I giovani per primi pagheranno il conto degli errori commessi. Intanto lo spettro di una nuova recessione si sta affacciando in Italia, mentre le prospettive dell’intera economia mondiale sono più incerte. Il nostro Paese non è più in sicurezza.

I due partiti che formano il Governo hanno sganciato l’Italia dal gruppo dei grandi paesi fondatori dell’UE. L’Italia è il primo grande Stato occidentale a essere guidato da forze che dichiarano apertamente di considerare il ruolo del Parlamento, l’indipendenza e l’autorevolezza delle istituzioni dello Stato, il valore dei trattati internazionali e il rispetto dei diritti civili come intralcio per l’azione del Governo. L’involuzione non è solo politica, ma anche culturale: basti pensare alla scarsa considerazione per il ruolo delle donne nella società – che rimane uno dei grandi mali dell’Italia -, all’avversione per la scienza e per la competenza– dall’ambiguità sui vaccini alla schedatura politica degli scienziati – e all’ostilità verso le minoranze e gli immigrati.

In queste condizioni la permanenza dell’Italia nell’UE e nell’euro è a rischio. Le rassicurazioni di chi fino a ieri predicava l’uscita dalla moneta unica e ancora oggi si ispira apertamente a leadership non democratiche straniere, non hanno alcuna credibilità.

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Le prossime elezioni europee saranno il momento decisivo per dimostrare che vogliamo rimanere saldamente in Europa e in Occidente.
L’importanza della sfida elettorale europea e la difficile situazione dei partiti di opposizione, impongono una risposta straordinaria, unitaria – ma coerentemente limitata a chi non cerca alleanze nazionali con i partiti di governo– che vada oltre le forze oggi in campo.

Per questo è necessario costruire alle prossime elezioni europee una lista unitaria delle forze civiche e politiche europeiste. La sfida sarà vinta solo se riusciremo a coinvolgere i cittadini, le associazioni, le liste civiche, il mondo del lavoro, della produzione, delle professioni, del volontariato, della cultura e della scienza, aprendo le liste elettorali a loro qualificati rappresentanti.
Non si chiede ai movimenti che vorranno partecipare di scomparire, ma di partecipare a uno sforzo più ampio. Non si chiede di nascondere identità o simboli che sono stati costruiti con fatica e impegno, ma di schierarli dietro una bandiera che possa rappresentare chi ha perso fiducia nei confronti delle singole sigle politiche ma non nel progetto europeo.
All’indomani delle elezioni, la scelta degli eletti di aderire, a seconda della provenienza politica e culturale, a gruppi parlamentari europei diversi, lungi dal costituire un problema, rappresenterà l’anticipazione di una rifondazione delle grandi famiglie politiche europee che dovrà necessariamente avvenire lungo una nuova linea di frattura: quella che separa i sovranisti illiberali dagli europeisti democratici.

Ma nessuna sfida si vince giocando solo in difesa. Per questo la convergenza tra le forze europeiste si deve fondare su priorità forti e condivise.

Le nostre priorità per una Europa nuova, che offriamo alla discussione e al dibattito, sono:

  1. Gestire le trasformazioni: investire e proteggere. Al centro dei piani per una nuova Europa va messo un “New Deal” per l’uomo nell’era digitale. Non esiste un’equa distribuzione della ricchezza senza un’equa distribuzione della conoscenza. Va quindi combattuto senza quartiere l’analfabetismo funzionale, che sta minando le democrazie persino più delle diseguaglianze economiche, destinando una quota più rilevante dei fondi strutturali all’istruzione, alla formazione e alla cultura. La gestione delle conseguenze dalla globalizzazione e dall’innovazione non può essere più lasciata interamente al mercato. Dovranno essere finanziati a livello europeo strumenti per la formazione permanente dei lavoratori. E’ urgente e indispensabile la fondazione di un nuovo sistema di welfare 4.0 che comprenda il sussidio di disoccupazione europeo proposto dall’Italia. Laddove esistono alti tassi di conoscenza diffusa e un welfare efficace il populismo non attecchisce. Andranno eliminate inoltre le distorsioni provocate dal dumping fiscale, sociale e ambientale interno ed esterno all’Unione, attraverso accordi commerciali più stringenti e una “corporate tax” armonizzata per i paesi dell’Unione. Deve essere finalmente varata una incisiva politica industriale comune che supporti gli investimenti produttivi tecnologici e scientifici.

  2. Insieme più forti nel mondo. Difesa, sicurezza, controllo delle frontiere e immigrazione devono diventare politiche comuni. Dobbiamo iniziare il percorso per costruire un esercito europeo e unificare i bilanci della difesa degli stati membri. Prioritario è implementare per intero il “Migration Compact”: il piano presentato dall’Italia per aiutare i paesi di origine e transito dei migranti nella gestione dei flussi, nell’assistenza umanitaria e nei rimpatri. Il controllo dei confini comuni, marittimi e terrestri, deve diventare un compito delle agenzie comunitarie. La gestione ordinata e condivisa dei flussi migratori è la premessa per superare il Trattato di Dublino e organizzare un sistema di accoglienza e integrazione comune.

  3. Meno deficit più bilancio europeo. La capacità di indebitamento non dipende dai limiti europei ma all’entità del debito dei singoli Stati membri. Possiamo ignorare le regole ma non per questo troveremo chi ci presta soldi per finanziare deficit insostenibili. Tuttavia nei prossimi anni il livello degli investimenti dovrà aumentare in modo significativo e lo strumento fondamentale non potrà che essere il bilancio europeo. Oggi quasi l’80% del budget UE proviene da contributi degli Stati membri. Deve invece essere costituito da risorse proprie per finanziare welfare, investimenti, ricerca e formazione.

  4. Dal capitale economico al capitale sociale. Una dura lezione che molti governi occidentali hanno imparato negli ultimi anni è che una robusta crescita economica non si accompagna necessariamente a un’equa distribuzione della ricchezza, delle opportunità e del progresso complessivo della società. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite devono essere inclusi, al pari di quelli relativi alla stabilità finanziaria, nella governance dell’Unione.

  5. Conseguire una leadership scientifica europea. La rivoluzione digitale, i cambiamenti climatici, la necessità di energia sostenibile, gli straordinari progressi della medicina, a costi però sempre più alti, rappresentano sfide che non possiamo perdere. Stati Uniti, Cina e Giappone stanno investendo in questa direzione importanti risorse economiche. Se l’Europa non si adegua in fretta perderà opportunità di sviluppo e occasioni di crescita per i suoi giovani talenti. Molto è stato fatto negli ultimi anni per incrementare la ricerca scientifica europea ma il divario con gli altri grandi paesi si va comunque allargando. Il rafforzamento della collaborazione tra università e centri di ricerca degli Stati membri e l’aumento del bilancio europeo destinato a progetti comuni è un obiettivo fondamentale per affrontare il XXI secolo.

  6. Un “gruppo di Roma” per rifondare l’Europa. Alcuni Governi del cosiddetto “gruppo di Visegrad” sfruttano ogni possibile beneficio economico derivante dalla partecipazione all’Unione e al mercato unico – dai fondi strutturali alle delocalizzazioni – rifiutando tuttavia di assumersi responsabilità comuni – ad esempio sui migranti – mentre si allontanano sempre più dai valori europei. A queste condizioni la loro presenza all’interno dell’Unione è una minaccia per l’Europa e per l’Italia. A questi Governi va contrapposto un “gruppo di Roma” composto dal nucleo dei paesi fondatori “allargato”, che definisca un’agenda precisa per l’avanzamento del progetto europeo. Si dovrà rapidamente decidere se andare avanti tutti insieme o se optare per un’Europa a differenti gradi di integrazione.

Nella consapevolezza dell’importanza del momento storico, i firmatari di questo appello sono pronti a mobilitarsi per sostenere uno schieramento unitario delle forze europeiste, ognuno secondo le proprie competenze e le proprie possibilità.

La Storia è tornata in Europa. Siamo chiamati a difendere diritti e conquiste che abbiamo ereditato, costruendo un’Europa nuova capace di vincere le sfide dei prossimi decenni.

 

 

 

 

Si parla molto dei valori della sinistra e si dice che non sono negoziabili, non possono essere barattati con qualche aumento  salariale: ed è giustissimo.   Ma  quello che è da rilevare  è che in genere non dobbiamo fare più scelte di valore.   Una scelta di tal genere  fu fatta nel primo dopoguerra,  tanti anni fa, quando al di la dell’immediato vantaggio economico, dovemmo scegliere fra due modelli di vita e ci schierammo contro o pro il comunismo o la democrazia, allora detta borghese

Non è che la gente ora pensa solo al fatto economico,  materiale dimentichi dei valori etici. Il fatto è che i regimi totalitari ( fascisti, comunisti, islamisti) vogliono imporre un determinata visione globale dell’uomo mentre  le democrazie invece sono caratterizzate dalla liberta di coscienza e quindi, lasciando quelli spirituali al singolo e i liberi gruppi , si incentrano essenzialmente su fatti economici, I regimi comunisti volevano sradicare le religioni, gli islamisti vogliono imporla al  mondo Ma nel nostro mondo politico  il  fatto di essere credente o meno non ha importanza, spesso viene ignorato (Merkel è credente o meno?) La dimensione economica e materiale resta competenza dello stato mentre quella spirituale appartiene al singolo, Solo occasionalmente  ( aborto, matrimonio, omosessuali )  lo stato è costretto a intervenire: quasi sempre gli schieramenti sono trasversali ai partiti stessi 

Con questo non si dice  che non ci sono più valori   ma  che  adesso in politica  NON ci sia più quel tipo di scelta:  i temi etici religiosi, di visione globale del  mondo sono ormai trasversali ai partiti  In realtà nessuno è più razzista ma tutti siamo interessati alla  gestione dei flussi Alcuni dicono  che  nella  pratica non possiamo trovare lavoro a   milioni di immigrati  se milioni di nostri connazionali non ne hanno  e qualcuno invece  dice che abbiamo bisogno di immigrati : ma tutto questo non c’entra  con il razzismo.  Molti immigrati votano Lega che conta pure  l’unico senatore nero del parlamento

 Anche la eventualità  di uscita dall’euro o dalla UE , il sovranismo,  non  implicano affatto un nazionalismo del secolo scorso , non rigettano affatto i rapporti pacifici e collaborativi  nel mondo,   nessuno penserebbe a guerre  di espansione . La UK è uscita dalla UE ma  non per questo è meno internazionale di prima

Ma quali sono i valori della sinistra : si parla di   diritti civili  che attengono quasi sempre alla etica familiare e sessuale  ma essi non sono  storicamente propri della cultura della  sinistra

 Essi sono stati sempre   lontanissimi dal  comunismo in tutto il mondo  che considerava invece certi atteggiamenti “liberi” come residui di  decadenza borghese (Nella  Cina maoista le coppie non potevano nemmeno temersi per mano e attualmente i gay sono pesantemente discriminati) . Ma il comunismo non esiste più mentre  la  sinistra democratica ( il PD in particolare) ha una  forte componente di  ispirazione religiosa non certo incline verso questi principi  Nei partiti di destra  abbiamo al di la delle tatticismi elettorali, atteggiamenti certamente più trasgressivi

A ben vedere le questioni del genere  sono bipartisan : hanno tutte partigiani e avversari sia nel PD che negli altri partiti In genere si tratta di posizione tradizionaliste che sono sostenute dalla  chiesa cattolica e nel  PD vi è una componente cattolica che anzi finisce per essere quella che governa (  Prodi, Renzi, Letta, Gentiloni ). D’altra parte le opposizioni   non sono solo confessionali ma trovano ampia seguito anche nei non credenti. Non si possono identificare in una  solo parte politica ,come avvenne  50 anni fa per il divorzio. Diciamo che nel PD prevalgono di  più che negli altri partiti

 Io penso soprattutto che la sinistra  parla  troppo dei cosi detto diritti civili e poco dei cosi detti diritti del lavoratore , anzi parla molto dei primi perchè trova poco a dire  sui secondi  Ma a un  poor working ( un rider, ad esempio) che   guadagna troppo poco per mantenere dei figli  poco importa che dei  ricconi possano  avere dei figli con l’utero in affitto. Il PD come i partiti  tradizionali di sinistra non parla più  degli ultimi dei disagiati, dei perdenti Ma cosi ha dimenticato i valori della giustizia sociale  che sono la sua ragion d’essere, i suoi veri valori che hanno entusiasmato tante generazioni

 Chi  si definisce ,come faceva Silone ,  “un  cristiano senza chiesa e socialista senza partito “,  stenta sempre  di più a riconoscersi in un partito che è tutto schiacciato sul liberismo globalista   

In realtà tutta la società è mutata e per questo certi atteggiamenti sono mutati: non possono essere considerati un patrimonio di sinistra ne tanto meno dei lavoratori  nel senso classico

 In ogni caso si tratta di fatti  che riguardano solo marginalmente la società : quante sono le coppie gay in grado di adottare un bambino con utero in affitto all’estero sui cui si è tanto a lungo  discusso e polemizzato  ( la famosa stepchild adoption, ma perchè poi in inglese?)

Solo i ciclisti ( rider)  che portano pietanze  a domicilio  sono 50 mila più del  doppio di quelli  dell ILVA  di Taranto: di essi la sinistra  non  ha mai parlato  fino a quando una sentenza  li pose all’attenzione generale. Di Maio li ha ricevuti: un colpo propagandistico davvero forte  Ma perchè Renzi o Gentiloni non lo hanno fatto prima?

A me pare che la linea di garanzia del lavoro ( socialista)  sia stata ripresa dai movimenti cosi detti populisti e infatti  quelli che un giorno votavano a sinistra ora votano M5S o Lega  ( quelli a basso reddito, i  precari, quelli a rischio povertà ,i nuovi  poveri  e cosi via)

 Ma le politiche annunciate sono velleitarie confuse  irrealistiche  . il PD dovrebbe invece perseguire politiche di tutela in modo equilibrato e realistico  come è nella sua ragione storica e che poi mi sembra la ispirazione  del primo Renzi

La frattura non è più quella del passato: alla contrapposizione fra operai (lavoratori)  e  proprietari  (capitalisti ) si è sostituito quello fra garantiti e non garantiti o, se si preferisce, fra i vincitore e i perdenti della  globalizzazione neo liberista  della nuova economia.  Il  fatto è che la sinistra si è incentrata sui diritti  e non su fatti economici ( più sulle  unioni gay che sui salari) ma questo mutamento  ha una sua ragione : la globalizzazione l ‘euro, la UE   tolgono spazio all’intervento dello stato che era la ragion dì essere del socialismo  Nel referendum di Pomigliano gli operai dovevano scegliere fra le condizioni poste non da Marchionne ma dal mercato globalizzato o non lavorare  affatto Cosa mai potevano mai  fare e cosa poteva fare un governo di qualunque colore ? Cosa può fare un governo italiano se le regole  le detta il mercato globalizzato e non può nemmeno governare la moneta?   

Quello che può fare la sinistra per non sparire è recuperare la sua ispirazione,   porsi il problema dei più poveri e  proporre soluzioni più ragionevoli ed efficaci di quelle dei partiti populisti : non si tratta  di rincorrerli o di contrastarli ma di sfidarli

   il PD non può ridursi al partito degli omosex ma deve essere quello dei lavoratori